Da
un punto di vista strettamente storico-religioso, cioè di quel ramo delle
scienze storiche che si dedica allo studio delle religioni, una delle
caratteristiche del cristianesimo è la sua provata storicità. Sull’esistenza storica
di Gesù, come d’altronde su quella di
Giuseppe Flavio o di Paolo di Tarso, esiste una vasta documentazione
probante. Su Maria di Nazaret invece, si sa davvero molto poco e si può fare
affidamento solo su quel che ne dicono incidentalmente i quattro Vangeli e gli
Atti degli Apostoli. Non ci sono
insomma, né biografie, né cronache di eventi che la riguardino.
Tuttavia,
la letteratura religiosa cristiana ha consacrato a questo personaggio migliaia
di pagine e, com’è noto, persino la tradizione islamica gli ha riconosciuto un
ruolo preminente.
Un
discorso a parte andrebbe fatto per le
cosiddette apparizioni della Vergine di cui abbiamo notizia fin dal IV secolo, che
però non ci dicono nulla sulla Sua biografia o sulle Sue umane fattezze. Molti veggenti
del XX Secolo ce La descrivono come una specie di star di Hollywood di razza caucasica e qualche volta dai tratti nordico-arii
(bionda con gli occhi azzurri). Evidentemente uno stereotipo, un “adattamento” soggettivo
del veggente, oppure una frode, come a me sembra il caso delle presunte apparizioni
di Medjugorje. Qui della Madonna viene fornito addirittura un preciso identikit
antropometrico: la “Regina della Pace” è “slanciata”, ha un “viso ovale”, un
colore della pelle “bianco e roseo sulle gote”, le labbra “belle e sottili” e
gli occhi “meravigliosi, spiccatamente azzurri”. Più coerente e spiritualmente verosimile
mi sembra il racconto di Bernadette a cui la Madonna appare sì con i tratti di
una giovane donna, ma di una bellezza eccelsa e sublime, impossibile da
descrivere. Da qui la fatica che lo scultore Joseph Fabisch dovrà fare per
realizzarne la statua. Una rappresentazione, tra l’altro, di cui Bernadette non
si dichiarerà mai pienamente soddisfatta. Al contrario, la statua della Madonna
di Medjugorje viene volutamente fatta
somigliare, come con irriverente
sarcasmo fece notare il solito Umberto Eco, alla nostra Monica Bellucci! La verità è che nelle apparizione autentiche non
c’è materia per gli etnologi. A Fatima la
Madonna si manifesta come una giovinetta di grande bellezza ma “trasparente e
luminosa come un cristallo”.
Ma
torniamo alla storia umana e a una interessante e originale proposta che ci
viene dall’amico Emilio Spedicato. Laureato in fisica, dottorato in matematica
computazionale a Dalian (Cina), ammiratore di Immanuel Velikovsky e studioso di
catastrofi planetarie, Spedicato da diversi anni affronta la Bibbia cercando di
dimostrarne la storicità. Lo aiutano le sue notevoli conoscenze geografiche,
linguistiche ed etnologiche. Il testo è piuttosto lungo, le conclusioni
controverse e spiazzanti, ma assicuriamo che vale la pena leggerlo per intero.
A.L.F.
"Ho visitato solo alcuni
dei santuari mariani nel mondo, in Italia e in altri paesi, fra cui quello
della Madonna di Guadalupe o Morenita, vicino a Città del Messico. A questo fu
assai devoto il grande tenore dell’ Ottocento, Federico Gambarelli, che scampato
a un naufragio dopo aver rivolto alle onde l’immagine della Morenita, si fece
sacerdote. Investì quindi i suoi copiosi risparmi nel santuario dedicato alla
Morenita, ad Albino, vicino a Bergamo, contenente il ritratto cui attribuì
l’esser scampato al naufragio; vedasi Spedicato (2013). Ricordo fra gli altri
santuari da me visitati, dove si trovano Madonne Nere:
-
Quello di Oropa, fondato da Sant’Eusebio
di Vercelli nel quarto secolo, con una statua lignea della Madonna con Bambino,
la cui immagine è sotto. Eusebio portò altre due statue, una ora a Cagliari,
una a Crea, in Piemonte, dove è tradizione fare nove giri del santuario in
senso antiorario (sinistrorso). Eusebio avrebbe portato le tre statue,
attribuite a Luca evangelista, da Gerusalemme. Quella di Oropa è intatta, senza
alcun segno del tempo passato, anche sul piede pur molto toccato dai
pellegrini.
