09/05/16

E’ l’ora del Rogate! (terza parte)

Sant' Annibale Maria Di Francia 
(1851–1927)

Giuseppe Maddalena


 6.     Sant’Annibale M. Di Francia: l’ ”intelligenza” del Rogate

   Annibale Maria Di Francia nacque a Messina  nel 1851 da una famiglia di antica ascendenza francese, che al tempo del re Carlo d’Angiò si trasferì nel Regno di Napoli. La madre, Anna Toscano, fu anche lei di nobili origini e di profondi sentimenti religiosi, ma anche dotata di una naturale facilità nello scrivere versi.     Dai genitori eredita l’interesse per la letteratura e dalla  madre in particolare l’attitudine e la facilità a comporre versi. Colto,  era  considerato tra i migliori oratori di Messina; scrittore vigoroso, scrisse articoli per una decina di testate.  Fu di animo ardente e impetuoso, ma tenero con i poveri e gli orfani. La vocazione sacerdotale e religiosa gli si manifestò in modo inequivocabile e come in un lampo. Dopo una notte di preghiera durante la quale sentì il desiderio di consacrarsi a Dio, Annibale raggiunse una chiesa e davanti al Santissimo chiese e ottenne lumi. La vocazione fu, secondo le sue parole, improvvisa, irresistibile, sicurissima. Nel 1878 cominciò a dedicarsi al riscatto dei circa duecento poveri che abitavano le Case Avignone, un piccolo quartiere della città di Messina, luogo di degrado, sporcizia, malattia, promiscuità, corruzione, definito “Terra maledetta”, terra da cui tenersi lontani. Sant’Annibale pose al centro della sua attività l’Eucarestia, con la creazione di una cappelletta per la celebrazione e la preghiera.  Annibale, pur tra dubbi e difficoltà, aveva alcuni punti fermi: “Un Istituto che si prefigge l’educazione della gioventù, qualora pretendesse sostentarsi con le sole elemosine, assomiglierebbe né più né meno ad un giovane robusto che invece di lavorare volesse vivere di accattonaggio….Il lavoro in una Casa educatrice è tra i primi efficienti della moralità: esso è ordine, è disciplina, è vita. Non vi può essere educazione né religiosa né civile, discompagnata dal lavoro”.  Preghiera, celebrazione eucaristica, sacrificio personale, dedizione e lavoro incessante trasformarono Case Avignone e produssero non solo la resurrezione spirituale, ma anche  la rinascita civile di quella popolazione. Il quartiere Avignone rappresenta in piccolo quel che può realizzarsi in una società, quando la vita terrena, con i suoi bisogni e le sue energie creative e le sue attività, ritrovi il suo centro nella vita dello Spirito. Vita spirituale ed energia morale, infatti, generarono quel che in una società è indispensabile alla vita dignitosa:  posti di lavoro.  Furono create una tipografia, una calzoleria, una sartoria e, in seguito, un forno che produceva un pane divenuto rinomato in tutta Messina, tanto da essere consigliato dai medici per le sue qualità. E’ la realizzazione in un piccolo ambito di tipo cittadino di quanto fu raccomandato nella comunità rurale di La Salette: ristabilire il rapporto tra Cielo e Terra, sperimentare  la forza risanatrice e l’energia propulsiva e creativa della grazia. Per i poveri e gli orfani il Di Francia ebbe un’ autentica passione; in loro vide, grazie ad una particolare esperienza mistica, la misteriosa presenza di Gesù. Per comprendere come il carisma della carità fosse strettamente legato all’altro carisma, quello del Rogate, di cui tratteremo poco più avanti, come anzi i due carismi scaturiscano da una stessa radice, la misericordia divina, e  siano ordinati ad un fine comune, la salvezza di ciascuno e la rifondazione di una società naturale e cristiana, bisognerà riflettere sul significato metafisico della povertà. I poveri, i diseredati che vediamo intorno a noi, i disperati sui barconi, gli emarginati, i portatori di handicap, i malati, tutti coloro che attraversano l’esistenza in condizione di privazione richiedono la nostra solidarietà e il nostro amore, ci chiedono di piegarci verso di loro e sanare le loro ferite.  