Notarella biografica
Dal 1391 sino ai giorni
nostri nel Tibet si sono reincarnati quattordici Dalai Lama. Sono chiamati "Sua Santità" e considerati dei
Bodhisattva, cioè grandi maestri spirituali che hanno ormai superato il
giogo delle morti-rinascite, ma tornano a reincarnarsi per aiutare l'umanità. Ogni
Dalai Lama predice l'epoca e il luogo della sua reincarnazione e anche il
Grande Tredicesimo Dalai Lama aveva annunciato che sarebbe rinato poco dopo nel
Nord-Est del Paese. Così avvenne. In che modo fu rintracciato il nuovo Dalai
Lama? Due anni dopo la morte del Grande Tredicesimo, nel 1935, fu nominato un
Reggente, che si assunse la responsabilità della ricerca del
Quattordicesimo Dalai Lama. Il Reggente ebbe la visione di tre lettere
dell'alfabeto tibetano, d'un monastero color verde-giada e oro, e d'una casa
con le tegole color turchese. Prese nota di ogni dettaglio della visione, e
pose sottochiave una copia sigillata dello scritto, così che non potesse essere
modificato in seguito. Dopo varie ricerche, finì per incamminarsi nel villaggio
di Taktser, a NordEst del Tibet. A un certo punto si trovò di fronte una casa
dal tetto color turchese, presso un monastero color verde-giada e oro. Come
esige il protocollo, egli, entrando in quella casa, nascose la sua identità: si
presentò sotto le false spoglie d'un servo, facendo passare il suo servo per
suo padrone. Senza sospetto, fu accolto e condotto in cucina a mangiare insieme
agli altri servi. Qui egli vide un bambino di due anni che, trascurando i suoi
giocattoli, gli corse incontro gridando: «Lama! Lama!», e gli si sedette in
grembo.
Poi il bimbo afferrò un rosario, che era appartenuto al Grande Tredicesimo,
ed esclamò: «È mio. Posso averlo, per favore?». «Si', puoi averlo; ma devi dirmi chi sono io!», gli ribatté il Reggente. «Tu sei Sera-aga», rispose il bimbo. Sera-aga,
nel dialetto locale, significa un lama del monastero di Sera, a Lhasa. (Da notare che il bimbo non aveva mai sentito parlare quel dialetto in casa).
A questo punto, il bimbo fu sottoposto all'accurato esame di una commissione
di ricerca: seppe dire immediatamente il nome di tutti i commissari e scelse prontamente, tra tanti breviari, rosari e bastoni da passeggio, quelli appartenuti al Tredicesimo Dalai Lama. Era stupefacente, in un bambino di due anni, la compostezza, la ponderazione, l'autocontrollo che dimostrava. Fu dunque proclamato Quattordicesimo Dalai Lama.
Poi il bimbo afferrò un rosario, che era appartenuto al Grande Tredicesimo,
ed esclamò: «È mio. Posso averlo, per favore?». «Si', puoi averlo; ma devi dirmi chi sono io!», gli ribatté il Reggente. «Tu sei Sera-aga», rispose il bimbo. Sera-aga,
nel dialetto locale, significa un lama del monastero di Sera, a Lhasa. (Da notare che il bimbo non aveva mai sentito parlare quel dialetto in casa).
A questo punto, il bimbo fu sottoposto all'accurato esame di una commissione
di ricerca: seppe dire immediatamente il nome di tutti i commissari e scelse prontamente, tra tanti breviari, rosari e bastoni da passeggio, quelli appartenuti al Tredicesimo Dalai Lama. Era stupefacente, in un bambino di due anni, la compostezza, la ponderazione, l'autocontrollo che dimostrava. Fu dunque proclamato Quattordicesimo Dalai Lama.
L’educazione di Sua
Santità iniziò all’età di sei anni e venne completata con il conseguimento del
titolo di Geshe Lharampa (Dottorato in filosofia buddista) all’età di 25 anni,
nel 1959. All’età di 24 anni affrontò gli esami preliminari in ciascuna delle
tre università monastiche: Drepung, Sera e Ganden. L’esame finale avvenne nello
Jokhang, a Lhasa durante il Festival annuale di preghiera detto Monlan, che si
tiene il primo mese di ogni anno del calendario tibetano.
Sin dal 1967, Sua
Santità ha intrapreso una serie di viaggi che lo hanno portato in circa 46
nazioni. Nell’autunno del 1991 ha visitato gli Stati Baltici su invito del
presidente lituano Vytautas Landsbergis ed è stato il primo leader straniero a
rivolgersi al parlamento lituano. Nel 1973, fu ricevuto in Vaticano da Paolo VI, il quale disse: «Vostra Santità viene a noi dall'Asia, la
culla delle antiche religioni e delle umane tradizioni che sono giustamente
tenute in profonda venerazione». E aggiunse: «Questi modi di condotta e questi insegnamenti di altre religioni
rispecchiano i raggi di verità eterna da cui tutti gli uomini sono illuminati».