-
L’icona del Sacro Monte di Varese, santuario fondato forse da Sant’Ambrogio nel
381. Dal santuario e dal piccolo villaggio che gli sta attorno, proseguendo si
raggiunge sulla cima del monte Campo dei
Fiori l’osservatorio astronomico fondato da Salvatore Furia, cui collaborai e
dove scrissi nella solitudine la mia tesi di fisica nel 1969.
-
Quello di Loreto nelle Marche, con una
statua di Madonna e Bambino, notevole per la presenza della piccola casa che
secondo tradizione fu quella di Maria a Nazareth di Galilea, e che angeli
avrebbero portata a Loreto nel 1291; secondo uno studio recente le pietre della
casa, smontate e numerate, sarebbero da una nave appartenente alla famiglia
Angeli, con la ricostruzione della casa in loco
-
L’icona di San Luca a Bologna, forse
ridipinta su una sottostante più antica. Il santuario è del dodicesimo secolo.
Si trova sulla cima del Colle della Guardia dominante la città, raggiunto da un
portico di 666 archi, simbolo del serpente schiacciato dalla Madonna. L’icona
sarebbe stata portata da Costantinopoli da un pellegrino, è nera non molto
scura
-
Quello di Montserrat, dominante
Barcellona da 720 metri di altezza, con una statua detta anche la Moreneta, di
Madonna con Bambino. Si trova in un monastero benedettino dell’undicesimo
secolo, ma era già venerata dal nono secolo. Il monastero ha una scuola di
canto considerata la più antica in Europa. Sant’Ignazio di Loyola, fondatore dei
gesuiti, si sarebbe convertito durante una visita, leggendo un libro sulla
passione di Gesù. La statua sarebbe stata trovata nel 880 in una grotta da
alcuni bambini e quella attuale sarebbe una copia romanica. Ne esiste una copia
a Sassari, città che fu per un certo periodo sotto controllo catalano. Il volto
della Madonna è di carnagione scura, altre parti del corpo sono dipinte con
oro.
-
Quello di Einsiedeln, in Svizzera,
costruzione ora del Settecento, ma risalente al decimo secolo, frequentato dal
XIV secolo per la statua della Madonna Nera. La statua originaria fu distrutta
nel 1465 da un incendio, e sostituita dalla presente proveniente da altra
località svizzera; fu poi ridipinta in nero dopo i danni subiti durante la
rivoluzione francese. Einsiedeln appare nelle memorie di Giacomo Casanova, che,
affascinato dalla biblioteca ivi presente, decise di farsi monaco. Iniziò
quindi una lunga confessione, non terminata, poiché l’arrivo di due belle nobildonne inglesi gli fece perdere il santo
proposito. Casanova era giunto a Einsiedeln a piedi da Zurigo, dove sarebbe
tornato la sera, percorrendo quindi in una giornata oltre 80 km.
-
Quella del santuario polacco di Jasna Góra (= Monte Chiaro) a
Częstochowa, datata al 1382 con restauri
del 1430-1434 dopo sfregi, anch’essa attribuita originariamente a San Luca.
Sotto foto del santuario, forse il più suggestivo visitato da chi scrive, e
dell’altare con la Madonna, scattate dal mio compagno di liceo e germanista
Antonio Del Mare in un suo viaggio in loco poco prima della Pasqua 2016.
