MAURIZIO
PALLANTE
Destra e
sinistra addio
Per una nuova
declinazione dell’uguaglianza
Edizioni Lindau,
Torino 2016
Collana «Le
Frecce» | pagine 232 | euro 18,00 | e-book euro 12,99
« È il momento
di intraprendere un percorso politico nuovo, di aprire una nuova fase della
storia in cui l’economia non sia più schiava della distopia della crescita
infinita.
Se si abbandona
l’ideologia della crescita, che ha accomunato da sempre la destra e la
sinistra, sarà ancora possibile articolare in maniera diversa e rilanciare la
tensione all’uguaglianza. »
Di «destra» e
«sinistra», per designare due schieramenti politici contrapposti, si parlò per
la prima volta alla Convenzion nationale di Parigi del 1792. Da allora
queste due parole indicano chi ritiene che le diseguaglianze tra gli esseri
umani siano un dato naturale non modificabile (la destra), e chi pensa che
abbiano un’origine sociale e possano essere attenuate (la sinistra).
Anche Norberto
Bobbio nel suo libro del 1994, Destra e sinistra, arrivò alla
conclusione che l’elemento di fondo della loro contrapposizione consiste
nell’atteggiamento assunto nei confronti del concetto di eguaglianza degli
essere umani.
Se si accetta
questa conclusione, non si può non dedurne che le categorie di sinistra e di
destra sono la manifestazione assunta storicamente, da poco più di due secoli,
da due pulsioni contrapposte insite nell’animo umano. Tale consapevolezza
induce però ad analizzare – in questo momento storico in cui la
contrapposizione si è attenuata tanto da diventare impercettibile – le modalità
in cui si è realizzata, a comprendere le ragioni per cui si è attenuata e a
ipotizzare che, come ha avuto un inizio, essa è destinata ad avere una fine.
Negli stessi
anni in cui il contrasto tra egualitari e inegualitari, per riprendere le
definizioni di Bobbio, assumeva la connotazione storica tra sinistra e destra,
la rivoluzione tecnologica mutò le caratteristiche della disuguaglianza tra gli
esseri umani, fondandola non più su una presunta origine divina, ma sul
materialissimo, per quanto non meno potente né meno simbolico, denaro.
Contadini, prima, artigiani, poi, sono stati obbligati a procurarsi un reddito
monetario come operai e l’estensione della proletarizzazione, indispensabile
per lo sviluppo della produzione industriale, ha realizzato un contesto tale
per cui il benessere si identifica con il potere d’acquisto e il denaro diventa
la misura della ricchezza.
Nel mito
del benessere e del possesso di cose, possibilmente da sostituire in tempi
brevi con merci che superano in tecnologia quelle appena acquistate,
il confronto politico tra destra e sinistra ha trovato un punto di contatto
culturale fecondo che si è svolto sulla base della comune valutazione
positiva della crescita della produzione delle merci (e del PIL), che
entrambe hanno salutato come “progresso”, perché causa di una
crescita economica senza precedenti (anche se, ovviamente, destra e sinistra si
sono divise riguardo ai modi di distribuirne i benefici).
Questo comune
sistema di valori è stato capace di rendere innocua la pulsione egualitaria
espressa dalla sinistra, spostando il desiderio di eliminare le cause
dell’ineguaglianza al desiderio di avere una quota maggiore del redito
monetario crescente, generato da quel modello.
In Italia, per
esempio, negli anni successivi alla fine della seconda guerra mondiale, la
sinistra ha collaborato attivamente alla diffusione del modo di produzione
industriale guidato dalla destra; si è impegnata molto a promuovere lo
sviluppo
del Mezzogiorno, contribuendo all’acquisizione del consenso da parte delle
popolazioni, convincendole che ne avrebbero tratto solo benefici economici e
occupazionali, e non anche gravi danni ecologici e sanitari. «Meglio morire di
fumo che di fame». (
SI
CONSIGLIA VIVAMENTE LA VISIONE DI QUESTO FILMATO PROMOZIONALE DELL’IRI, GIRATO
NEL 1959): https://www.youtube.com/watch?v=7vHRO7tgxEE
Non è un gran
progresso sulla strada dell’eguaglianza un aumento del reddito monetario che
consenta di comprare generi alimentari pieni di diossina quando prima li si
poteva autoprodurre sani e genuini; non è un gran progresso sulla strada
dell’eguaglianza un aumento del reddito monetario che consenta di comprare
acqua in bottiglie di plastica che prima non si doveva proprio comprare perché
le sorgenti non erano state inquinate dagli scarichi delle produzioni
industriali…
Per questo oggi
destra e sinistra appaiono entrambe espressioni di una storia finita: quella di
un mondo che puntava a una crescita senza limiti, della quale non ha
mai considerato i costi.
