30/07/17

Complottismo e anticomplottismo, pari sono?



di Carlo Gambescia
 
Il punto di vista dell'osservatore

La domanda posta nel titolo è insidiosa. Perché dal punto di vista ideologico, della razionalizzazione (giustificazione) della realtà,  quindi restando sul piano del fenomeno osservato,  complottismo e anticomplottismo sono due posizioni  che si  affrontano e negano l’un l’altra, impiegando gli strumenti retorici più diversi. Talvolta i due estremi finiscono addirittura per sfiorarsi.
Il discorso muta invece, se si ragiona dal punto vista dell’osservatore del fenomeno. Dello studioso. che deve giudicare le razionalizzazioni secondo la loro lontananza-vicinanza dalla realtà: nel caso, la realtà sociale. Ovviamente, la  nostra impostazione,  che definiamo sociologica, presuppone due pre-assunti cognitivi, che per ragioni di correttezza scientifica non possiamo non sottolineare: 1)  la distinzione tra la realtà dell’osservato (razionalizzata, secondo finalità retoriche e conflittuali,  che quindi si "sovrappone"  alla realtà)   e quella di chi osserva (che "combacia" o quasi con la realtà) ; 2)  un'idea, come poi vedremo,  della  realtà sociale, come entità oggettiva,  quindi sufficientemente vicina alla realtà fino al punto di aderire a essa,  che può servire di guida a colui che osserva, per giudicare le argomentazioni degli osservati.
Pertanto, ripetiamo,  studieremo il fenomeno dal punto di vista dell'osservatore e di una teoria sociologica  della realtà sociale come entità oggettiva. E, nei "limiti" di questo approccio, proveremo a dare una riposta alla questione.  Una risposta non la risposta.

Julius Evola e Adam Smith  

Ora, cosa sostiene, in ultima istanza,  il complottismo?  Che i fili della realtà sociale sono ben tenuti, per i propri fini, da un  ristretto gruppo di individui, dotato di larghi mezzi, che decide per tutti gli altri. Cosa sostiene invece l’anticomplottismo? Che i fili della  realtà sociale sono mossi  dalle  azioni di  milioni e milioni  di individui,   tesi, a perseguire, con risorse molto differenti,  i propri interessi, nel senso che ognuno decide per se stesso.  Per dare un senso simbolico alla nostra affermazione:  da un alto c’è Julius Evola, prefatore dei “Protocolli”, dall’altro Adam Smith con sottobraccio la sua “Ricchezza delle nazioni”.  
Quale delle due teorie, per così dire, è più vicina alla realtà sociale così com’è, quale entità oggettiva. Sicuramente quella anticomplottista. Perché seppure esiste  un incappucciato,  il suo nome è "società". Ci spieghiamo  meglio.
Si prenda come esempio di fenomeno sociale il "capitalismo" (per usare la terminologia marxiana). Esso  non è  il magnifico frutto proibito  di una decisione presa a tavolino, del tipo “fondiamo il capitalismo”,  secondo  dettami  costruttivistici.  In realtà, si tratta  di un sistema economico-sociale  che si è prodotto, a livello macro,  non attraverso le leggi del materialismo storico (come sosteneva Marx) e neppure per mezzo delle decisioni segretissime di un gruppo di massoni, ebrei, senza dio assortiti (come sosteneva il pensiero reazionario),  ma si è sviluppato, a livello micro,  mediante le scelte,   poi  premiate (ma solo dopo), di milioni e milioni di individui: si potrebbe parlare di micro-decisioni confluite, senza alcuna intenzione più generale, nella macro-costruzione di un sistema storico. Giorno dopo giorno, senza che nessuno sapesse nulla della meta. L'opposto, quindi, dell'ipotesi costruttivista.

Logica del successo?
 