Sua Santità ha
incontrato papa Giovanni Paolo II, nel 1980, 1982, 1986, 1988 e 1990 in
Vaticano. Nel 1981, Sua Santità ha conferito con l’arcivescovo di Canterbury,
il dottor Robert Runcie e con gli altri leaders della chiesa Anglicana, a
Londra. Ha incontrato anche le autorità della chiesa Cattolica e della Comunità
ebraica. In occasione di un dialogo interreligioso tenuto in suo onore dal
Congresso Mondiale delle fedi ha detto: “Ho sempre creduto che sia molto meglio
avere una varietà di religioni, una varietà di filosofie, piuttosto che una
sola religione o filosofia. Questo è necessario per via delle differenti
disposizioni mentali di ciascun essere senziente. Ogni religione ha certe idee
o tecniche che le sono proprie e impararle può solo essere di arricchimento per
la fede di ognuno”.
Sua Santità spesso ha
detto: “Io sono un semplice monaco buddista, né più, né meno”.
Sua Santità vive la
vita di un monaco buddista, risiedendo in una piccola abitazione a Dharamsala
si alza alle 4 del mattino per meditare, successivamente si occupa della
programmazione dei suoi incontri concernenti le questioni amministrative,
concede udienze private, impartisce insegnamenti religiosi e presenzia a
cerimonie rituali. Conclude la sua giornata con ulteriori preghiere prima del
riposo notturno. Nel dichiarare le sue più grandi fonti di ispirazione egli
cita spesso i suoi versi preferiti che si trovano negli scritti di un famoso
santo buddista dell’ottavo secolo, chiamato Shantideva: “Per quanto a lungo
durerà lo spazio e per quanto a lungo resteranno delle creature viventi in
esso, fino ad allora anch’io ci sarò per sconfiggere la sofferenza del mondo”.
Per ultimo, una
curiosità con buon pace di vegani e vegetariani: il Dalai Lama mangia poco ma di tutto, anche la carne.
René Guénon sul Dalai
Lama
Da qualche tempo informazioni di
fonte inglese, e quindi evidentemente interessate, ci rappresentano il Tibet
come invaso da un esercito cinese, e il Dalai Lama in fuga davanti a questa
invasione, pronto a chiedere aiuto al governo delle Indie per restaurare la
propria autorità minacciata. È perfettamente comprensibile che gli Inglesi
pretendano di aggregare il Tibet all’india, dalla quale tuttavia lo separano
ostacoli naturali difficilmente superabili, e che essi cerchino un pretesto per
penetrare nell’Asia centrale, dove nessuno pensa a invocare il loro intervento.
La verità è che il Tibet è una provincia cinese, che da secoli dipende
amministrativamente dalla Cina e che di conseguenza quest’ultima non deve
affatto conquistarlo. Quanto al Dalai Lama, non è e non è mai stato un sovrano
temporale, e la sua potenza spirituale è fuori dalla portata di mano degli
invasori, chiunque essi siano, che potrebbero introdursi nella regione
tibetana. Le notizie allarmanti che attualmente si cerca di diffondere sono
dunque prive di ogni fondamento; in realtà, vi sono semplicemente stati alcuni
atti di saccheggio commessi da una banda di rapinatori, ma, come abbastanza
spesso avviene in questa regione, non c’è nessuno che se ne preoccupi
seriamente. Approfitteremo di questa occasione per rispondere a certe domande
che ci sono state poste circa il Dalai Lama; ma, perché non ci si possa
accusare di fare delle affermazioni dubbie e non basate su alcuna autorità, ci
limitiamo a riprodurre i passi più importanti di una Correspondance
d’Extrême-Orient pubblicata su “La Voie” (nn. 8 e 9). Questa corrispondenza
apparve nel 1904, nel momento in cui una spedizione inglese comandata dal
colonnello Younghusband tornava da Lhassa con un preteso trattato, in calce al
quale non figurava nessuna firma tibetana. “Gli inglesi riportavano
dall’altopiano tibetano un trattato che era stato firmato soltanto dal loro
capo e non era dunque per i tibetani né un impegno né un obbligo. L’intrusione
inglese a Lhassa non poteva avere nessuna influenza sul governo tibetano e meno
ancora su quella parte della religione tibetana che bisogna considerare come
l’antenata di tutti i dogmi; ancor meno sul simbolo vivente della Tradizione”. Ecco
alcuni particolari sul palazzo del Dalai Lama, dove nessuno straniero è mai
penetrato. “Questo palazzo non si trova nella città di Lhassa, ma sulla cima
di una collina isolata nel mezzo della pianura e situata a circa un quarto
d’ora a nord della città. Esso è quasi circondato e rinchiuso da un gran numero
di templi costruiti come dinh (pagode confuciane), dove abitano i
Lama che sono al servizio del Dalai Lama; i pellegrini non varcano mai
