«Sono un uomo d'altri tempi, non amo il gossip». E infatti amava il buon giornalismo, la misura delle cose, la tolleranza di fronte alle opinioni altrui, anche in presenza di un contrasto aspro, virile, ma sempre pieno di rispetto. Basterebbe questo per rimpiangerlo. A soli 72 anni Gaspare Barbiellini Amidei ci lascia. Eterno numero due del Corriere della sera, poi direttore de Il Tempo di Roma, quindi di nuovo editorialista in via Solferino, e da ultimo per il Quotidiano Nazionale. E libri, tanti libri, scritti, letti, riletti, ripubblicati, da New Age, Next Age a Picasso. Guernica, fino a Quel profondo desiderio di Dio. In filigrana, senza fatica, vi si legge un perpetuo umanesimo, quello integrale di Maritain (che amava moltissimo) coniugato con le domande inesauste della vita, che gli facevano dire in tempi recenti: «La nostra vita è assillata da forze ostili: dal dominio assoluto delle leggi dell'economia e del profitto alla minaccia di un terrorismo che rischia di distruggere le fondamenta della nostra civiltà. Dopo il crollo di tutte le utopie, l'uomo ha bisogno di ritrovare un nucleo forte che aiuti a riformulare la propria esistenza. Perché siamo sempre più le cose che ci circondano, siamo gli oggetti che ci abitano e ci dimentichiamo di noi stessi».
E allora ecco l'inesausta domanda di Dio, che Barbiellini Amidei, cattolico ma sempre restio ad indossarne la casacca («Perché la professione - sosteneva - con le convinzioni religiose non c'entra nulla»), ha seguito come un segugio per tutta la vita, arrivando solo poche settimane fa ad esaltare la visita di Papa Ratzinger sulla tomba di Agostino come grande metafora della conversione, la quale «consiste nel condividere l'idea agostiniana di felicità raggiunta attraverso la convergenza fra fede e ragione». La stessa convergenza che lo porterà attraverso gli anni a profetizzare (come prima di lui Oswald Spengler) il malinconico tramonto dell'Occidente, che tuttavia grazie all'intelligenza e alla tenacia degli uomini contiene in nuce il suo stesso riscatto, la medesima promessa di rinascita. E nei giorni scorsi rispondendo ad un lettore che gli chiedeva un parere sulla messa in latino, scriveva nel suo blog: «Ciò che colpisce è la rozzezza effimera dell'informazione. Non so se molti media non sanno o fanno finta di non sapere. Nessun ritorno a fasi-preconciliari e nessuna cancellazione. Il latino non era mai scomparso del tutto e nessuno dentro la Chiesa oggi pensa di imporlo come egemone nei riti. La vita quotidiana di quella parte dei credenti che fa pratica religiosa non cambierà. Le chiacchiere, colte e non, hanno venature sovente politiche, si dividono fra malcelato anticlericalismo e spirito mondanamente reazionario».
Grande avversario del sincretismo («è il massimo del depotenziamento del pensiero della trascendenza») come di ciò che Maritain chiamava "l'ateismo pratico", Barbiellini Amidei metteva in guardia fin dai primi anni Ottanta (gli anni della grande sbornia ottimistica dell'Occidente, degli yuppies, dell'edonismo reaganiano, della Milano da bere) sui rischi perversi di quel relativismo fai-da-te che incentrava sulla ricerca del benessere fisico prima che spirituale il senso ultimo della vita. «La vecchiaia, il dolore, la malattia - scriveva - affinano l'ascolto. La verità cristiana è la capacità di percepire il dolore altrui senza umiliare il corpo».
Barbiellini Amidei era elbano, di Marciana, piccolo accrocchio di case affacciate sul mar Tirreno che lui continuava ad amare e a ritrovare ogni estate, quando ritornava sull'isola a commentare fatti, a presentare libri, a polemizzare con garbo con i grandi soloni della carta stampata, quelli per cui tutto è già stabilito, tutto è già stato detto. Lui non si capacitava: «Tutto è sempre nuovo - diceva - a cominciare dall'educazione dei figli». E sull'educazione, sulla deriva materialistica che affligge il mondo occidentale, sulla miscredenza che avvelena la ricca Europa, sul sincretismo delle sette che ero de il cattolicesimo sudamericano, su quei valori che dovrebbero cioè formare le nuove coscienze e che sempre più spesso sono assenti, Barbiellini Amidei era pronto a dare battaglia dalle colonne dei giornali. Anche a costo , come in un suo memorabile Elogio del pudore, di passare agli occhi di alcuni come un irrecuperabile bacchettone. Cosa che non era affatto. Nell'azzurro dei suoi occhi brillava sempre la scintilla di un'ironia che sapeva essere dolce e insieme corrosiva, un connubio perfetto fra il gusto sardonico dei livornesi e la pietas coltivata del credente. Occhi che sembravano sempre puntare al cielo.
