11/04/17

L'Astuto Omero di Alberto Majrani


“Una bugia fa in tempo a viaggiare per mezzo mondo mentre la verità si sta ancora mettendo le scarpe.”
Mark Twain


Strana  storia,  quella di Ulisse. Possibile che il re di Itaca  se  ne stia  lontano per vent’anni, struggendosi dal desiderio di rivedere  la  sua  patria, abbandoni  una  bellissima  ninfa che vorrebbe renderlo immortale  per  tornare  da una moglie non più giovane,  rientri a casa dopo una pericolosissima traversata in solitaria,  nessuno lo riconosca, neanche il padre o  la  moglie stessa, ne ammazzi tutti i pretendenti rischiando di  provocare  una  sanguinosa  rivoluzione, e finalmente,  quando  avrebbe tutto  il diritto di starsene un po’ tranquillo,  decida  di ripartire di nascosto lasciando tutti con un palmo di  naso? D’accordo,  è un racconto mitologico, però,  insomma, non  è molto...  logico!
E se Ulisse non fosse stato... Ulisse? Già in molti hanno avuto una  intuizione simile, ma il suggerimento di una  possibile ricostruzione realistica della vicenda ci  arriva  dal formidabile e controverso “Omero  nel Baltico”,  saggio  sulla  geografia omerica  di  Felice  Vinci, di cui potete trovare un’ampia analisi critica nella seconda parte di questo volume. Quasi di sfuggita, tra le  pieghe  del discorso, Vinci ipotizza che  il  figlio  di Ulisse, Telemaco, abbia ingaggiato un mercenario per  interpretare  Ulisse e fare strage dei Proci, i pretendenti alla mano della madre Penelope.
Lo stesso  Telemaco avrebbe poi scritturato un poeta per raccontare una fantasiosa storia che potesse  giustificare tutti  gli anni di assenza del padre; oggi forse un avversario politico invidioso definirebbe quel poeta un "pennivendolo di regime" (esistevano già allora, a quanto pare!). Tutto ciò allo scopo di liberare  la reggia  dai  pretendenti che gli stavano  mangiando  tutte  le sostanze; si aggiunga poi che se qualcuno ne avesse sposato  la madre, Telemaco avrebbe perso il diritto alla  successione e al regno; era lei infatti di stirpe nobile, essendo figlia del potentissimo re Icario, mentre Ulisse era  un “parvenu”  che  si era arricchito con l’arte  dei  commerci, della   pirateria e del saccheggio, attività fra le quali a quei tempi i confini erano piuttosto labili. I pretendenti stessi, poi, stavano tramando per toglierlo di mezzo, e quindi bisognava anticiparli al più presto.
Stavo rimuginando  sulla faccenda, quando improvvisamente una possibile soluzione  ha attraversato la mia mente come un lampo. "Oh perbacco, io so chi  era quel mercenario!". Riuscite a immaginarlo? Provate  a pensarci...eppure  ce  lo suggerisce  Ulisse  stesso...quando si trova nella terra dei Feaci. Ulisse afferma di essere il migliore degli Achei nel tiro con l’arco, subito dopo Filottete!
Filottete, chi era costui? Qualcuno forse si ricorda di lui grazie al simpatico cartone animato “Hercules”, prodotto dalla Disney nel 1997, tuttavia in quel caso gli sceneggiatori si sono fatti prendere un po’ troppo la mano dalla necessità di inventare una storia divertente, modificando le vicende e i ruoli dei vari personaggi mitologici, per cui sarà meglio riferirci alle fonti classiche. L’Iliade ci narra che egli era a  capo  di  un contingente degli Achei  che  andavano  alla guerra  di Troia. Ma era stato morso ad un piede da un serpente che  gli aveva causato una grave ferita. La lesione si era infettata tanto da costringere i compagni ad abbandonarlo sull’isola di  Lemno. La  tradizione  mitica, ripresa da  Sofocle in una sua opera teatrale,  racconta  che, secondo una profezia, Troia sarebbe caduta solo con  l’aiuto delle armi di Ercole. Filottete era stato allievo di  Ercole e  ne  aveva  ereditato l’arco e le frecce,  per  cui  venne recuperato sull’isola e curato dal medico acheo Macaone; poi, proprio Filottete  avrebbe ucciso  Paride,  dando un contributo determinante alla  sconfitta  dei Troiani.