In altri termini, il capitalismo ha provato, attraverso un meccanismo di selezione evolutiva, di essere migliore di altri sistemi. E quindi di venire scelto come tale.  Ma solo dopo alcuni secoli. Marx fu il primo a trovargli un nome,  a posteriori e da nemico. Logica del successo? Certo. E proprio perché tale, non esclude che, sempre per quell’effetto di ricaduta dei  milioni e milioni di decisioni inintenzionali ( nel senso dell'assenza di "una" finalità collettiva prestabilita),  il capitalismo, in futuro, sempre ad opera di un meccanismo di selezione evolutiva, possa (preferiamo, il congiuntivo delle scienze sociali serie) essere sostituito da un altro sistema.  
Insomma, la "fabbrica sociale" - siamo  nel cuore cuore della nostra analisi -   funziona così. Eccoci finalmente dinanzi alla società come entità  oggettiva, o se si preferisce,  quale  "fatto sociale".  Ripetiamo, non esiste perciò un gruppo di "incappucciati", addirittura con nomi e cognomi, bensì un "sistema incappucciato" contraddistinto da interazioni decisionali individuali, dalle finalità collettive imprevedibili. Ciò significa, se non fosse ancora chiaro,  che  il complottismo, che parla di finalità prestabilite  ( quindi prevedibili), addirittura decise intorno a un tavolo da un gruppo di "illuminati",  è una forma di costruttivismo. Se si vuole, al suo grado zero.
Il che indica, sotto il profilo scalare (dal grado zero in su), che quel che rimane più difficile, se non impossibile, è l’imposizione dall’alto  di un  qualsivoglia sistema ( tipo “fondiamo questo, fondiamo quell’altro”).  L’analisi e i disegni costruttivisti, proprio perché si allontanano dalla realtà, come mostra l’ esperienza sovietica (il "top" in tale ambito),  hanno sempre durata limitata (certo, parliamo sempre di “tempi storici”). Insomma,  le società-fatto oggettivo, come insieme di meccanismi dotati di forza propria, perché frutto di milioni e milioni di micro-decisioni, non possono essere governate dall'alto, come caserme. Ad esempio, il grande storico Jacques Pirenne, scorgeva, addirittura all'interno della storia sociale dell'Antico Egitto, l'alternarsi di periodi segnati dall'assolutismo e da un individualismo che prepotentemente tornava sempre a riaffacciarsi. Anche tra le piramidi.
Per fortuna,  come la storia insegna, pur tra alti e bassi,  la libertà, che è, sostanzialmente, libertà di scelta, si vendica sempre, checché ne pensino i vedovi e le vedove inconsolabili dei francofortesi.

Il mago della pioggia e l'ingegnere
 
Perciò - ecco la lezione del "politico" -   se talvolta, si deve ricorrere alla costrizione, è bene  che si tenga sempre presente la logica del male minore e dei tempi brevi.  Regola, come insegna lo studio delle costanti o regolarità metapolitiche, che vale per ogni tipo di sistema politico-sociale ed economico. Ad esempio,  l'esistenza delle michelsiana ferrea legge dell'oligarchia, costante metapolitica per eccellenza,  rinvia alla forma dei rapporti politici e sociali, se si vuole al lato gerarchico, statico,  trans-storico,  del comando e dell'obbedienza,  non ai suoi contenuti,  intra-storici quindi  dinamici,  mutevoli, imprevedibili,  perché  esito dell'effetto di ricaduta del meccanismo micro-decisionale.        
Questo è quanto  dal punto di vista di chi osserva, il nostro, come già detto. Ovviamente, tra gli osservati, e qui pensiamo al conflitto  tra  complottismo e anticomplottismo, le posizioni risentono degli eccessi retorici  della sfida, anche verbale: il conflitto non è tra verità e realtà sociale, tra dover essere ed essere, ma tra due forme di dover essere. Sicché, il complottista finisce per  sentirsi dalla parte della ragione storica, ignorando i pericoli  del costruttivismo,  mentre gli anticomplottisti da quella della ragione scientifica,  sottovalutando il fallibilismo.
In realtà,  gli uni e gli altri mostrano, purtroppo,  di  non aver  mai  trovato  il tempo per approfondire le tesi di Popper sulla miseria dello storicismo (antinaturalistico e pronaturalistico).  Non è una battuta ( o almeno non solo),  perché l'aureo testo popperiano  spiega, alla stregua delle opere più sociologiche di Pareto, Hayek,  Schumpeter, come la predizione nell'ambito delle scienze sociali sia relativamente  più facile rispetto alla comprensione di ciò che non può avvenire mai, piuttosto che a quella di ciò che può accadere. Del resto, anche Mises, da par suo,  spingendosi più là,  prende le difese delle logicità argomentativa sul piano dei concetti, rispetto al calcolo statistico, giudicato, sul piano previsionale, imperfetto ed erroneo.
Ma, ripetiamo, con questi autori,  siamo  nell'ambito dell'osservazione del fenomeno sociale, e di una teoria sociologica  della realtà sociale come entità oggettiva   non in quello delle razionalizzazioni degli osservati, spesso di basso livello e di natura tattica. Ciò non toglie che il buon giornalismo investigativo -  che sta alla scienza della società, come il mago della pioggia, che ogni tanto "ci prende", all'ingegnere, metodico costruttore di bacini e dighe -  non possa indagare e scoprire congiure, come dire, "localizzate". Anche Adam Smith preconizzava e temeva gli accordi segreti tra imprenditori monopolisti. E invitava opinione pubblica e potere politico a vigilare. Ma da qui a teorizzare, con Julius Evola,  un complotto mondiale, ce ne vuole.  