Che si è ripreso questo suo chierico vagante, dopo tanto errare.
(Fonte: Avvenire del 13/07/2007)
E allora ecco l'inesausta domanda di Dio, che Barbiellini Amidei, cattolico ma sempre restio ad indossarne la casacca («Perché la professione - sosteneva - con le convinzioni religiose non c'entra nulla»), ha seguito come un segugio per tutta la vita, arrivando solo poche settimane fa ad esaltare la visita di Papa Ratzinger sulla tomba di Agostino come grande metafora della conversione, la quale «consiste nel condividere l'idea agostiniana di felicità raggiunta attraverso la convergenza fra fede e ragione». La stessa convergenza che lo porterà attraverso gli anni a profetizzare (come prima di lui Oswald Spengler) il malinconico tramonto dell'Occidente, che tuttavia grazie all'intelligenza e alla tenacia degli uomini contiene in nuce il suo stesso riscatto, la medesima promessa di rinascita. E nei giorni scorsi rispondendo ad un lettore che gli chiedeva un parere sulla messa in latino, scriveva nel suo blog: «Ciò che colpisce è la rozzezza effimera dell'informazione. Non so se molti media non sanno o fanno finta di non sapere. Nessun ritorno a fasi-preconciliari e nessuna cancellazione. Il latino non era mai scomparso del tutto e nessuno dentro la Chiesa oggi pensa di imporlo come egemone nei riti. La vita quotidiana di quella parte dei credenti che fa pratica religiosa non cambierà. Le chiacchiere, colte e non, hanno venature sovente politiche, si dividono fra malcelato anticlericalismo e spirito mondanamente reazionario».
Grande avversario del sincretismo («è il massimo del depotenziamento del pensiero della trascendenza») come di ciò che Maritain chiamava "l'ateismo pratico", Barbiellini Amidei metteva in guardia fin dai primi anni Ottanta (gli anni della grande sbornia ottimistica dell'Occidente, degli yuppies, dell'edonismo reaganiano, della Milano da bere) sui rischi perversi di quel relativismo fai-da-te che incentrava sulla ricerca del benessere fisico prima che spirituale il senso ultimo della vita. «La vecchiaia, il dolore, la malattia - scriveva - affinano l'ascolto. La verità cristiana è la capacità di percepire il dolore altrui senza umiliare il corpo».
Barbiellini Amidei era elbano, di Marciana, piccolo accrocchio di case affacciate sul mar Tirreno che lui continuava ad amare e a ritrovare ogni estate, quando ritornava sull'isola a commentare fatti, a presentare libri, a polemizzare con garbo con i grandi soloni della carta stampata, quelli per cui tutto è già stabilito, tutto è già stato detto. Lui non si capacitava: «Tutto è sempre nuovo - diceva - a cominciare dall'educazione dei figli». E sull'educazione, sulla deriva materialistica che affligge il mondo occidentale, sulla miscredenza che avvelena la ricca Europa, sul sincretismo delle sette che ero de il cattolicesimo sudamericano, su quei valori che dovrebbero cioè formare le nuove coscienze e che sempre più spesso sono assenti, Barbiellini Amidei era pronto a dare battaglia dalle colonne dei giornali. Anche a costo , come in un suo memorabile Elogio del pudore, di passare agli occhi di alcuni come un irrecuperabile bacchettone. Cosa che non era affatto. Nell'azzurro dei suoi occhi brillava sempre la scintilla di un'ironia che sapeva essere dolce e insieme corrosiva, un connubio perfetto fra il gusto sardonico dei livornesi e la pietas coltivata del credente. Occhi che sembravano sempre puntare al cielo.
Che si è ripreso questo suo chierico vagante, dopo tanto errare.
(Fonte: Avvenire del 13/07/2007)
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