I fatti di Parigi
hanno scatenato le Baccanti dell’allerta. Come in un incantesimo ci siamo
accorti del terrorismo, che invece esisteva da anni. Ma
esattamente che cosa dovremmo custodire e proteggere dalla barbarie dell’Isis?
Ce lo spiega Luciano Canfora nel suo ultimo libro, Gli
occhi di Cesare. La biblioteca latina di Dante (Salerno editrice,
97 p., 8, 90 euro).
Il volume ripercorre le letture classiche che
hanno ispirato la teoria imperiale di Dante. Con il rigore filologico che lo ha
sempre contraddistinto, Canfora dimostra come il poeta fiorentino abbia
utilizzato, talvolta fedelmente, le opere di Tacito, di Sallustio e di
Svetonio: “Il cuore di Dante […] batte per l’impero. Ciò è reso
chiaro, sin dall’inizio, anche dal raffinato intarsio di fonti classiche
pagane, parafrasate o evocate esplicitamente, che è racchiuso nel proemio”.
D’altro canto l’antichità non conosce la nostra idea di originalità, che altro
non è che una diversa declinazione dell’egoismo. L’impero che Dante
auspica è quello universale, “l’ordinamento necessario e auspicabile
per tenere in ordine il genere umano”. Per questo motivo nella Monarchia
la figura di Alessandro Magno acquista un ruolo centrale e Dante, sulle orme di
Svetonio, si chiede che cosa mai sarebbe successo se Alessandro avesse
incontrato Roma. Non è un caso che la Monarchia “fu colpita da
condanna nel 1554 (Indice di Venezia) prima ancora che ne apparisse la prima
edizione a stampa (fine 1559)”.
Ma è Cesare la figura
principe del libro di Canfora, lui che sorprendentemente Dante identifica come
il primo degli imperatori, quando la maggior parte della storiografia classica
iniziava le cronache dell’impero con Augusto. Lo stesso Cesare che Frontone ci
descrive impegnato nella guerra gallica e che, inter tela volantia,
tra le lance volanti, ebbe il tempo e la cura di redigere un trattato sulla
purezza linguistica e di curare i rapporti politici a Roma.
In particolare Canfora sottolinea come la
percezione dantesca della storia romana sia unitaria: la fase repubblicana non
solo precede, ma pre-para quella imperiale, che, a sua volta prefigura l’impero
auspicato da Dante: “l’impero è per lui parte essenziale di un disegno
divino, e Cesare ne rappresenta il motore principale”. Per questo il
cristiano Dante non teme di chiamare “Sante” le Muse, di farsi guidare da
Virgilio, di porre all’ingresso del Purgatorio un pagano e per giunta suicida
come Catone.
L’universalità culturale è per Dante
l’anticipazione di quella politica. Il grande merito del libro di Canfora è
quello di riuscire a scrivere per un vasto pubblico pur trattando argomenti di
filologia pura. La cultura oggi manca di grandi divulgatori che elevino il
popolo tramite le arti e le lettere invece di abbassare la poesia per svenderla
al vulgus.
E se davvero queste figure esistessero, forse
gli uomini non si indignerebbero in modo pietistico contro il terrorismo perché
Facebook è pieno di bandiere francesi, ma si sarebbero sentiti feriti
nell’animo già mesi fa nel vedere le immagini di Palmira distrutta,
come se fosse scoppiata una bomba nel proprio condominio, perché il
Mediterraneo è il chiostro dell’impero.
Roberto Guiscardo