Il mistero sociologico
 
Chi osserva sa, soprattutto  il  sociologo, che la società, nelle sue varie forme storiche, quanto ai suoi fini, rimane una macchina misteriosa, affidata a milioni di "guidatori". Altro che il gruppetto di incappucciati soli al comando...  Sicché, inevitabilmente,  il sociologo-osservatore non potrà non nutrire comprensione per gli anticomplottisti,  che,  magari senza neppure saperlo,  contrastano il rigido costruttivismo complottista,  nonché, cosa fondamentale, il suo rifiuto del "mistero".
L'anticomplottismo, infatti,  prende atto,  anche se  in modo indiretto,  dell'unico vero grande mistero, almeno su questa terra: quello sociologico.  Che consiste  nell'indecifrabilità del senso collettivo delle azioni umane.  Un mistero, glorioso e doloroso insieme,  davanti al quale lo studioso di scienze sociali, il vero studioso, deve  "religiosamente"  inchinarsi.
  

Segnaliamo sul medesimo argomento dello stesso autore i seguenti contributi:

Maurizio Blondet e il complottismo, un’analisi sociologica

Ci wikirisiamo:  Cia utilizza tv e smartphone per spiare Assange, il re dei subprime delle fregnacce (pardon)

“Complottismo”, “anticomplottismo” e uso dell’ombrello
 


15 commenti:

  1. Innanzitutto ringrazio Carlo Gambescia per avermi permesso di ospitare sul “Corriere metapolitico” le sue riflessioni sul tema affascinante e controverso del complottismo. La nostra da sempre è un’aperta e libera tribuna dove dibattere, analizzare, proporre, migliorare e consolidare i temi che più ci stanno a cuore, senza esclusioni o preclusioni di nessun tipo, cosa che i nostri contraddittori di turno si ostinano a non voler capire preferendo evidentemente il pensiero unico al pensiero plurale. Mi corre quindi l’obbligo di ribadire per l’ennesima volta che ciò che viene presentato in questo blog non descrive né rappresenta necessariamente il nostro punto di vista, ma serve semplicemente da stimolo per una riflessione comune. Detto questo, riporto il commento di un lettore anonimo che così si esprime: “ho le prove che l'anticomplottismo è un complotto e che il complottismo è un modo per sputtanare i complotti, che sono sempre esistiti. La storia ne è stracolma”. Evola che Gambescia annette tra i “teorici del complotto”, avrebbe definito questo modo di ragionare “deriva cospirazionista”. Tuttavia, nessuno nega, certamente neanche Gambescia, l’esistenza storica dei “complotti”. Non è questo il punto. E’ la forma mentis del complottista e dell’anticomplottista ad essere messa in discussione. Nessuna delle due è esente dall’errore, ma nessuna delle due è disposta a riconoscerlo ed è un pregiudizio ideologico ad impedirlo. Un pregiudizio che allora però diventa dirimente per decidere le ragioni degli uni e degli altri.
    Per quanto riguarda Evola vorrei dire che egli non fu certamente un volgare “complottista” alla Leo Taxil o alla David Icke, ma che in qualche modo, soprattutto con la faccenda dei “Protocolli” da lui considerati come “un documento falso che dice la verità”, non riuscì effettivamente a sottrarsi alla tentazione del “costruttivismo”. A differenza del Guénon che anche teoreticamente si mosse sempre su un piano differente e più alto, meno politico e meno ideologizzato appunto. Una cosa infatti è prendersela con ebrei, massoni e comunisti, altro è parlare di «determinazioni qualitative del tempo» e simili! D’altronde il “metodo tradizionale” inaugurato proprio da Guénon, nulla ha a che spartire col metodo oggettivo di indagine e di ricerca storica e cronachistica che invece è tipico tanto dei complottisti come degli anticomplottisti.
    Circa infine, l’indecifrabilità del senso collettivo delle azioni umane, come unico grande mistero sociologico, mi sento di concordare pienamente con l’amico Carlo. Cionondimeno ritengo che il significato dell’uomo e del suo agire anche in senso collettivo, vada indagato a partire dal riconoscimento della sua natura spirituale e del suo finalismo teleologico. Senza questo riconoscimento non potrei neppure dirmi cristiano.