Una affascinante
presentazione delle Madonne Nere si trova nel libro Il culto delle Madonne nere, Jorio (2008). Le Madonne Nere sono nel
mondo circa 450, fra quelle di cui esiste la statua originaria medioevale,
quelle di cui si ha una copia, quelle di cui esiste il culto ma non si è certi
che esistesse in passato, e quelle il cui culto è sparito. In Francia i
santuari con statua originaria sono concentrati nella regione del massiccio
centrale, in Italia in Piemonte. In Wikipedia troviamo un elenco parziale dei
santuari con Madonne Nere, da cui prendiamo i seguenti numeri:
-
In Belgio 5
-
In Francia 180
-
In Italia 95, di cui 25 in Piemonte, 35
nell’Italia peninsulare, spesso portate da monaci greci nel secolo dodicesimo,
per salvarle dagli iconoclasti nel territorio bizantino.
-
In
Spagna 13
-
In Svizzera 7.
-
Altre informazioni interessanti si
trovano in Begg (2006), da cui riporto:
-
- La più antica raffigurazione della Vergine
sembra sia la Vergine scura nella catacomba di Priscilla a Roma, datata al
secondo secolo, da alcuni tuttavia considerata una raffigurazione di Iside, dea
il cui culto in migliaia di anni ha avuto varie evoluzioni
-
-
nel 438 l’imperatrice Eudocia, moglie di Teodosio, donò alla imperatrice
reggente Pulcheria, sorella maggiore di Teodosio e santa per le chiese
ortodosse e cattoliche, una icona della Madonna Nera dipinta da San Luca
-
-
nel 1255 San Luigi portò dalla crociata in oriente varie immagini di Nostra Signora intagliate in legno nero.
Furono lasciate nella provincia francese di Forez, fra Alta Loira e Massiccio Centrale
-
-
molte Madonne Nere furono distrutte prima dagli ugonotti, verso la fine
del Cinquecento, e due secoli dopo durante la rivoluzione francese
-
Nella prossima sezione consideriamo
alcune proposte sull’origine di tali raffigurazioni. Diamo quindi la nostra
spiegazione, mai stata considerata nella letteratura, basata su una recente
scoperta scientifica e su dati in un libro alquanto dimenticato del viaggiatore
spagnolo del dodicesimo secolo, il rabbino
Beniamino da Tudela.
Origine
delle Madonne Nere, nella letteratura e nella cultura popolare
È opinione corrente che
le Madonne Nere non abbiano nulla a che vedere con l’aspetto attuale di Maria
madre di Gesù. La letteratura inerente alle centinaia di santuari o immagini
della Madonna Nera è vastissima, sia come libri che come articoli. Quasi ogni
santuario ha vari libri sulla sua storia, spiegando quindi, di solito in poche
parole, perché la Madonna appaia in colore nero, o comunque molto scuro. Quanto
segue si basa sui libri citati di Jorio e di Begg (2006), nonché su quanto al
sottoscritto ha sentito da preti, guide e venditori di souvenir in alcuni
santuari.
Le opinioni più diffuse
e meno approfondite sono le seguenti:
-
Il colore nero non esisteva in origine,
è dovuto al passaggio del tempo, per la interazione con inquinanti
nell’atmosfera, in particolare con fuliggine dalle candele accese nel santuario
per secoli
-
Il colore è dovuto all’utilizzo di un supporto
nero, ad esempio l’ebano dell’India, di difficile accesso tuttavia nel passato,
o quercia stagionata, di colore scuro, o…
-
Il colore è nero come segno di dolore
-
Il colore è nero per fantasia del
pittore o scultore.
Contrariamente alla
diffusa credenza che con il passare del tempo
icone e statue da chiare diventerebbero scure o nere, uno studio di
Saillens (1945) mostra che una statua o icona nera diventerebbe con il tempo
grigia o giallastra.