Al tempo stesso, però,  sono  lo specchio per noi della nostra radicale condizione di  povertà: sul piano ontologico  siamo tutti carenti d’essere, incompleti. E’ forse in questa considerazione universale della povertà che risiede il punto di unione del doppio carisma di Sant’Annibale, quello della dedizione ai poveri e agli orfani e quello della Rogazione evangelica. Non è un caso che tutte le volte che il Di Francia nomina il Rogate, lo mette in relazione alla salvezza di tutti, con  accenti di questo tenore: “Ti preghiamo, o dolce Gesù, metti in opera il gran rimedio che Tu ci insegni nei SS. Evangeli, perché le anime tutte si salvino; manda, cioè, Sacerdoti santi e numerosi ovunque; riempine il mondo” (Scritti, vol. 54, pp. 81-82); salvezza di tutti, perché tutti siamo poveri, mancanti.  Silvano Panunzio ha ricordato che il vocabolo ebraico che nelle lingue neolatine viene tradotto con “peccato” (ad eccezione dello spagnolo che impiega il vocabolo falta, cioè errore, mancanza)   è “attà, voce maschile indicante i peccatori: attaìm. Ma il verbo attà che ne sta all’origine, non significa peccare, bensì fallire, errare.  Eugenio Zolli – continua Panunzio - spiegava: questo vocabolo dà l’idea di una mancanza, di un venir meno. Però non si tratta di un vuoto morale-psicologico, sebbene molto di più. Tanto vero che questo vuoto poteva venir riparato,  ossia riempito, toccando il sangue del re sparso in battaglia o anche la polvere del santuario. Si tratta, dunque, di una deficienza che attenta alla pienezza dell’essere. Dionigi l’Areopagita, poi Plotino, infine S.Agostino definiscono il male appunto come una “deficienza di essere” (S. Panunzio, “Il visibile e l’invisibile nel Cristianesimo – Metafisica del Credo”, pagg.17,18). Veniamo ora al carisma, cui abbiamo accennato: quello del Rogaste.    Fin dai primordi della sua vita spirituale egli intuì che il rinnovamento della Chiesa, della Società, e  di tutto il mondo, richiedevano  uomini di altissima spiritualità, soprattutto sacerdoti. In seguito rimase sorpreso, o  forse dovremmo dire folgorato -  nello scoprire nel Vangelo il seguente passo: “ In quel tempo, Gesù, vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore. Allora disse ai suoi discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!»” (Matteo, 9,36-38).  Ebbe dunque l’intuizione-ispirazione (“intelligenza”) del Rogate e si stupì che per venti secoli quella parola fosse rimasta nascosta tra le pagine del Vangelo. Ora ritornava il comando, che era stato dettato da amore e misericordia verso le folle senza guida, di pregare per ottenere gli “operai” della vigna di Dio. Chi sono gli “operai” che, secondo il Di Francia, Gesù  vuole che si richiedano? In primo luogo i sacerdoti, ai quali è stata affidata la celebrazione dell’Eucarestia e la guida spirituale dei fedeli. Il sacerdozio, dice Sant’Annibale “ha una potenza che non è di questo mondo, ha una forza divina, un segreto miracoloso, con cui si guadagna i cuori e rende impotenti tutte le avverse potenze terrene e infernali”. Non si deve credere, però, che la Rogazione evangelica, come la intende Sant’Annibale, sia paragonabile alle preghiere per le vocazioni praticate ormai in tutta la Chiesa.  Ciò a cui mira il  Rogate non sono semplicemente i bravi sacerdoti e i parroci efficienti. Certo ci vogliono anche quelli. Ma l’obiettivo è incomparabilmente più alto, perché lo smarrimento dell’umanità richiede ormai molto di più. “In una preghiera del 1912 per impetrare i buoni evangelici operai -  leggiamo in B.V.M. de “La Salette”, Madre di misericordia, pag. 96 della collana Spiritualità rogazionista – (…) egli chiede al Signore di rinnovare sulla terra quegli uomini Apostolici, quegli uomini quasi divini, che nei diversi secoli sono stato spettacolo di fede e di carità al mondo, agli angeli e agli uomini”. Uomini quasi divini! Ecco la qualità degli operai della vigna che Gesù nel Vangelo ci ordina di domandare, ecco le guide necessarie nell’ora presente! Uomini che in virtù della forza spirituale loro conferita sappiano attrarre, guidare e trasformare le folle.  