Giuseppe Francesco Borri
IL LIBRO DEL CAVALIER BORRI
A cura di Alessandro Boella e Antonella Galli
Pp. 256, 20 disegni, € 24,90
Presentazione
15 maggio 2012 ore 20.30
Libreria Aseq Via dei Sediari 10 Roma
Tel. 06 6868400 info@aseq.it
Sono qui presentate in prima edizione assoluta le parti più importanti del Libro del Cavalier Borri dove si descrivano
molte operazioni de secreti della natura, manoscritto cartaceo del XVIII
secolo lussuosamente legato e conservato alla Biblioteca Reale dell’Aja.
I motivi di eccezionale interesse per questa sorta di prontuario, che porta
il nome di Giuseppe Francesco Borri (1627-1695), il più noto alchimista
italiano dell’età barocca, sono molteplici, primo fra tutti il fatto che esso
chiarisce molti aspetti della prassi alchimica specificata in funzione
terapeutica, senza contare il suo notevolissimo interesse storico-scientifico.
Compilato da mano ignota, sulla base di indicazioni orali o scritte forse
fornite dal Borri stesso negli ultimi anni della sua vita trascorsi nelle carceri
di Castel Sant’Angelo, questo manuale comprende la preparazione dell’Oro
potabile, del famoso e ambitissimo Balsamo cattolico, dell’Acqua Celeste
(attrazione dello Spirito Universale), del Grande Arcano ovvero Mestruo, di
varie Quinte essenze ed Elixir.
Il Borri, che come sottolinea Eugène Canseliet in Due luoghi alchemici (p. 78) «volle essere divulgatore
dell’alchimia», fece vita avventurosa in tutta Europa ed ebbe accesso a fonti
di conoscenza privilegiate che, associate a un’innata inclinazione mistico-visionaria,
contribuirono a farne una figura complessa e affascinante, troppo spesso
bistrattata, sia dai suoi contemporanei che dai suoi biografi più o meno
recenti.
I curatori di quest’opera hanno voluto ampliare questo orizzonte, svolgendo
ricerche in biblioteche e archivi europei.
L’importante introduzione Giuseppe
Francesco Borri medico alchimista e riformatore e l’ermetismo europeo nel XVII
secolo, incentrata soprattutto sulle sue qualità di medico, alchimista e
visionario, senza che un aspetto prevalga sull’altro, intende restituirgli la
posizione e la dignità dovute a un autentico iniziato e Adepto cosmopolita,
offrendo un gran numero di informazioni, lettere, documenti, sconosciuti e
inediti in Italia.
Si tratta, fra l’altro, delle strette relazioni del Borri con una
fraternità internazionale di alchimisti denominata Società Cabalistica dei Figli della Saggezza ovvero Asterismo (sulla quale sono qui fornite
per la prima volta in Italia tutte le informazioni attualmente disponibili),
che lo sosteneva, e il cui capo, un misterioso Patriarca di Antiochia residente
a Costantinopoli, era in rapporto con lo scienziato inglese Robert Boyle, come
attesta la corrispondenza di quest’ultimo. Un altro membro importante di questa
società, intimo amico del Borri, ebbe un ruolo fondamentale in un incontro fra
rappresentanti della chiesa romana e di quella greca, avvenuto a Roma
nell’agosto 1678, e patrocinato dalla regina Cristina di Svezia.
Benché ancora oggi sussistano pregiudizi e opinioni ostili o
scettiche sul Borri, la maggior parte degli scienziati che lo conobbero lo
considerarono un medico di valore e un autentico Adepto nell’arte alchimica: in
primo luogo l’inglese Robert Boyle, nonché il danese Ole Borch (legato al Borri
da una stretta e documentata relazione), e poi Kenelm Digby, Thomas Bartholin,
Henry Oldenburg, Christiaan Huygens.
Non mancano importanti puntualizzazioni sulla relazione fra Le Comte de Gabalis dell’abate
Montfaucon de Villars e alcune lettere del Borri contenute nel testo La Chiave del gabinetto a lui
erroneamente attribuito.
D’illustre stirpe milanese, Giuseppe Francesco Borri (1627-1695), compiuti
i primi studi al seminario gesuita di Roma, si dedicò alla medicina e dell’alchimia
e, tornato a Milano, divenne uno dei capi del movimento quietista detto dei pelagini. Perseguitato
dall’Inquisizione, iniziò nel 1658 le sue peregrinazioni per l’Europa, ove
dispensò le sue cure mediche e venne in contatto con i maggiori scienziati del
suo tempo. Data del 1667 il suo primo incontro con Cristina di Svezia, ad
Amburgo. Nel 1670 fu infine catturato a Vienna e condotto a Roma, ove fu
costretto all’abiura e condannato al carcere perpetuo a Castel Sant’Angelo, in
cui morì molti anni dopo.