Accanto alle credenze
citate che banalizzano il colore nero, motivazioni più approfondite sono
presenti nella letteratura, ma sempre tali da non riconoscere un riferimento
autentico a Maria madre di Gesù. Una ampia presentazione di tali approcci più
sofisticati si trova in Begg (2006), studioso di vari temi esoterici e
mitologici e già domenicano. Fra tali approcci notiamo:
-
L’ipotesi che le Madonne Nere siano immagini cristianizzate di
divinità pagane, in particolare celtiche. Si veda lo studio di Durand-Lefèbvre
(1937), sulla continuità fra dee pagane e Madonne nere. Si noti il colore nero
in divinità come Atena, vedasi il classico Black
Athena, di Martin Bernal (1997), o
nella dea Kali dell’India, dove Kali con la a breve significa in sanscrito nero, e nera in particolare è la lingua
di Kali, una delle sette fiamme del dio Agni. Stando ad Ackerman (1996.1998),
il dio Agni corrisponde alla prima fase, quella più calda, del materiale emesso
da Giove dopo l’impatto con un grande corpo, vedasi anche Spedicato (2015),
materiale poi divenuto il pianeta Venere. Kali con la a lunga significa sangue, e si può vedere una relazione
fra i due significati nel contesto considerato
-
L’associazione con sacre Pietre Nere. Di
queste una famosa, sacra alla dea Cibele,
fu inviata a Roma nel 205 AC da Attalo, re di Pergamo, la città in
Anatolia occidentale nota per la biblioteca, seconda solo a quella di
Alessandria, e per l’invenzione della pergamena. Cibele era una divinità
anatolica, associata alla Dea Madre. I suoi sacerdoti, detti Coribanti,
all’equinozio di primavera svolgevano un rito speciale, in cui si mutilavano.
Il significato di tali riti è enigmatico. Potrebbe relazionarsi agli eventi
seguiti all’impatto che Giove subì, avvenuto secondo certi argomenti durante un
equinozio di primavera. Ricordiamo anche la Pietra Nera in Arabia, vicino alla
Mecca, nel santuario della Kaaba, sulla cui origine vedasi Boubakeur (1999), da
associarsi al santuario duale, anch’esso con 360 statue ma con una pietra
bianca, sito a sud della Mecca, in Asir. Tale santuario fu rispettato da Maometto
ma fu distrutto da Ibn Saud quando prese
il potere verso il 1920. Ibn Saud
distrusse anche le tombe di Maometto alla Medina, quella di Eva a
Jeddah, e sterminò i 700.000 sciiti nel territorio da lui controllato.
-
La discendenza da una esoterica Sapienza
Nera, ipotizzata dal grande mitologo Robert Graves (1965)
Nella
prossima sezione sosterremo che le Madonne Nere riflettano l’effettivo colore
della pelle di Maria. Luca, medico, amico di Paolo di Tarso ed evangelista, ne
era a conoscenza e lo rispettò nella sua qualità di pittore veritiero.
Madonne Nere, una
origine veritiera
In questa sezione utilizziamo nuovi argomenti
per affermare che il colore nero, o comunque scuro, delle icone e delle statue
delle Madonne Nere non sia dovuto ai motivi considerati nella precedente
sezione, ma rifletta una caratteristica effettiva della pelle di Maria. Fatto
poi dimenticato, o per il perdersi dell’informazione, o per il privilegiare il
colore bianco o comunque chiaro degli europei o nord africani, presso i quali
il cristianesimo si diffuse principalmente,
nelle terre dell’impero romano.
I nostri argomenti si
basano su una ipotesi, accettabile per molti ma rifiutata da altri, e su due
fatti scientifici.
L’ipotesi è che
l’immagine che appare sul telo della Sindone, ora a Torino, sia quella del
corpo di Gesù, creatasi nella tomba dove il telo lo avvolse. I due fatti sono
il primo la scoperta, dovuta al medico legale Pierluigi Baima Bollone, che
l’uomo della Sindone ha le caratteristiche antropometriche di un maschio
arabo-yemenita, e il secondo
l’affermazione, del viaggiatore spagnolo del XII secolo, il rabbino Beniamino
da Tudela, che la metà degli ebrei da lui conteggiati, dalla Spagna all’India,
si trovassero nello Yemen.
