Robert Langdon, il professore di simbologia che novanta milioni di lettori del Codice da Vinci conoscono, arriva al Campidoglio di Washington invitato dal suo vecchio amico Peter Solomon, un massone d’alto bordo, a tenere un discorso. Ma quando – all’inizio del nuovo romanzo di Dan Brown The Lost Symbol (Il simbolo perduto) – entra nell’edificio, Langdon scopre che in realtà l’invito è falso, e fa una macabra scoperta: trova una mano tagliata, quella di Solomon, su cui sono incisi tatuaggi massonici. La mano punta verso un dipinto del 1865, che raffigura il primo presidente degli Stati Uniti, George Washington (1732-1799), nelle vesti di un dio pagano. Il cattivo che ha teso la trappola a Langdon (la cui vera identità scopriremo soltanto a fine romanzo) si fa chiamare Mal’akh, «Angelo», ha il corpo coperto di tatuaggi come un’opera d’arte ed è alla ricerca di una piramide massonica nascosta da qualche parte sotto Washington con mirabolanti poteri.
Con l’aiuto (e presto, al solito, l’amore) della bella sorella di Solomon, Katherine, che studia la miracolosa scienza della noetica, Langdon completa un percorso a ostacoli tra i misteri del rito scozzese della massoneria, alchimisti, rabbini e agenti della Cia, sconfigge i cattivi e salva gli Stati Uniti da trame pericolosissime. Un colpo al cerchio e uno alla botte: dopo essersela preso con la Chiesa nel Codice da Vinci stavolta Brown se la prende con la massoneria? Non è proprio così. Certo, Brown è sempre Brown, uno scrittore che nessuno ha mai accusato di fare serie ricerche storiche prima di scrivere i suoi libri.
Pertanto in tema di rito scozzese, piramidi, cerimonie massoniche, architetture e urbanistica di Washington che sarebbero una mappa predisposta dalla massoneria, per non parlare delle strabilianti pretese New Age della noetica, lo specialista trova senza difficoltà le consuete sciocchezze. Pierre Charles L’Enfant (1754-1852), che disegna il Plan of the City of Washington nel 1791-1792 non è massone, e si conforma a indicazioni del governo che riceve non dal massone George Washington, ma dal non massone Thomas Jefferson (1743-1826). La leggenda è nata negli Stati Uniti ma è diventata patrimonio comune di chi legge certi libri con un testo del 1989 di Michael Baigent e Richard Leigh, due degli autori inglesi de Il Santo Graal cui Dan Brown aveva già abbondantemente attinto per le teorie sui Merovingi e sulla Maddalena del Codice da Vinci.
E molte storie a fosche tinte sul rito scozzese della massoneria e sul suo dirigente ottocentesco Albert Pike (1809-1891) sono state inventate nel corso di polemiche del XIX secolo, o peggio provengono dalla fucina francese di Léo Taxil (1854-1907), un massone impostore che si finse convertito al cattolicesimo e propose incredibili rivelazioni su riti macabri e apparizioni del Diavolo in loggia, prima di confessare pubblicamente l’inganno nel 1897. E tuttavia mentre Il Codice da Vinci era un libro anticattolico e anticristiano, The Lost Symbol non è un libro antimassonico. Certamente i massoni lamenteranno qualche imprecisione e esagerazione.
Ma qui la massoneria – a differenza dell’Opus Dei nel Codice da Vinci o della Chiesa nemica della scienza nel romanzo Angeli e Demoni (molto più virulento del film, che ha notevolmente attenuato i toni) – non è "il cattivo". Mentre sparare sulla Chiesa è considerato, negli ambienti che frequenta Dan Brown, politicamente corretto, si ha la sensazione che quando deve trattare della massoneria lo scrittore proceda con cautela e scriva dopo avere infilato la mano in un bel guanto di velluto. Brown, così, scherza coi santi e lascia stare i fanti.
Eppure a ben guardare una tesi ideologica nel nuovo libro c’è. Avrebbe fatto più rumore se Brown ce l’avesse fatta, come voleva, a finire il libro durante il regno di Bush. La figura del presidente convertito al protestantesimo born again e conservatore, infatti conferiva vivacità a un dibattito storiografico che dura da almeno cento anni e che contrappone due narrative a proposito delle origini degli Stati Uniti. Per la prima i padri fondatori degli Stati Uniti – anche se non erano tutti né esempi di comportamento morale né cristiani di buona dottrina – misero al centro dell’esperimento americano valori condivisi il cui fondamento era almeno genericamente cristiano.
Per la seconda, il sottofondo comune che univa i padri fondatori non era invece il cristianesimo ma il deismo tipico della massoneria, utilizzato come lieve vernice filosofica per coprire temi gnostici, esoterici e ultimamente naturalistici e neo-pagani. Il dibattito appassiona perché ha una portata culturale e politica. Se i padri fondatori, senza troppo dirlo, volevano fondare l’esperimento americano su una sorta di naturalismo neo-pagano, gnostico, "massonico" nel senso di questo termine corrente oggi (ma si dimentica che la massoneria americana del Settecento non era quella europea del XIX secolo o di oggi), allora le pretese – care a Bush – di presentare gli Stati Uniti come una Christian nation con una missione religiosa da compiere crollano come un castello di carte. E – aggiungono i seguaci della seconda narrativa – chi propone il relativismo morale, l’aborto, il matrimonio omosessuale è più vicino allo spirito pagano e gnostico dei padri fondatori di Bush o dei vescovi cattolici. Per questa seconda narrativa scende in campo Brown.
Per lo scrittore il fondo gnostico-massonico dell’ethos americano è un fatto positivo: naturalmente, per tanti anti-americani lo stesso fondo esiste ma è un dato negativo che conferma come degli Stati Uniti i cristiani facciano bene a non fidarsi. Il dibattito, naturalmente, non si risolve con i romanzi, ed è diventato meno vivace con Obama, per cui la retorica della Christian nation non è così importante come per Bush. Ma la rozza presentazione di Brown è storicamente infondata. Benedetto XVI, visitando nel 2008 gli Stati Uniti, ha definito l’esperimento dei padri fondatori americani «un modello fondamentale e positivo». Sul prato della Casa Bianca il Papa ha affermato che «sin dagli albori della Repubblica la ricerca di libertà dell’America è stata guidata dal convincimento che i principi che governano la vita politica e sociale sono intimamente collegati con un ordine morale, basato sulla signoria di Dio Creatore.
Gli estensori dei documenti costitutivi di questa Nazione si basarono su tale convinzione». I diritti della Costituzione americana sono insieme «fondati sulla legge di natura e sul Dio di questa natura»: il Dio, ha precisato Benedetto XVI, della «fede biblica». È giusto che gli storici continuino a dibattere. Ma il Papa in America ha svelato il gioco di chi presenta maliziosamente le origini degli Stati Uniti come soltanto massoniche per legittimare un’emarginazione del cristianesimo dalla vita politica di oggi. A questo gioco possono contribuire anche i romanzi. E Dan Brown, quando passa il treno di una cattiva causa, non manca mai di salire a bordo.
Massimo Introvigne (Avvenire, 17/09/2009)
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