Ma  certo! Il mercenario era Filottete! Persino il suo nome già significa "colui che ama possedere".  Questo spiega  molte cose:  conosceva da tempo Ulisse, e quindi si prestava  bene ad interpretarlo, inoltre era “amico di famiglia”, e  dunque poteva essere disposto a rischiare la pelle in una impresa così pericolosa;  era poi un  abilissimo  arciere, evidentemente  abituato  a  un “numero da circo” come quello di attraversare con una  freccia  gli anelli di dodici scuri allineate, il che presuppone  anche un certo allenamento, cosa che Ulisse non poteva più  avere dopo tanti anni per mare. Ammesso  poi che fosse realmente dotato di questa abilità, visto  che  in tutta l’Iliade, poema che è molto più realistico  dell’Odissea, lo stesso Ulisse non usa mai l’arco,  neanche durante i giochi in onore di Patroclo, nei quali vince invece le gare di lotta e di corsa. Da notare inoltre che Omero non dice che Filottete fu abbandonato a Lemno per ordine di Ulisse: questa è un’elucubrazione dei mitografi successivi, poi ripresa anche da Sofocle, che ha rielaborato i vecchi miti per costruirci sopra il suo racconto, non molto diversamente da quanto hanno fatto gli autori della Disney! Quindi non c’è motivo per pensare che Filottete dovesse covare del risentimento nei confronti di Ulisse o dei suoi familiari.
Logicamente, i giovani di Itaca non  conoscevano  Filottete, ma  certo qualche anziano avrebbe  potuto  riconoscerlo, per cui sarebbe stato necessario eclissarsi al più presto a missione compiuta. Come abbiamo detto, egli era stato ferito gravemente al piede dal serpente,  il che doveva avergli lasciato una evidente  zoppìa. E infatti Omero, pur senza dirlo apertamente, fa di tutto per farci capire che il misterioso straniero zoppica: infatti cammina lentamente, appoggiandosi a un bastone, viene paragonato al dio Efesto, zoppo pure lui, si parla insistentemente e senza motivo apparente dei "piedi", fino alla trovata davvero geniale della vecchia nutrice che riconosce “Ulisse” dalla ferita al ginocchio causata  da un   cinghiale    (cosa che non viene mai accennata né nell’Iliade né nel resto dell’Odissea, in cui le gambe del corridore Ulisse sono assolutamente perfette). Il riconoscimento avviene proprio mentre gli lava i piedi, quindi ciò può significare che il problema era nel piede, e non nel ginocchio! Però  Filottete non si  accontentava  di  una cospicua  ricompensa, ma ambiva anche alla  gloria  eterna!  E siccome  non  si poteva rivelare l’inganno, ecco  l’idea  di cantarlo  come  “il migliore degli arcieri achei”,  a  detta addirittura  del  grande Ulisse. Ma vi pare  che  lo  stesso Ulisse, che si potrebbe definire quasi un “miles  gloriosus” ante  litteram, avrebbe ammesso, nel poema a  lui  dedicato, che c’era qualcuno più bravo di lui?? La sua frase, più  che un lapsus freudiano è un vero e proprio “messaggio in bottiglia” lanciato ai posteri, come a dire “chi ha orecchie  per intendere,  intenda!”. E Omero ha lasciato una miriade di messaggi simili in tutto il poema, utili per farci intuire il reale svolgimento della vicenda.