Quanto sopra suggerisce
l’ipotesi che Maria fosse di nascita una arabo-yemenita e quindi avesse la
pelle del colore tipico di tale popolo, ovvero nero e comunque molto scuro.
Colore la cui origine non è dall’ Africa bantu, ma dalle popolazioni
dravidiche, che un tempo occupavano, oltre all’India, gran parte dell’ Asia sud
occidentale e forse anche parti della regione mediterranea. Popolazione dalla
pelle nera, anche se con variazione rispetto al colore dei bantu, più opaca,
meno lucente. Ricordiamo che gli abitanti dell’ India erano correntemente
chiamati etiopi, ovvero dalla pelle bruciata (dal sole), denominazione
frequente nell’epica Dionisiache di
Nonno di Panopoli sulla guerra di Dioniso contro l’India. Tale guerra è
considerabile un fatto storico, di poco
precedente l’esplosione di Fetonte con diluvio di Deucalione, verso il
1450 AC, vedasi Spedicato (2014).
Partiamo dalla Sindone,
su cui vasta è la letteratura, vedasi in particolare Baima Bollone (2015) per
informazioni su un tema dove nuovi risultati continuano ad arrivare da
sofisticate ricerche scientifiche. Ci limitiamo ad alcuni fatti:
-
Dai Vangeli sappiamo che il corpo di
Gesù, deposto dalla croce, fu unto con sostanze aromatiche, fra cui aloe e
mirra. Poi fu avvolto in un lenzuolo, che Pietro e Giovanni, testimoni, dopo
Maria Maddalena, della scomparsa del
corpo, videro vuoto
-
È tradizione che il lenzuolo, su cui era
visibile una immagine, fu portato ad Edessa, città ora chiamata Urfa Sanluri e
sita nella Turchia meridionale, dal re
Abgar, che, dopo una corrispondenza epistolare con Gesù, lo ebbe in dono e si
convertì; le lettere furono viste da Egeria figlia di Teodosio, come lei
afferma nel suo resoconto di viaggio verso il monte Sinai, riscoperto in tempi
recenti in un libro dove il testo di Egeria era stato sovrascritto con inni
religiosi
-
Nascosto il lenzuolo in una cavità delle
mura di Edessa durante un difficile periodo, fu ritrovato dopo un terremoto e
venduto dai persiani allora in potere ai bizantini
-
Conservato per secoli nel palazzo imperiale
delle Blacherne a Costantinopoli, con occasionale ostensione, scomparve durante
la IV crociata guidata dal doge Enrico Dandolo di Venezia, cieco e vecchissimo,
quando Costantinopoli fu gravemente saccheggiata con perdita di tante opere,
fra cui grandi statue romane in bronzo fuse per fare cannoni. Il lenzuolo fu
rubato probabilmente da un nobile crociato francese e, passando da Atene,
arrivò in Francia, dove nel 1353, a Lirey, Goffredo di Charny annunciò di
esserne in possesso
-
Consegnato ai Savoia nel 1453, si trova
ora a Torino. Fu consegnato nel 1983 alla Santa Sede. È sopravvissuto a due
incendi, il più grave nel 1532, il secondo nel 1997. I primi raffinati studi
scientifici sono iniziati dopo la guerra, fra i quali quelli sul polline del
criminologo svizzero Max Frei e su vari temi del medico legale di Torino
Pierluigi Baima Bollone.
