28/12/25

Un saggio di Piero Latino sul dantismo di Silvano Panunzio

Questo numero presenta una serie di saggi, molto diversi per taglio e contenuti, che rinviano comunque ai pensatori italiani. Apre la sezione Saggi, il testo di Andrea Alfonso su Leopardi di cui coglie in maniera esplicita una forte ambiguità tra la sua concezione materialistica e la sua incondizionata adesione al motivo dell’infinito. Il nucleo dell’analisi si concentra in specie su due liriche del Recanatese, Alla sua donna e L’infinito. L’esame di alcuni limiti della ragione nel suo uso pratico è al centro del contributo di Angelo Caruso che problematizza alcuni limiti che la ragione incontra nel suo tentativo di fornire una risposta univoca e stabile alla domanda “Che fare?” che è alla base di qualunque considerazione morale per poi approdare al Kant della seconda critica. Il saggio di Giuseppe D’Acunto offre la prospettiva greca del pensiero di Adriano Tilgher a partire da un suo testo del 1922, La visione greca della vita, influenzato da La nascita della tragedia di Nietzsche. Punto di intersezione dei testi è l’interpretazione dell’Eterno Ritorno coessenziale all’anima stessa dell’Ellade. Il concetto di “autocoscienza tacita” elaborato da Franco Lombardi nel ventennio fascista è al centro del saggio di Francesca Ghione che vi coglie una forma particolare di dialogo. Infatti, l’autocoscienza tacita consiste in una sorta di guida morale che consente all’individuo di scegliere e agire responsabilmente attraverso un profondo dialogo interiore con sé stesso. Nel segno di Gentile si colloca il saggio di Rodolfo Sideri che esplora il pensiero di Spirito secondo l’interpretazione di Hervé Cavallera. L’adesione incondizionata al problematicismo spiritiano, lontano dai fondamentalismi fanatici e dagli asettici relativismi, sorregge la lettura complessiva di Cavallera sempre attento a cogliere nel filosofo aretino la sua attenzione agli eventi della contemporaneità. Di tutt’altro taglio, infine, il contributo di Piero Latino che riscopre un pensatore italiano dimenticato come Silvano Panunzio, autore di una esegesi in chiave esoterica del poema di Dante. La sezione Miscellanea comprende due saggi di Penne Brooke e di Saverio Matrangolo dedicati al filosofo boemo Jan Patočka, vittima del regime comunista nel 1977, allievo di Husserl e autore di capolavori filosofici del Novecento. Al centro dei due saggi, viene analizzato un suo libro, Platone e l’Europa che raccoglie undici conferenze clandestine riproposto recentemente al pubblico italiano in una nuova traduzione in virtù della sua lucida e penetrante capacità di analisi, ancora oggi in grado di restituire il valore significativo della storia europea. Chiude la sezione un articolo di Lucrezia Romussi dedicato al ricordo di Gianni Vattimo a un anno dalla scomparsa: Romussi dà un ampio resoconto del seminario che si è svolto il 19 settembre 2024 a Villa Falconieri in Frascati in collaborazione tra l’Istituto Gianni Vattimo-Istituto Italiano di Ricerca Filosofica e l’Accademia Vivarium Novum. Numerosi gli stimoli alla riflessione atta a tratteggiare l’estrema attualità del pensiero di Gianni Vattimo e, dunque, la sostanziale rilevanza del pensiero debole per comprendere le categorie contemporanee del pensiero. Chiude il numero la sezione Recensioni, ricca di ben otto recensioni di libri che aprono molteplici direzioni di lettura. https://vivariumnovum.it/riviste/contributo/2024-n-1

08/12/25

La prestigiosa rivista tedesca "Gnostika" dedica una recensione al nostro "Was ist Esoterik?"

 


Zeitschrift für Symbolsysteme GNOSTIKA 71 / Wege gehen / Jahrgangsband 2025 / 28. Jahrgang / ISBN 9-783-937592-59-6 / 240 Seiten / Pb

Was ist Esoterik? Zwischen Wahrheit und Fälschung. Bruno Bérard im Gespch mit Aldo La Fata (ISBN 9782-959232626).