Il Rogate ergo non va considerato, però, solo in relazione al sacerdozio: sono operai della messe divina “i principi delle nazioni, i governanti e tutti quelli che formano gli alti uffici governativi e amministrativi”: “Quando si vuol corrispondere a quel gran comando del divino zelo del Cuore di Gesù – dice ancora Sant’Annibale - bisogna che nel pregare l’Altissimo, si metta una speciale intenzione che il Sommo Dio dia governanti secondo il suo Cuore a tutte le nazioni”. Dunque è il rinnovamento di Sacerdotium e Regnum  che è in questione. Ma non basta : operai dell’Opus Restaurationis sono ancora “i buoni educatori e le buone educatrici”: dunque gli insegnanti e soprattutto i genitori, ma anche i giornalisti e in  generale tutti coloro che hanno una funzione di guida e di formazione in  tutti i gradi della scala sociale. E’ quel rinnovamento delle élites, auspicato dal pensiero politico e sociale del Novecento, che potrà così essere realizzato.  E’ dunque nella rigenerazione radicale dei singoli e della società  la radice e il punto di unione del doppio carisma: il Rogate e i poveri. Infine, il Rinnovamento auspicato da Sant’Annibale e comandato da Gesù, si pone anche in una prospettiva escatologica: “Per tal modo il Vangelo sarà predicato in tutto il mondo e si prepareranno i tempi che vi sarà un solo ovile e un solo Pastore” (Tusino, L’anima del Padre pag. 124).  La prospettiva escatologica presente nel Rogate divenne per Sant’Annibale forse assai più chiara e consapevole  nell’incontro con Melania.  Nel 1897  Melania Calvat, su richiesta del Di Francia, si trasferì a Messina e assunse il compito di dirigere la Comunità femminile,  che a seguito di disordini indipendenti dalla volontà e dalla responsabilità del Fondatore, stava per essere sciolta dall’Autorità religiosa.  Dopo un  anno, scongiurato il pericolo dello scioglimento, la Calvat lasciò l’Istituto. Gli eventi che condussero Melania a Messina, oltre a risultare decisivi per la vita della congregazione femminile, furono  l’occasione, predisposta dalla Provvidenza, per l’ incontro tra il messaggio della Vergine di  La Salette e  l’ispirazione del Rogate, nel senso di una fecondazione reciproca.  Nel citato volume 4 della collana di spiritualità rogazionista si può leggere (pag.112) che “il carisma evangelico del Rogate, finalizzato al conseguimento del dono dei buoni operai, realizza il desiderio mariano della conversione dei peccatori e affretta la venuta degli Apostoli degli ultimi tempi.” Il Rogate e La Salette si completano e convergono nella missione di “instaurare omnia in Christo”, nell’opera della Restaurazione universale. Sugli Apostoli degli ultimi tempi, sul loro legame con il Rogate (che ne costituisce la preparazione) è di estrema importanza il contenuto di questa lettera del Di Francia al Servo di Dio padre Francesco Maria Jordan: “Quando Melania  venne nel mio Istituto, mi diede la regola della Santissima Vergine, e me ne propose l’osservanza. Io me ne meravigliai fortemente e non accettai la proposta…..Invece una missione oh, quanto santa, oh quanto bella, oh quanto proficua, oh quanto singolare e direi unica volle l’Altissimo scoprire al più misero e abietto fra tutti i mortali! Missione, che fa rimanere attoniti; e sembra un mistero come in tanti secoli nessuno l’abbia abbracciata, quando Nostro Signore Gesù Cristo ne aveva fato un espresso comando, con quelle parole: Rogate ergo Dominum messis, ut mittat operarios in messem suam; missione divina che racchiude in sé, quasi in germe, tutte le missioni di tutti gli Ordini religiosi, anzi di tutte e due i Cleri, ed è la più perfetta preparazione degli Apostoli degli ultimi tempi!......Questa preghiera, coltivata e propagata in tutto il mondo, come Gesù comandò più volte (dicebat) , susciterà sulla terra falangi di Santi e di Apostoli, perché se Gesù  Cristo la comandò, la esaudirà! E se la fece apparire oggi, dopo diciannove secoli, in questi tempi in cui la santità pare estinta, vuol dire che la serbava per quella santità nuova e divina che dovrà preparare il mondo alla venuta del Giudice Supremo!..... Quando questa preghiera sarà generalizzata, quando la Chiesa sparsa nel mondo leverà unanime questa Rogazione evangelica, e dirà con Mosè: Mitte, Domine, quos missuros es, e con Isaia: Nubes pluant iustos et terra germinet salvatores, allora gli Apostoli degli ultimi tempi appariranno, e nella visione della fede e della speranza il mondo cattolico li avrà conosciuti prima  ancora di riceverli (in Tusino, Memorie biografiche, pagg. 480-482).