Quanto ad  Ulisse,  probabilmente  doveva essere morto da tempo, ucciso in battaglia o annegato sulla via del ritorno. Lo si può dedurre dal fatto che, in tutta l’Odissea,  l’idea che l’eroe  sia  ormai  defunto viene  ripetuta più volte in modo deciso, mentre l’ipotesi  che possa essere ancora vivo viene avanzata in modo dubitativo.  La stessa dea Atena, sotto l’aspetto del mercante Mente, si  contraddice in modo palese, quando afferma di non essere un indovino, ma che  vuole ugualmente formulare una profezia, per annunciare che  Ulisse tornerà. Ma Mente... mente!
Ed anzi esorta Telemaco a pensare egli stesso a come cacciare i Proci, essendo ormai diventato adulto, per cui il figlio di Ulisse parte a cercare notizie del padre proprio dai suoi migliori alleati. Che dire poi del fatto che Ulisse ad un certo  punto discende nel mondo dei morti? O che nell’episodio di Polifemo  dichiara di chiamarsi Nessuno, per cui il  ciclope  ripeterà che Nessuno lo  acceca, Nessuno lo uccide? Altri messaggi in bottiglia, che... nessuno, finora, aveva preso alla lettera!  E ancora, non appare molto sospetta la straordinaria coincidenza temporale, per cui Ulisse tornerebbe ad Itaca dopo vent’anni,  e dopo poche ore suo figlio sbarcherebbe sulla stessa spiaggia, situata dalla parte opposta rispetto al porto principale? E  poi, cosa dovremmo dedurre dalle tradizionali biografie, secondo le quali Omero era cieco??
Vediamo di  ricostruire con ordine la vicenda, come potrebbe essersi svolta nella realtà. C'è un vuoto di potere a Itaca, il re Ulisse è partito da vent'anni per la guerra e non è più tornato. Il principe Telemaco,  tipico adolescente “problematico”, soffre a Itaca per l'assenza della figura paterna  e sta meditando il modo di liberarsi dai Proci, prima che loro si liberino di lui, e gli soffino eredità e potere. E’ arrivato a  corte un vecchio cantore cieco o quasi, affetto da  cataratta  oppure  vittima  di una ferita, che  ai  tempi  della guerra  aveva  assistito agli avvenimenti.  Magari  è  stato chiamato,  ironia della sorte, dai Proci stessi per il  proprio divertimento. Telemaco ascolta la storia dell’Iliade  e gli viene in mente un piano diabolico: partire con la nave e andare a cercare un arciere abilissimo, killer  infallibile, per eliminare la concorrenza. Che poi passi dalla reggia  di Nestore, sapendo di trovarlo lì, che l’idea gli venga  dallo stesso Nestore o da Menelao, oppure si rechi direttamente da Filottete, e inventi  una storia per motivare la sua partenza improvvisa,  questo non è dato sapere, ma ha poca importanza.
Durante il viaggio di ritorno,  Filottete e  Telemaco  perfezionano il piano: ordineranno al poeta di corte di mettere  assieme  una serie di racconti e leggende di marinai, ambientati in terre lontane, per giustificare la lunga assenza di Ulisse. E così, Filottete viene sbarcato nottetempo in un angolo di  Itaca, assieme alla sua ricompensa in oro e oggetti preziosi (fatta passare come dono dei Feaci ad Ulisse); anche Telemaco sbarca sulla stessa spiaggia con la scusa di andare a visitare le sue proprietà, e tornare in città a piedi,  mentre la nave fa il giro e arriva in porto (per questo i Proci in agguato non  la  vedono transitare).  Filottete-Ulisse  non  viene  riconosciuto  da nessuno,  tranne  che dal cane (che  non  può  “testimoniare”, anche perché muore subito), dalla vecchia nutrice, e in seguito dal padre Laerte, tutti destinati a morire da  lì a poco senza potere smentire la loro testimonianza. Così moriranno pure tutti gli avversari di Telemaco, come tutti i Proci e una dozzina di ancelle  loro compagne. Gli altri servi fedeli, come il porcaro Eumeo e il mandriano Filezio, si preoccupano di comunicarci che riceveranno in premio una bella moglie, una casa e un podere. Mentre un altro amico di Telemaco, l'araldo Medonte, guarda caso porta lo stesso nome del "vice" di Filottete, che aveva preso il comando della spedizione a Troia quando questi era stato lasciato a Lemno.