 Was ist Esoterik? bietet in 17 Kapiteln „ein Panorama der Esoterik mit einem zentralen, aber nicht ausschließlichen Bezug auf das Christentum einerseits und das Werk René Guénons andererseits“, fasst J.-P. Brach im Nachwort zusammen. Im letzten Kapitel stellte Bérard seinem Gegenüber Aldo La Fata (ALF) auch die Frage nach zeitgenössischen Esoterikern:

C. G. Jung war meiner Meinung nach ein ausgezeichneter Esoteriker. […] Es ist der Rahmen von Kompetenz und Ernsthaftigkeit, den er dem Thema gegeben hat, der lobenswert und bewundernswert ist. Große Mythographen wie K. Kerényi, J. Campbell und J. Hillman hätte es ohne ihn nicht gegeben. Und dann war auch für Mircea Eliade die Begegnung mit Jung für die Kristallisierung seines Denkens und den Aufbau seines Lexikons von entscheidender Bedeutung.

Auf die Frage nach weiteren Namen nennt er:

… den Römer Julius Evola und den Turiner Elémire Zolla […] Beide waren in ihren Anfängen durch gegensätzliche ideologische Konstrukte deutscher Herkunft geprägt, Evola durch die Konservative Revolution und Zolla durch die Frankfurter Schule. […] Natürlich bleiben aus meiner Sicht einige ihrer Interpretationen fragwürdig; ich würde sie eher als „a-religiös“ denn als „supra-religiös“ bezeichnen.

Auch René Guénon gehört für ALF ohne Zweifel zu solchen Größen.

Aber Guénon untersuchte die Esoterik von innen heraus und somit mit mehr Durchdringungsvermögen als alle anderen, einschließlich Jung, Evola und Zolla.

Dann stellte Bérard noch die Frage nach gegenwärtigen Vertretern mit einer gewissen Ebenbürtigkeit. ALF sieht da in Frankreich die

… École Pratique des Hautes Études, und es gibt würdige Gelehrte wie Jean-Pierre Brach und Jean-Pierre Laurant […] Vielleicht sollte ich noch den Österreicher Hans Thomas Hakl hinzufügen, der außergewöhnliche Fähigkeiten zu diesem Thema entwickelt hat und vielleicht eine der schönsten und reichsten Bibliotheken der Welt zu diesem Thema besitzt; ich glaube sogar, dass sie die von Umberto Eco zusammengestellte Bibliothek übertrifft […] In Italien zähle ich Alessandro Grossato, Nuccio D’Anna, Claudio Lanzi und Dario Chioli zu den wichtigsten und autoritativsten Vertretern. In der Tat gibt es nicht viele andere herausragende Persönlichkeiten auf dem Gebiet der Esoterik auf der Welt, aber es gibt talentierte Gelehrte, die nicht schreiben und über die wir so gut wie nichts wissen. Ich selbst habe in meinem Leben viele von ihnen getroffen und kennengelernt.

Und zu allerletzt stellt Bérard die Frage nach den Mindestanforderungen für einen Neuling:

Ich würde sagen, dass Gelehrsamkeit zu viel und eine esoterische Organisation zu wenig ist – die Mitglieder haben nur Zugang zu dem, was strikt oder notwendig ist, um den vorgeschlagenen Weg zu gehen. Für mich zählen nur die Fähigkeiten, das Temperament, die Tugenden, die Berufung, die Geduld, die Beständigkeit, das Engagement und, kurz gesagt, all die menschlichen und intellektuellen Qualitäten, die die notwendigen und unverzichtbaren Voraussetzungen darstellen (S. 213 ff).

Traduzione: 

Il volume Che cos’è l’esoterismo? si articola in diciassette capitoli e offre, come riassume Jean-Pierre Brach nella postfazione, “un panorama dell’esoterismo con un riferimento centrale — ma non esclusivo — al cristianesimo da un lato e all’opera di René Guénon dall’altro”. Nell’ultimo capitolo Bérard rivolge al suo interlocutore, Aldo La Fata (ALF), una domanda sugli esoteristi contemporanei.

C.G. Jung, a mio parere, fu un eccellente esoterista. […] È il quadro di competenza e serietà che egli ha dato a questo tema a renderlo degno di lode e di ammirazione. Senza di lui non avremmo avuto grandi mitografi come Károly Kerényi, Joseph Campbell o James Hillman. E l’incontro con Jung fu decisivo anche per Mircea Eliade, per la cristallizzazione del suo pensiero e per la costruzione del suo lessico concettuale.

Alla domanda su altri nomi significativi, La Fata risponde:

… il romano Julius Evola e il torinese Elémire Zolla. […] Entrambi furono, agli inizi, influenzati da correnti ideologiche di origine tedesca, ma di segno opposto: Evola dalla Rivoluzione Conservatrice, Zolla dalla Scuola di Francoforte. […] Naturalmente, alcune delle loro interpretazioni restano, a mio avviso, discutibili; li definirei piuttosto “areligiosi” che “sopra-religiosi”.