L’economia
mondiale è ormai entrata in una fase di instabilità destinata a durare e,
soprattutto, si sta diffondendo la consapevolezza degli inaccettabili danni
ambientali provocati dal modello di sviluppo perseguito fino a ora.
Dire addio a
questa obsoleta rappresentazione di interessi contrapposti è il punto di
partenza per ridefinire programmi politici e per
riformulare l’azione economica e sociale di questo Paese, sulla base
di uno sguardo del tutto nuovo.
Un progetto
politico davvero finalizzato a ridurre le diseguaglianze tra
gli esseri umani, non può non presupporre lo
smantellamento delle industrie nocive e un recupero dell’agricoltura di
sussistenza con la vendita delle eccedenze, con l’obiettivo di raggiungere la
massima autosufficienza alimentare. Le maggiori conoscenze scientifiche e gli
strumenti tecnici oggi disponibili, offrono a un progetto politico in tal senso
finalizzato, il carattere di una proiezione verso un futuro ben più
desiderabile di quello sempre più preoccupante prospettato all’umanità
dall’attuale sistema economico e produttivo.
In
questo libro si sostiene che se si abbandona l’ideologia della crescita è
possibile ridare forza all’impegno per una maggiore equità tra gli esseri umani.
A tal
fine occorre avviare una decrescita selettiva della produzione
sviluppando innovazioni tecnologiche che accrescano l’efficienza nell’uso delle
risorse e attenuino l’impatto ambientale dei processi produttivi, perseguire
l’autosufficienza alimentare valorizzando l’agricoltura di sussistenza,
superare l’antropocentrismo estendendo l’equità a tutti i viventi, ridurre la
mercificazione e l’importanza del denaro, riscoprire i beni comuni e le forme
di scambio basate sul dono e la reciprocità, superare il materialismo e
valorizzare la spiritualità.
Dall’analisi
dell’Enciclica Laudato si’ di papa Francesco, e dal vivace
dibattito che ne è seguito, sembrerebbe che questa
rivoluzione culturale sia iniziata.
«È arrivata
l’ora – scrive il pontefice – di accettare una certa decrescita in
alcune parti del mondo procurando risorse perché si possa crescere in modo sano
in altre parti». Il superamento della povertà dei popoli poveri, secondo il
papa, non potrà avvenire imitando il modello economico dei popoli ricchi. Per
la prima volta, la decrescita riceve un riconoscimento della massima
autorevolezza morale e viene indicata come la condizione indispensabile
per realizzare in questa fase della Storia la pulsione all’eguaglianza insita
nell’animo umano, che costituisce l’elemento caratterizzante dell’insegnamento
di Cristo.
Dopo due secoli
e mezzo di esaltazione acritica della crescita da parte di tutte le correnti di
pensiero, di destra, di sinistra e della stessa Chiesa cattolica, a fronte
dell’irrisione riservata sino a ora alla decrescita da politici, imprenditori e
intellettuali che pure si vantano della loro formazione cattolica (e che, per
quanta buona volontà ci mettano, dal 2008 non riescono a far ripartire la
crescita economica), questa affermazione di papa Francesco segna
l’inizio di una svolta storica: «Come mai prima d’ora nella Storia, il destino
comune ci obbliga a cercare un nuovo inizio»
Ma la
classe politica – da entrambe le parti – se n’è accorta?? A noi sembra
non esserne ancora pienamente cosciente, o non avere la forza di trovare
risposte adeguate ai bisogni del nostro tempo.