7.Radici nel Vangelo

Come si è detto, tra i messaggi di La Salette e la Rogazione evangelica esiste una relazione molto stretta, una vera integrazione reciproca. Questa complementarità ha in un  certo qual modo le radici nel Vangelo, in certi passi che si  richiamano l’un l’altro e di cui l’intreccio tra La Salette e il Rogate è una particolare determinazione storica. Prendiamo in esame e compariamo fra loro due brani. Il primo è il già citato Matteo, 9,37 su cui si fonda il Rogate e che qui riproponiamo: “Al vedere le folle affrante e abbandonate a sé come pecore senza pastore, fu preso da pietà. Allora disse ai suoi discepoli: “La messe è molta ma gli operai sono pochi. Pregate perciò il padrone della messe perché mandi operai alla sua messe”. (Mt 9, 36-38). Mettiamolo a confronto con la parabola narrata in Matteo 20, 1-7:  In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola:  ‘Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna.  Accordatosi con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati  e disse loro: Andate anche voi nella mia vigna; quello che è giusto ve lo darò. Ed essi andarono.  Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le tre e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano là e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi?  Gli risposero: Perché nessuno ci ha presi a giornata. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella mia vigna’”. Questi due passi si richiamano reciprocamente. In entrambi abbiamo un proprietario terriero e degli operai. Il primo è proprietario di una messe, che richiama l’Eucarestia sotto le specie del pane; il secondo è padrone di una vigna, che richiama l’Eucarestia sotto le specie del vino.. Nel primo il proprietario è definito dominus; nel secondo pater familias.  In realtà i due vocaboli latini individuano una stessa figura sociale: un proprietario terriero che è dominus sulla sua terra e esercita il suo potere su tutti coloro che vivono e lavorano sulla sua terra: la moglie, i figli, le nuore, i nipoti, i servi e le serve e i loro figli. Dunque una stessa funzione sociale. Ma c’è una sfumatura che connota diversamente i due termini: dominus denomina l’ampiezza del suo potere che si estende su tutta la proprietà e su tutti coloro che vi vivono; è capo e signore e il termine che lo designa (dominus) è contrapposto  concettualmente a familia.  Pater familias   ha, invece, una sfumatura di sollecitudine per la familia (si pensi in ambito politico, al titolo onorifico di pater patriae, mentre in poesia pater ha a volte il valore metonimico di “amor paterno”  (Ovidio, vedi Calonghi). Il dominus è metafora di Dio, a lui si rivolge la preghiera di mandare operai; il secondo è lo stesso dominus che, paternamente accolta la preghiera, esce  a chiamare gli operai. Il primo brano è, come si è detto, quello del Rogate. Esaminiamo ora, più da vicino, il secondo.  Il padrone di casa esce più volte a chiamare gli operai: esce  di buon mattino, poi di nuovo all’ora terza, all’ora sesta, all’ora nona e all’ora undicesima. Le ore possono indicare, senza che un’interpretazione escluda l’altra, non solo i vari momenti  della  giornata, ma anche le varie fasi della vita individuale e ancora le varie epoche della storia dell’umanità. Nel discorso che andiamo svolgendo qui ci interessa quest’ultima interpretazione.  Nelle civiltà precristiane è frequente la rappresentazione del corso della storia umana come di un succedersi di quattro periodi qualitativamente differenti,  disposti secondo il modello di una progressiva degenerazione, che da un periodo iniziale di pace e di splendore spirituale conduce fino  ad uno terminale, oscuro e problematico.  Nella cultura greco-romana la successione delle quattro età  e la loro  degradazione è espressa con il simbolismo dei metalli: per Esiodo si succedono nella storia dell’umanità le età dell’oro, dell’argento, del bronzo e del ferro;   nella tradizione induista si susseguono quattro yugas; nell’Antico Testamento Nabucodonosor sogna una statua splendente che ha il capo d’oro, il petto e le braccia d’argento, il ventre e le cosce di bronzo, le gambe e i piedi (questi ultimi misti ad argilla) di ferro. Daniele interpreta il sogno come successione di quattro grandi imperi: il regno babilonese, il regno persiano, il regno di Alessandro Magno ed infine l’impero romano, durante il quale comincerà a svilupparsi un Regno che non avrà mai fine, il Regno di Dio. Nel testo evangelico in esame, lo svolgimento della storia umana è paragonato allo svolgersi del giorno, dal sorgere del sole al suo tramonto. Ma l’aspetto più interessante è che in questa rappresentazione della storia come ciclo vengono introdotti dei personaggi: il Dominus e i suoi operarii, per indicare la presenza  di Dio nella storia e il carattere militante della vocazione cristiana. La storia non è perciò puro svolgersi ritmico: l’azione dell’uomo, il suo operare in accordo con Dio che lo chiama a edificare il Regno è elemento essenziale del suo dramma.  E in ciascuna fase della storia Dio chiama ad agire e a cooperare: dal mattino fino all’approssimarsi del tramonto. E quando le ombre si allungano, il lavoro si fa più difficile e sono chiamati al lavoro anche  gli operai dell’ora estrema: gli Apostoli degli ultimi tempi. I due brani evangelici citati sembrano, perciò, richiamandosi, preannunziare l’incontro e l’intimo legame tra la Rogazione evangelica, raccomandata, anzi comandata da Gesù, e l’invio degli Apostoli degli ultimi tempi nella fase ultima della nostra civiltà. Un’ultima osservazione. Il padre di famiglia della parabola esce una prima volta di buon mattino: il testo latino usa l’espressione primo mane. L’aggettivo primus, unito a un sostantivo che indica  un periodo assume il significato di momento iniziale (così primus mensis è l’inizio del mese; primus annus è l’inizio dell’anno, ecc.); il padre di famiglia esce dunque allo spuntare del giorno, alle sei del mattino; ora dalle sei alle nove intercorrono tre ore; dalle nove alle dodici tre ore; dalle dodici alle quindici tre ore. La regolarità della successione dei periodi suggerisce che anche il successivo periodo sia di tre ore:  dalle quindici alle diciotto. Se le cose stanno così l’ultima ora (dalle 17 alle 18) rappresenta una fase estrema, specialissima, all’interno di un finale ed ultimo periodo. Si comprende meglio, così, il senso dell’espressione con cui S. Luigi Grignon de  Monfort  indicò la fase estrema  nella quale gli Apostoli degli ultimi tempi faranno la loro comparsa: “gli ultimi tempi degli ultimi tempi”. 