    RispondiElimina
  2. Grazie Aldo per aver ospitato il mio articolo: ne sono onorato. Vorrei puntualizzare solo una cosa: io aggancio la mia analisi, che dunque ha natura occasionale (ma la ricerca è occasionalista, coglie le occasioni…), a una teoria oggettiva del “sociale”, che, quindi, rinvia a qualcosa che va oltre il complottismo e l’anticomplottismo. Teoria alla quale lavoro da tempo, che, spero, possa prima o poi confluire in uno studio di carattere generale, sempre sociologico. E metapolitico (però alla Carlo Gambescia… :-) ).
    Ritengo, Evola e Guénon, due pensatori interessanti e degni di rispetto, a prescindere: del primo mi sono anche occupato in un mio studio.
    Nell’articolo, “uso” Evola, come esempio di approccio costruttivista, per contrapporlo a Smith, “usato”, come Evola, sempre simbolicamente, quale esempio di approccio interazionista (non costruttivista). Tutto qui.
    A mio modesto avviso, l’anticomplottismo, nel suo aspetto fallibilista (se vuoi non scientista) - per questi aspetti ti rinvio agli autori citati nell’articolo - si avvicina di più alla teoria oggettiva della società, che qui definisco “interazionista”. A differenza della teoria costruttivista che invece,come scrivo, eccetera, eccetera.
    Perciò, semplificando: analisi del complottismo e dell’anticomplottismo, come momento - se vuoi occasione - di una più ampia analisi, eccetera, eccetera.
    Nonché - ecco l’ altro scopo che mi proponevo - occasione per trasferire la discussione, o se vuoi, “elevarla”, dal piano ideologico a quello teorico, come dire, cognitivo: il piano della teoria sociale, oggettiva: della società “come è”, dal punto di vista sociologico, non “come dovrebbe essere” dal punto di vista ideologico, morale, filosofico, religioso. Di qui, anche la distinzione tra “chi osserva” e “coloro che osservano". E di tutto ciò, sarebbe (stato) bello discutere. Per contro, so benissimo che il lettore “medio” del “Corriere” ha formazione e interessi di altro genere. Quindi, posso comprendere certe reazioni. Che rispetto.
    Ovviamente, “facendo fuori”, per così dire, l’ideologia, la morale, la filosofia, la religione, “riduco” l’ambito esplicativo. Ne sono perfettamente consapevole. Ecco perché, come ho osservato, considero il mio “tentativo” (la teoria generale, eccetera, eccetera), “una” risposta, non “la” risposta. Ubi maior, minor cessat . Tutto qui.
    Un caro abbraccio e un saluto ai tuoi lettori. :-)
    Carlo Gambescia