Quanto a Penelope, difficile che non ne sapesse niente fin dall’inizio, visto che è proprio lei in persona a indire la gara di tiro con l’arco da cui prenderà avvio il massacro dei pretendenti, e comunque non sarà certo lei a denunciare il figlio. Ma Telemaco non può compiere un golpe sanguinoso e farla franca, per cui fa raccontare al poeta di corte una lunga storia in cui il legittimo sovrano è tornato con l'aiuto degli dei per punire gli usurpatori. Compiuta la  strage, anche il falso Ulisse non può restare lì come se niente fosse, perché qualcuno prima o poi lo riconoscerebbe, per cui provvede ad autoesiliarsi, lasciando Telemaco unico erede al trono.  E infine Omero  viene incaricato di mettere in bella copia la  storia dell’Odissea, e magari di aggiungere qualcosina  (raccontata dalla  viva  voce  di “Ulisse”) all’Iliade.  Ma il poeta inserisce tutta una copiosa serie di indizi per fare capire come si sono svolti realmente i fatti. E  se  qualcuno avesse avuto di che eccepire, il poeta sarebbe sempre stato in grado di discolparsi:  “Sono  cieco, come potevo riconoscere  Filottete?  Nulla vidi, tutto  sentii!”. L'Odissea è dunque un poema celebrativo, nato per legittimare la presa del potere da parte di Telemaco attraverso la nobiltà delle sue origini, confermata non solo dal “miracoloso” e vendicativo ritorno del titolare Ulisse, ma anche  dalla volontà divina.
Ma  c’è  un  altro “messaggio   in bottiglia”,  che vale la pena di notare: durante il  viaggio di ritorno dalla reggia di Nestore ad Itaca, Telemaco  porta con sé un certo Teoclimeno, in fuga per avere assassinato un uomo. Teoclimeno viene presentato a corte, dichiara di essere un indovino  e   profetizza che Ulisse è già in patria.  Ci  si aspetterebbe  che Teoclimeno, se non altro  per  gratitudine verso  Telemaco che lo ha  accolto togliendolo dai guai,  si offrisse di dare una mano nel momento cruciale della strage dei Proci.  Invece niente,  sul più bello sparisce dalla  narrazione e non si fa più vedere! Già, ma sarà semplicemente  un caso che “Teoclimeno” sembri quasi, come vedremo, un approssimativo anagramma  di “Filottete”?
Ma  torniamo  ad Omero, il cui nome  può  significare  anche “ostaggio”: è possibile che fosse un Troiano, finito prigioniero  degli  Achei.  Questo spiegherebbe il  motivo per cui si avverte  che fa il tifo per i Troiani, e che conosce  troppe cose  accadute   entro le mura di Troia; se  fosse  stato  un cronista acheo, gli sarebbe stato difficile  ricostruire gli avvenimenti troiani dopo la caduta della città. Ciò potrebbe forse spiegare anche le differenze stilistiche tra Iliade ed Odissea;  per quanto simili, Achei e Troiani dovevano  avere delle  piccole diversità di lingua e di religione,  e  dopo essere  vissuto  per vent’anni tra gli Achei, lo  stile  del poeta  potrebbe  essersi adattato alle  usanze  della  nuova patria.
Invece  il  buon Telemaco doveva essere  un  contaballe  di prima  categoria, ma che a sua discolpa  poteva  esclamare “tale il padre, tale il figlio!”. Per dare un’idea di che bel tipo  fosse,  basta leggere la scena in cui  strangola  con gusto  le  ancelle infedeli. E comunque, era  tutt’altro  che  un ragazzino  spaurito,  ma una specie di  piccolo  Stalin  che liquidava ogni oppositore, e modificava pure la storia a suo uso e consumo! Da Omero ad Orwell c’è davvero poca differenza!