Anche René Guénon, per ALF, appartiene senza dubbio a queste grandi figure:

Ma Guénon studiò l’esoterismo dall’interno, e quindi con una capacità di penetrazione superiore a quella di chiunque altro, compresi Jung, Evola e Zolla.

Bérard chiede poi a La Fata di indicare eventuali rappresentanti contemporanei di pari statura. Egli risponde:

In Francia penso all’École Pratique des Hautes Études, dove vi sono studiosi di grande valore come Jean-Pierre Brach e Jean-Pierre Laurant. […] Forse dovrei aggiungere anche l’austriaco Hans Thomas Hakl, che ha sviluppato competenze straordinarie su questo tema e possiede forse una delle biblioteche più belle e ricche al mondo dedicate all’esoterismo; credo addirittura che superi quella messa insieme da Umberto Eco. […] In Italia considero Alessandro Grossato, Nuccio D’Anna, Claudio Lanzi e Dario Chioli tra i rappresentanti più importanti e autorevoli. In realtà, non esistono molte altre personalità di primo piano nel campo dell’esoterismo nel mondo, ma vi sono studiosi di talento che non pubblicano e di cui sappiamo ben poco. Io stesso, nel corso della mia vita, ne ho incontrati e conosciuti diversi.

Infine, Bérard gli chiede quali siano, secondo lui, i requisiti minimi per un principiante nel campo dell’esoterismo. La Fata risponde:

Direi che troppa erudizione è inutile, e che un’appartenenza a un’organizzazione esoterica può essere insufficiente: i membri vi hanno accesso solo a ciò che è strettamente necessario per percorrere il cammino proposto. Per me contano soltanto le capacità, il temperamento, le virtù, la vocazione, la pazienza, la costanza, l’impegno — in breve, tutte quelle qualità umane e intellettuali che costituiscono le condizioni necessarie e imprescindibili per ogni autentico percorso interiore (pp. 213 sgg.). 


03/12/25

In uscita il nuovo numero de Il Corriere metapolitico

 

Sommario:
Editoriale di Aldo La Fata, p. 7; 
 Studi su San Michele Arcangelo: E.F. Scriptor, Le origini remote di S. Michele (considerazioni di carattere storico), p. 9; A cura della Redazione: Sul simbolismo di San Michele Arcangelo, p. 25;
Oraldo Paleologo, 
La Spada e la Bilancia. San Michele nell’arte, p. 51; • Intermezzi: Spyridon St. Kogkas, La presenza dell’Arcangelo Michele, p. 83; • Studi: Nuccio D’Anna, Abraham e la conquista della Terra Promessa, p. 65; • Contributi metapolitici: Theophilus Burg, Il significato metapolitico di San Giovanni Cassiano per il fondamento spirituale del cristianesimo europeo, p. 91; • Contributi teologico-filosofici: Dario Rinaldi, Riepilogo sul sistema della Verità, p. 100;
• Intermezzi: Marianne Bottari, Le nouveau monde, p. 114; • Recensioni: Igino d’Antonio, Sul presunto vangelo segreto di S. Marco, p. 121; Dario Chioli, Albert Béguin, Léon Bloy mistico del dolore, p. 135; D.C., Léon Bloy, Il sangue del povero, p. 138.

02/12/25

Gaston Bouthoul e la sociologia della politica come scienza del conflitto. Una lettura metapolitica

 

La recente pubblicazione, per le Edizioni Il Foglio, del volume Sociologia della politica di Gaston Bouthoul, a cura di Carlo Gambescia e Jerónimo Molina, restituisce al pubblico italiano un testo di eccezionale rilievo nella genealogia della scienza sociale novecentesca. L’opera, originariamente apparsa in Francia nel 1965 e oggi riproposta in edizione arricchita da una bibliografia ragionata e da un apparato iconografico, consente di accostarsi a un autore che, pur rimasto marginale nel canone accademico, occupa una posizione centrale nella storia del pensiero politico e sociale.