 Conclusione

Con questo articolo non si è inteso proporre ai lettori la spiritualità, peraltro molto interessante, delle due congregazioni create da Sant’Annibale M.Di Francia, e che  riguarda coloro che hanno quella specifica vocazione alla vita religiosa. Si è voluto invece richiamare l’attenzione su un fatto di capitale importanza per i nostri tempi. Dopo diciannove secoli Gesù, per il tramite di Sant’Annibale M. Di Francia, ha fatto risentire la Sua voce su un preciso insegnamento del Vangelo,  la cui attuazione è urgente e decisiva per le sorti della nostra Umanità; e questa voce si è intrecciata, per il tramite di Melania Calvat, con quella della Vergine di La Salette. I Padri Rogazionisti e le Figlie del Divino Zelo hanno riguardo a questo  richiamo celeste una precisa vocazione e una correlativa responsabilità. Ma il messaggio ha una portata universale, è per tutti noi. Che si sia ormai giunti ad una svolta nella storia dell’Umanità è fuor di dubbio. Basta guardarsi attorno. Siamo alla conclusione di un ciclo di civiltà, cui seguirà immancabilmente una Risurrezione. A noi è lasciata la libertà di scegliere se rimanere passivi spettatori e subire gli eventi o  diventare attivi cooperatori del piano divino di Amore e Misericordia. (Fine)

2 commenti:

  1. Ringrazio ancora l'autore per questo bellissimo articolo. Dalla mia modestissima posizione di semplice fedele non avevo mai letto questa interpretazione del passo evangelico. Personalmente trovo molto originale: 1) la lettura comparata dei due passi tratti dal Vangelo di Matteo ( Mt, 9,37 ; 20, 1-7). 2) l'interpretazione "cosmica" del secondo passo evangelico secondo cui alle ore corrisponderebbero le età della nostra civiltà, e di conseguenza il cooperare degli Apostoli degli ultimi tempi in questa fase storica "ultima". 3) l'interpretazione secondo cui gli operai della messe, possono operare sia nel piano del Sacerdotium che in quello del Regnum!

    un caro saluto
    Paolo C.

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  2. Ringrazio Paolo della sua gentilezza e soprattutto delle osservazioni che ben puntualizzano il senso dell'intero discorso.

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