Conferme alla
tradizione di cui sopra, includono fra l’altro:
-
Tessuto di lino naturale, con ordito a
spina di pesce, e lavorazione speciale del tempo di Gesù
-
Presenza di polline dalle regioni dove
il tessuto è passato, secondo la storia di cui sopra, in particolare di piante
xerofili della zona del Mar Morto, e di una pianta endemica delle mura di
Gerusalemme; pollini inoltre negli unguenti usati, tipici dei seppellimenti
dell’epoca di Gesù
-
Variazione dell’iconografia bizantina di
Gesù, anche nelle monete, dopo il
ritrovamento del lenzuolo e suo trasporto a Costantinopoli; effetti anche
sull’iconografia in altre regioni
-
Scoperta di particelle di sangue, aloe e
mirra, con presenza di bilirubina di color scarlatto, sostanza elaborata dal
pancreas, di colore giallo ma che diventa rossa in caso di stress; sostanza
molto stabile, ritrovata anche in ossa di uomo di Neanderthal
-
Mancanza di pigmenti e di altri effetti
che spieghino la colorazione del lenzuolo in corrispondenza delle immagini,
colorazione della quale il fisico Giancarlo Cavalleri (2014) ha dato una
sofisticata spiegazione al momento della resurrezione, quando il corpo
scomparve, lasciando il lenzuolo vuoto. Si noti la tradizione tibetana su una
simile evaporazione del corpo in relazione alla morte di Marpa e di sua moglie.
Marpa, maestro di Milarepa, possedeva secondo tradizione la tecnica, forse
originata da Utanapishtim, vedasi Spedicato (2001,a,b), di far passare la
propria anima ad un altro corpo, di cadavere recente, umano o animale
-
L’immagine è un negativo, come emerso
con grande sorpresa nelle foto di Secondo Pia, 1898, e di Giuseppe Enrie, 1930.
Immagine in negativo sono sconosciute nella pittura precedente e sono quasi
inconcepibili in assenza della fotografia
-
Tridimensionalità dell’immagine, emersa
in studi a partire dal 1977, vedasi Giovanni Tamburelli di Torino ed altri
-
Quasi certa impronta di moneta emessa da
Tiberio nel 29 e posta sugli occhi, secondo una tradizione di allora,
evidenziata da sofisticata elaborazione dell’immagine.
L’obiezione principale
contro l’autenticità della Sindone è la datazione al radiocarbonio, effettuata nel
1988 presso i laboratori ETH di Zurigo, e le università di Oxford e di Tucson
in Arizona. Tale datazione pone il materiale esaminato fra il 1260 e il 1390.
Esistono tuttavia obiezioni alla correttezza di tale datazione. Lasciando da
parte le accuse di errori nella elaborazione statistica dei dati, per non dire
della sostituzione del campione esaminato con uno preso dagli archivi del
British Museum, da un lino appartenuto a San Luigi, si possono considerare le
seguenti giustificazioni per una datazione errata:
-
Il tessuto esaminato proveniva da una
zona laterale del lenzuolo, con depositi carboniosi dall’incendio del 1532
-
In certi tessuti sulle fibre possono
depositarsi batteri di origine anche recente, ringiovanendo il materiale
organico. Tale effetto appare nelle
mummie egizie, dove sono state osservate differenze anche di un migliaio
di anni fra il corpo della mummia e il tessuto che l’avvolge; la pulizia
effettuata sui tessuti esaminati si suppone tuttavia che abbia eliminato
materiale estraneo
-
Se l’immagine fosse stata originata da
un flusso di neutroni al momento della resurrezione, come proposto da
Cavalleri, allora i neutroni avrebbero portato ad un aumento del C14
originario. Cavalleri calcola che sarebbe bastato un aumento del
18% del C14 per ridurre l’età
del telo da 2000 anni a 650.
Stabilire in modo
definitivo che l’immagine della Sindone sia autentica e che sia quella del
corpo di Gesù al momento della resurrezione, è al di là della scienza odierna,
e forse di sempre, ed un fattore opinione o fede è inevitabile. Osserviamo tuttavia che se la tesi di
Cavalleri fosse corretta, si sarebbe in presenza di uno straordinario miracolo,
prova della resurrezione di Cristo e quindi della sua divinità.
Per proseguire in questo studio assumiamo come
ipotesi di lavoro che l’ immagine sia autentica e sia quella del corpo di Gesù.