Nato a  Monastir (Tunisi) nel 1896 e morto a Parigi nel 1980, Bouthoul non fu un professore di carriera né un accademico di sistema, ma un ricercatore libero, refrattario tanto ai conformismi universitari quanto alla pretesa “neutralità assiologica” della sociologia positivista. Sociologo, demografo e filosofo della storia, egli si colloca all’incrocio di discipline differenti, nel punto in cui la riflessione scientifica incontra l’interpretazione antropologica e culturale del conflitto. È noto soprattutto come fondatore della polemologia, ossia di quella scienza che assume la guerra non come accidente patologico della civiltà, ma come fenomeno ricorrente e strutturale della vita collettiva. L’obiettivo è individuare le costanti biologiche, demografiche, economiche, psicologiche e politiche che rendono il conflitto una realtà regolare, non un’anomalia episodica, bensì una funzione interna all’organizzazione sociale.

La curatela di Gambescia e Molina, sobria nell’impianto ma intellettualmente densa, restituisce a Bouthoul la sua autentica collocazione nel panorama del pensiero politico del secondo dopoguerra. I curatori sottolineano come la sua sociologia rappresenti l’esatto opposto del “presentismo” oggi dominante nella disciplina – quella visione che appiattisce l’orizzonte storico in un eterno “presente” –, ricordando al tempo stesso che Bouthoul fu stimato da Julien Freund, disprezzato da Alfred Sauvy e, più in generale, frettolosamente liquidato dagli specialisti come un dilettante. I curatori osservano invece acutamente come il suo pensiero “si collochi idealmente tra i sociologi ‘liberali’ quali Tocqueville, Spencer, Weber e Pareto” (p. 8), delineando così una genealogia intellettuale che, pur estranea agli schemi accademici, lo lega ai grandi analisti della società moderna.

Il volume si articola in tre grandi sezioni - Le istituzioni, Gli uomini, Le finalità e le forme dell’azione politica - che tracciano una vera e propria morfologia del potere, dalle strutture e mentalità politiche, alle gerarchie biologiche, economiche e sacrali, fino alle motivazioni profonde dell’azione collettiva. In tale quadro, libertà e violenza non si contrappongono, ma rappresentano i due poli dialettici di un medesimo principio antropologico, ovvero la lotta come fondamento della vita sociale.

Poiché non è possibile affrontare qui la complessità di tutte le questioni sollevate dal volume né citare i tanti passaggi folgoranti alternati da citazioni di autorità famigliari alla cultura tradizionale (da S. Agostino a Ernst Jünger passando per Lao Tse), ci si limiterà all’esame del nucleo teorico essenziale della polemologia bouthouliana, individuabile in due assi complementari: la guerra come fatto sociale regolare e ricorrente e la guerra come valvola demografica.

Secondo Bouthoul, il fenomeno bellico si ripresenta con periodicità costante nella storia dei popoli e non può essere ricondotto né alla follia dei governanti, né a errori diplomatici o a deviazioni morali individuali. La guerra obbedisce, piuttosto, a cause collettive e strutturali, a tensioni di ordine biologico, economico e demografico che, una volta superata una soglia di saturazione, si traducono in esplosione di violenza. In tal senso, Bouthoul ipotizza un nesso diretto tra sovrappopolazione e conflittualità. La guerra agirebbe come un meccanismo - in gran parte inconscio - di regolazione della pressione demografica e delle tensioni socio-economiche conseguenti e quindi apparirebbe, paradossalemnte, come uno squilibrio necessario, come un evento tragico, ma funzionale al ristabilimento di un equilibrio compromesso dall’eccesso di crescita.

A mio modo di vedere, il concetto di “regolarità” formulato da Bouthoul potrebbe essere letto, in chiave comparativa, come la trasposizione secolarizzata della nozione arcaica dei cicli cosmici propri alle dottrine tradizionali e in particolare alle dottrine indù. Là dove il sociologo constata la ricorrenza storica della guerra, le cosmologie tradizionali vedono nel conflitto il segno della degenerazione di un ciclo, l’effetto di una frattura tra l’ordine celeste e quello terreno. La ripetitività del fenomeno, per Bouthoul, è indice di causalità sociale mentre per la Tradizione, è sintomo escatologico, un segnale che accompagna la dissoluzione di un’epoca.

Nella visione tradizionale, l’ultima fase del ciclo - il Kali-Yuga in India, o il tempo dell’Anticristo nel cristianesimo - è contrassegnata da un’intensificazione del conflitto, dalla massima visibilità della violenza e dalla perdita della dimensione sacrale della guerra. In modo sorprendentemente analogo, Bouthoul individua nel boom demografico del XX secolo - da un miliardo di abitanti nel 1900 ai quattro miliardi da lui censiti negli anni Sessanta, fino agli otto miliardi odierni - la causa principale dei due conflitti mondiali. Si tratta, per lui, di un effetto quantitativo, di una sorta di hybris numerica che destabilizza il corpo sociale.