    RispondiElimina
  3. articolo acuto ma diciamo che i complotti avevano senso nelle monarchie assolute ,ho letto delle lettere di Filangieri su treccani sulla religione che danno ragione ai reazionari antimassonici ma per il resto anche l'approccio interazionista con la sua mano invisibile forse non rende giustizia ,credo in una visiona complessa multipolare dove ci sono gruppi di pressione tra cui anche noi nel piccolo dove la volontà il progetto esiste ma le spinte contrastanti producono anche una eterogenesi dei fini , il complottismo è illuminista esiste un soggetto centro ego che vuole governare e controllare tutta la comunità oltre che la propria anima , l'interazionista è relativista e pragmatico anglossasone ,progetti Individuali a breve termine senza una visione collettiva ....ma quando vanno male gli affari Caro Aldous questi sono i primi a votare e mandare al potere i vari Adolfo di turno nella speranza di potere continuare a far bottega.

    RispondiElimina
  4. Antonello Colimberti1 agosto 2017 alle ore 18:22

    Condivido pienamente la prospettiva di Gambescia. Grazie a tutti!

    RispondiElimina
  5. Grazie Carlo per aver chiarito ai lettori del Corriere e anche al sottoscritto il tuo punto di vista. Personalmente prediligo un approccio multidisciplinare al sapere e pertanto ritengo ricco e fecondo il tuo intervento. Certo non facile per i non specialisti della materia, ma quanto mai necessario a meglio cogliere la complessità della realtà in cui, volere o volare, ci tocca vivere. "Lo gnostico - ha scritto Clemente Alessandrino ne Gli Stromati - si serve delle discipline apprese come di esercizi preparatori cooperanti sia a porre in luce l'esatta tradizione della verità, sia alla prevenzione delle mali arti di discorsi tesi alla distruzione della verità". Appunto.
    Ricambio il saluto e l'abbraccio.

    RispondiElimina
  6. Grazie Aldo. Sulla citazione di Clemente Alessandrino, che dire? Touché. Quante cose non si sanno :-) C'è sempre da imparare. Ringrazio dei commenti il professor Colimberti e il signor Costa. Buona serata a tutti. :-)

    RispondiElimina
  7. Grazie a lei professor Gambescia.

    RispondiElimina
  8. Ho sempre dubitato della sociologia e, di conseguenza, dei suoi araldi. È vizio della modernità quello di dividere a compartimenti stagni lo scibile umano, ogni branca ha la sua visione delle cose e dell'uomo: psicanalisi, psichiatria, fisica, biologia, sociologia, etologia, ecc. . La sociologia nega che tutte le forme del pensiero siano solidali; non conosce certezze proprie, se non a condizione d'ignorare ciò che essa non è. Alla pretesa del sociologo dogmatico che, portatore d'una verità assoluta, vuole staccarsi dall'evoluzione storica (come se la verità, anche relativa, non si valorizzi col contributo della storia!), si aggiunge paradossalmente il desiderio di comprendere l'insieme del sociale, che spinge il sociologo a collegarsi facendo acrobazie con nozioni di valore, di redditività, di demografia, di morfologia... La sociologia attende, dalla semplice notazione dei fatti, una immediata rivelazione dell'insieme delle cose. Raccogliendo dati sparsi, la progressione scientifica elimina a priori ogni ricerca dei significati. I nuovi maestri del pensiero lasciano sempre capire che la loro oggettivazione può anche avere valore di ontologia. È una falsa scienza, perché si illude di poter dotare l'uomo di un organo di conoscenza originale, in realtà ha per solo risultato di privarlo di se stesso. Una volta appiattito, divenuto soggetto sociale, non gli resterà, per tutta la vita, che prestarsi ad esser fatto e rifatto secondo direttive esterne. Alla disperata ricerca d'invarianti universali, il pensiero sociologico s'illude - aprendo incessantemente nuove strade, sfruttando nuovi metodi - d'irradiarsi verso l'onniscenza, quando invece quel che esso offre costituisce semplicemente un interminabile repertorio di rubriche. Il sociologo non smette di parlare del mondo, della natura, delle collettività, delle differenziazioni e delle variabili, il tutto senza coscienza, obliando in questo modo la fonte della conoscenza. Il sociale, se potesse valersi di coscienza, non si confinerebbe più nella condizione statica di oggetto di studio, ma si trasformerebbe in situazioni. Ma non voglio tediare ulteriormente.
    In merito ai complotti, cospirazioni ed altre carbonerie simili. Chi nega che vi sia "un dietro le quinte" ai fatti, agli uomini, alla storia, o è complice del complotto o è cieco per scelta. Non c'è bisogno di incappucciati o di compagni di Baal, di Beati Paoli o di Illuminati di Baviera, per sentire, ripeto sentire che la realtà (pregiudizio borghese) è una costruzione artificiale, una Matrix che ci pervade per ogni dove. Dietro gli interstizi del quotidiano ma anche sui giornaloni di regime si respira aria mefitica, attraverso segni, messaggi, simbolistiche, parole d'ordine. I complotti li fanno uomini in doppiopetto, che decidono se la Grecia deve morire e quando l'Italia cederà tutta la sua sovranità nazionale (siamo a buon punto). Vi sono centrali ideologiche che producono stati d'animo, eggregore, se vogliamo usare un lessico magico. La Massoneria poi, non è certo un ente assistenziale per farmacisti e notabili, infatti gli elenchi dei fratelli sono ben lacunosi, almeno quelli inviati al Ministero degli Interni. Chissà perché?