Il secondo punto è
basato sull’analisi antropometrica del corpo la cui immagine appare sulla
Sindone, effettuata da Baima Bollone (1990). Le caratteristiche osservate sono
quelle tipiche di un maschio dell’ Arabia, in particolare dello Yemen, che è
sempre stato la parte più popolata della penisola arabica (22 milioni nel 2008,
contro i 16 milioni della ben più grande Arabia Saudita nel 2006, tralasciando
i 9 milioni di immigrati provvisori… rapporto di popolazione in passato forse
ancora più favorevole allo Yemen).
La parte più ricca come
agricoltura e allevamento nella penisola arabica è l’ Arabia felix, dalla Mecca
allo Yemen, con l’altopiano dell’ Asir, ricco di fiumi e laghi grazie ad un
ramo del monsone che vi porta piogge. Secondo lo storico libanese Kamal Salibi,
che usa argomentazioni geografiche molto pertinenti, la biblica Terra di Canaan
non è la Palestina, ma la parte dell’ Arabia sud est comprendente l’Asir,
vedasi Salibi (1988, 1996, 1998). Terra di burroni e di città sulla cima di
monti quasi imprendibili, come descritta in Esodo
dalla spedizione che Mosè vi inviò e di cui fece poi uccidere i componenti,
avendo la loro descrizione terrorizzato gli altri. Tale parte è sempre stata
intensamente abitata, anche da popoli di diverse stirpi e lingue, almeno sino
all’arrivo di Ibn Saud, che ha chiuso l’Asir per circa 80 anni, con conseguenze
non note di distruzioni archeologiche e della popolazione; si noti che nel
vicino Dhofar, terra del migliore incenso e ora afferente all’ Oman, vivono quattro stirpi di lingue diverse, non
semitiche e non indoeuropee.
Fra le popolazioni
nell’ Arabia Felix vanno citati gli ebrei, i discendenti di Abramo. Gli ebrei
non sono semiti, ma forse ariani in origine, stando alla dimenticata
affermazione di Clearco da Soli: gli
ebrei discendono dai sapienti dell’India. Affermazione in accordo con chi
scrive, per cui Abramo migrò dalle città di Uri e Haran non del Medio Oriente,
ma del Kashmir, Spedicato (2016b). Fra la popolazione dell’Arabia Felix, in
generale cospicua per le buone condizioni climatiche, alto era il numero degli
ebrei. Questi, stando alla Bibbia ed alla datazione dell’ Esodo al 1447 AC,
arrivarono verso il 1400 AC, conquistando la Terra di Canaan sotto la guida di
Giosuè. Parte della popolazione locale migrò, per sfuggire al totale sterminio
operato da Giosuè, verso l’ Africa del nord, divenendo i Berberi, stando a
storici arabi medioevali e a tradizioni ancora vive nei villaggi berberi.
Dopo la scomparsa di
Salomone, verso il 930 AC, e la fine del
suo grande regno, reale e non una finzione, vedi Spedicato (2015), gli ebrei si divisero in due parti spesso in
guerra fra di loro, la tribù di Giuda e Simeone nel sud e le altre dieci tribù
nel nord, formanti il regno d’Israele. Le dieci tribù furono deportate nel 722
da Sargon II re di Assiria in una regione dell’impero assiro detta di Halah,
con la città di Habor e il fiume Gozan. Tale regione è identificabile con parte
dell’ Afghanistan e Kashmir, da cui Abramo era partito, vedendo in Habor una
forma per Kabol o Kabul, in Gozan una forma per Gihon, attuale Amu Darya, e in
Halah il Kabulistan.