Che  ne  pensate?  Mandiamo questa storia a  Sherlock Holmes oppure al tenente Colombo?  Per concludere, devo aggiungere che per me  questo è stato un “serio divertimento”, anche se non vorrei che questo concetto inducesse a pensare che non ci sia stato un grande lavoro di studio e di verifica alla base; qui tutto è rigorosamente documentato (e anzi, a dire il vero, non c'è cosa più seria del divertimento). Qualcuno ha superficialmente bollato il mio lavoro come una "fantasiosa ricostruzione", mentre in realtà andrebbero considerate fantasiose le complicatissime interpretazioni pesantemente elaborate in miriadi di studi letterari, che non hanno risolto la questione, ma anzi l'hanno resa ancor più intricata; oppure potrei controbattere con  il gustoso commento del matematico David Hilbert, al quale era stato riferito che un suo allievo aveva abbandonato l'università per diventare un poeta: "Non mi stupisce, non aveva abbastanza immaginazione per fare il matematico.".  In questa seconda edizione mi sembra di aver  dato risposte esaurienti alle critiche, non sempre informate e in buona fede, che mi sono giunte da più parti, in particolare quella di non essere un “esperto” di letteratura greca. Però... però  ho sottoposto la mia ipotesi ad alcuni grecisti, che  dopo essere  sobbalzati  sulla  sedia ed  avere  strabuzzato  gli occhi,  hanno balbettato qualcosa come “Mah, sì, è  possibile..., ma non racconti in giro che glielo ho detto io!”.
Nelle prossime pagine vedremo come il poema omerico, letto in questa chiave, senza perdere nulla del suo immenso valore letterario, assuma improvvisamente una unitarietà e una logica che nessuno prima d’ora aveva mai neanche sospettato, e come la soluzione arrivi proprio esaminando il racconto da tutti i punti di vista, non solo da quello dei letterati. L’Odissea non è semplicemente una bella favola per bambini troppo cresciuti, ma un intricatissimo labirinto ricco di continui ingegnosi riferimenti, che sfuggono inevitabilmente  a chi non ha una solida preparazione scientifica sul groppone. 
“Quandoque  bonus dormitat Homerus”, ogni tanto dorme  anche il buon Omero, proclamava Orazio... ma forse Omero era molto più sveglio di quanto abbiamo sempre creduto! Ora si capisce perché continuava a lodare l’arte dell’astuzia e dell’inganno!

Dall'Introduzione a "L'ASTUTO OMERO - Ulisse, Nessuno, Filottete e il geniale inganno dell'Odissea"

2 commenti:

  1. Salve. Stimandola, vorrei sapere cosa ne pensa di questo:
    http://chiesaepostconcilio.blogspot.it/2017/04/gesu-non-si-e-fatto-peccato-ne-diavolo.html
    "Gesù si è fatto diavolo". A me pare una bestemmia. Altrò è dire serpente, ma diavolo...
    Può rispondere nel merito?

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  2. Caro G. ovvero M. ovvero M.T.,
    capisco l’urgenza di trattare l’attualità, ma cosa c’entra questo argomento con il tema del post? Non è che si possa passare la vita a commentare tutto quello che il papa dice o fà. Per questo ci sono i vaticanisti, gli Antonio Socci, gli amici sedevacantisti e tutti i siti dei cattolici controrivoluzionari. Comunque, vorrei tranquillizzarla: questo papa quando non legge i foglietti che gli ammanniscono, dice sempre quello che pensa o che gli passa per la mente in quel momento. Il problema vero è che non sempre pensa a quello che dice. Se ha bestemmiato, come Lei sostiene, se la vedrà con il suo confessore, ma non ne farei una questione di Stato.

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