A un livello più profondo, René Guénon, nel Regno della quantità e i segni dei tempi (1945), giunge a una conclusione simile ma fondata su presupposti metafisici. Per il metafisico francese, la guerra moderna - generata dalla quantificazione integrale dell’esistenza, dalla meccanizzazione e dalla massificazione della vita - rappresenta, in opposizione alla lettura puramente statistica di Bouthoul, la manifestazione esteriore di una disintegrazione interiore dell’uomo moderno, di cui egli offre la diagnosi metafisica.

Anche Silvano Panunzio svilupperà un discorso analogo a quello di René Guénon, ma stavolta nel solco del pensiero cristiano tradizionale. Il cattolico ferrarese in Metapolitica – La Roma Eterna e la Nuova Gerusalemme (1976) vedrà la storia come un dramma sacro-politico in cui la civitas dei (metapolitica), la civitas terrena (politica) e la civitas diaboli (criptopolitica) si fronteggiano. La guerra è da questo punto di vista una sorta di rivelatore escatologico e ogni conflitto mondiale è una “apocalisse ridotta”, ovvero una prefigurazione del giudizio finale in cui le potenze celesti e quelle inferiche che guidano la storia sotto parvenze ideologiche o economiche o tecniche si scontrano. Panunzio conserva la nozione di bellum iustum agostiniano-tomista, ma osserva che nel mondo moderno la guerra tende a perdere ogni riferimento a un ordine trascendente, dissolvendosi nel puro conflitto tecnico-ideologico. Nessun evento dunque, neppure quello apparentemente più profano, può essere escluso dalla dinamica redentiva. Da questo punto di vista, la sociologia della guerra o polemologia di Bouthoul si rivela descrittiva ma non discriminante. Questo il suo limite.

Ma nonostante la distanza dei presupposti, Bouthoul e i pensatori tradizionali come Guénon e Panunzio convergono su alcuni punti essenziali. Anzitutto, la negazione dell’accidentalità della guerra. Per entrambi infatti, il conflitto non è un incidente della storia ma ha una sua legge interna e cioè è un fenomeno strutturale, inscritto nel ritmo stesso del divenire; per entrambi l’idea progressista di una storia lineare orientata verso un indefinito “meglio” è da escludere con il ché si va a smentire ogni teleologia ottimistica; per entrambi, infine, occorre diffidare del pacifismo ideologico, per Bouthoul, perché la pace non può nascere da un’esortazione morale, ma solo da un equilibrio organico di forze contrapposte e per i pensatori della Tradizione, perché il pacifismo tradisce una visione puramente biologica dell’esistenza che non solo non comprende l’importanza del sacrificio come elemento sacro che trascende la mera conservazione della vita, ma che vorrebbe addirittura cancellarlo persino esistenzialmente.

Si potrebbe a questo punto affermare che la polemologia di Bouthoul fornisce la base empirica per una possibile polemologia metapolitica. Laddove la polemologia registra i sintomi della malattia, la Tradizione ne offre la diagnosi metafisica ed escatologica; laddove la sociologia del conflitto descrive il fenomeno visibile, la metafisica della guerra ne svela le cause invisibili.

Tuttavia, non possiamo nasconderci il fatto che l’apparente neutralità di Bouthoul che riduce la guerra a mero fenomeno demografico implica un sotteso biologismo sociale. In tal senso, ad avviso di chi scrive, Bouthoul partecipa suo malgrado a quel processo di immanentizzazione del sapere moderno, in cui l’analisi empirica avanza, ma a prezzo della perdita delle dimensioni superiori dell’intelligenza.

Un progresso nella sintomatologia, ma un regresso nella comprensione del dramma cosmico che attraversa la storia umana. Solo una lettura integrata capace di assumere la polemologia bouthouliana come archivio dei fenomeni e la metafisica tradizionale come criterio di verità, potrebbe costituire un terreno fecondo di indagine e, se mai fosse accolta nell’ambito della prassi politica, persino un argine contro molte delle calamità storiche che affliggono l’umanità. Ma si tratta, verosimilmente, di una pia illusione, poiché proprio le religioni tradizionali, che dovrebbero alimentare e amplificare tale visione, appaiono oggi assorbite quasi interamente dallo sforzo di sopravvivere in un mondo che le respinge, più che dal compito di illuminarlo.

Aldo La Fata

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