Quando l’impero
babilonese fu conquistato dal re persiano Ciro, questi permise ai popoli
deportati di ritornare nella loro terra. Quelli della tribù di Giuda andarono
in parte in Palestina, crocevia dei commerci fra Persia ed Egitto, dove
lavorarono per i persiani. Iniziarono la
ricostruzione del Tempio, completato nel 515 AC. Con Ezra verso il 450 AC furono scritti i 94
libri sacri, 24 quelli del canone ebraico, per il popolo, e 70 per i grandi
sacerdoti, quelli apocrifi, conservati nel Tempio in un armadio speciale, vedi
Sacchi (2011). Con Neemia furono esclusi dal Tempio i sacerdoti privi di
antenati che fossero stati in prigionia a Babilonia, escludendo quindi chi
facesse parte delle dieci tribù. Parte dei discendenti delle dieci tribù
tornarono nella originaria terra di Canaan, comprendente lo Yemen. La Bibbia,
erede della divisione fra regno del sud e del nord, ignora le dieci tribù dopo la loro
deportazione. Ma sappiamo che la loro esistenza era ben nota, dato che verso il
250 AC Tolomeo Filadelfo volle, per la
famosa Settanta, traduzione della
Bibbia consonantica in greco (da quale testo non è certo…), sei esperti da ciascuna delle dodici tribù.
Ed è facile considerazione che i traduttori dalle dieci tribù, essendo in
maggioranza, abbiano imposto la loro versione, spiegandosi così le migliaia di
varianti fra la Settanta e la
successiva Bibbia ebraica, o Testo
Masoretico.
Dalla ipotesi che
l’uomo della Sindone fosse Gesù, e che fosse un maschio del tipo
arabo-yemenita, consegue che la madre fosse quasi certamente anche lei del tipo
arabo-yemenita. Ora le popolazioni di tale parte dell’ Arabia sono generalmente
di colore scuro, di un nero che si ritrova in India e nell’Iran centrale (zona
di Kerman), tipico delle popolazioni dravidiche, il cui habitat un tempo era
assai più esteso. Una ipotesi dove si ignora l’apporto paterno, se Gesù nacque
senza intervento di un padre. Fatto
questo che va oltre l’analisi in questa sede.
Maria può quindi essere considerata una donna
ebrea proveniente dallo Yemen, o vicinanze, dalla pelle di colore scuro o nero.
Fatto che fu forse uno dei problemi per
Giuseppe quando la accolse al termine del suo lavoro di filatrice per la tela
di ricambio del Tempio, di cui ad apocrifi. Il colore scuro doveva essere ben
noto a Luca, autore del primo dipinto, se non attraverso una sua esperienza
personale, da quanto Paolo gli disse al ritorno dall’ Arabia. Sappiamo infatti
che Paolo, dopo un breve incontro a Gerusalemme con gli apostoli, si recò in
Arabia, per motivi oscuri. Alla luce della teoria di Salibi (2007), secondo cui Giuseppe sarebbe vissuto in
Arabia, nel Wadi Jalil, ovvero Valle di Galilea, per andare solo dopo in
Egitto a Nazareth di Galilea in
Palestina, ha senso che Paolo si sia recato in tale zona per avere ulteriori
informazioni su Gesù. Le informazioni sulla origine di Maria e sul suo colore
della pelle, Luca, discepolo e amico di Paolo, potrebbe averle avute quindi da
Paolo, anche se è probabile che abbia incontrato Maria personalmente. Luca è
santo patrono degli artisti, avrebbe dipinto anche i ritratti di San Pietro e di San Paolo. Secondo Iacopo da Varazze, Luca sarebbe
l’autore inoltre della immagine dipinta su legno di Gesù seduto in trono,
benedicente con la mano destra e con il rotolo del Vangelo nella sinistra,
collocata nella cappella della Santa Scala presso la Basilica di San Giovanni
in Laterano. Icona veneratissima, fu portata sulle spalle da papa Stefano II,
secondo il Liber Pontificalis, al
tempo dell’invasione dei Longobardi. Il colore originario del volto non è noto,
causa i vari restauri e la copertura del volto con un tessuto di seta applicato
all’originale nel secondo restauro sotto Alessandro III, fine dodicesimo
secolo".
Emilio Spedicato