    RispondiElimina
  9. Caro Angelo, meglio araldo, se ti riferivi a me ovviamente, che un'altra cosa... :-). Sai che apprezzo il tuo stile brillante. Ti ho letto attentamente. Faccio, comunque, miei i tuoi interessanti rilievi. Sui quali rifletterò. C'è sempre da imparare. Grazie. Un cordiale saluto. Carlo Gambescia.

    RispondiElimina
  10. Una persona come Carlo, da sola, sarebbe sufficiente a farmi rivedere certe posizioni di aspra critica nei confronti della sociologia. Ovviamente una rondine, sebbene splendida nel suo volo, non fa primavera. Rimango del parere su accennato, tuttavia son pronto a dibattere e riflettere. Non ho la scienza infusa, mi aggrappo con fatica a certi punti fermi millenari: l'anima dell'uomo può degenerare come il suo corpo e la società è il declino della civiltà.

    RispondiElimina
  11. Caro Angelo, grazie per le generose parole. So che autocitarsi non è bello, ma ti copio e incollo la chiusa del mio "Metapolitica" (2009), dalla quale si evince che non escludo dalla mia sociologia metapolitica (metapolitica, non nel senso del Panunzio), alcun passaggio a un piano superiore.
    Certo, resta il problema del collegamento tra i due piani, che un approccio relativista, basato "sulle" verità , può rendere difficile rispetto alla ricerca "della Verità". Me ne rendo perfettamente conto... E, credimi, per me è motivo di travaglio interiore.
    Ecco la mia chiusa:
    "Naturalmente, per quest’ultimo passaggio (dalla metapolitica all’Assoluto), siamo davanti a una scelta individuale, che esula dalla metapolitica in senso stretto, come qui è stata trattata. Siamo infatti al cospetto di un scelta tra etica dei principi ( o dei fini) ed etica della responsabilità (o dei mezzi). Dove non basta più il weberiano scegliere in termini di mezzi, una divinità sapendo di offenderne un altra. Ma occorre credere in un Dio, in termini di fini, accettando anche l’ estremo sacrificio. E per chi sia cristiano di sostituire alla X (ics) di Sorokin la † (croce) di Cristo. Perché se la si accetta la si deve portare fino in fondo. Oltre la metapolitica.
    Ma questa è un’altra storia. E forse un altro libro."
    Libro che devo ancora scrivere.
    Un abbraccio! Carlo

    RispondiElimina
  12. Caro Carlo, letta la tua chiusa. Beh che dire? Sei sulla Via che ti apre a nuovi orizzonti.

    RispondiElimina
  13. Ringrazio Angelo Ciccarella e Carlo Gambescia per il modo garbato e cavalleresco con cui hanno incrociato le loro rispettive lame e li saluto entrambi con amicizia.

    RispondiElimina