l’ingresso di questi dinh. Lo spazio che si trova al centro di questi templi
disposti in cerchio l’uno accanto all’altro è un gran cortile quasi sempre
deserto, in mezzo al quale si trovano quattro templi di forma diversa, ma
disposti in maniera da formare un quadrato. Al centro di questo quadrato c’è la
dimora personale del Dalai Lama. I quattro templi sono di grandi dimensioni, ma
non sono molto elevati, e sono costruiti press’a poco secondo il modello delle
abitazioni dei viceré o dei governatori delle grandi provincie dell’Impero
cinese; sono occupati dai dodici lama chiamati Lama Namshan, che costituiscono
il consiglio circolare del Dalai Lama. Gli appartamenti sono riccamente
decorati, ma vi si vedono solo i colori lamaisti, il giallo e il rosso; sono
suddivisi in più stanze, le più grandi delle quali sono le “sale della
preghiera” . ma, salvo rare eccezioni, i dodici Lama Namshan non possono
ricevere nessuno nei loro appartamenti interni; i loro stessi servi rimangono
negli appartamenti esterni, così chiamati perché di li non è possibile vedere
il palazzo centrale. Quest’ultimo occupa il centro del secondo quadrato ed è da
ogni parte isolato dagli appartamenti dei dodici Lama Namshan; è necessario un
invito speciale e personale del Dalai Lama per oltrepassare questo spazio
interno. Il palazzo del Dalai Lama si rivela agli occhi degli abitanti degli
appartamenti interni solo attraverso un grande peristilio che lo circonda
tutto, come in tutti gli edifici dell’Asia meridionale; questo peristilio è
costituito da quattro ranghi di colonne che sono, dall’alto al basso, ricoperte
d’oro. Nessuno abita al pianterreno del palazzo, che si compone unicamente di
vestiboli, di sale di preghiera, di scalinate gigantesche. Il palazzo consta di
tre piani: il primo è del colore della pietra, il secondo è rosso, e il terzo è
giallo. Sopra al terzo piano, a guisa di tetto, si innalza una cupola
perfettamente rotonda e ricoperta di lamine d’oro; questa cupola la si vede da
Lhassa, e da un punto assai lontano nella valle, ma i templi interni ed esterni
nascondono la vista dei piani. Solo i dodici Lama Namshan conoscono la
distribuzione dei piani nel palazzo centrale e sanno che cosa vi avviene; è al
piano rosso e al centro, che si tengono le riunioni del consiglio circolare.
L’insieme di queste costruzioni è grandioso e maestoso, coloro che hanno
l’autorizzazione di circolarvi sono tenuti a conservare il silenzio”. (Nguyen
Van Chang, Le Palais du Dalai Lama, La Voie n.8 novembre 1904).
Ecco adesso quello che concerne il Dalai
Lama stesso: “Quanto alla persona del Dalai Lama, che si credeva di vedere (al
momento dell’intrusione inglese) coercita e profanata da sguardi stranieri,
bisogna dire che tale timore è ingenuo e che, né ora né mai, esso potrebbe
essere giustificato. La persona del Dalai Lama si manifesta solo al piano rosso
del grande palazzo sacro, quando i dodici Lama Namshan vi si trovano riuniti in
certe condizioni e per ordine di colui che li governa. Sarebbe sufficiente la
presenza di un altro uomo, di chicchessia, e il Dalai Lama non apparirebbe; e
vi è più di una impossibilità materiale che impedisce che la sua presenza venga
profanata; egli non può trovarsi là dove si trovano i suoi nemici o anche
semplicemente degli estranei. Il Papa dell’Oriente, come lo chiamano
(assai impropriamente) i fedeli del Papa d’Occidente, non è uno di quegli
esseri che vengono sottoposti a spoliazione o a costrizione, perché non è
soggetto a potere umano, egli è sempre il medesimo, oggi come nel giorno remoto
in cui si rivelò a quel Lama profetico
che i Tibetani chiamano Issa e che i cristiani chiamano Gesù”. (Nguyen
Van Chang, Le Palais du Dalai Lama, La Voie n. 9, 15 novembre 1904).
Tutto ciò dimostra a sufficienza che il Dalai Lama non può trovarsi in fuga, né
adesso né al momento in cui venivano scritte le righe riportate più sopra, e
che non si può pensare né destituirlo né ad eleggergli un successore; da tutto
ciò si vede parimenti quanto valgono le affermazioni di certi viaggiatori che,
avendo più o meno esplorato il Tibet, pretendono di aver visto il Dalai Lama;
non è il caso di attribuire la minima importanza a tali resoconti. Noi non
aggiungeremo nulla alle parole che abbiamo riferite, parole che provengono da
una fonte assai autorevole, si comprenderà d’altronde che una tale questione
non è una di quelle che possono essere trattate pubblicamente senza riserve,
tuttavia abbiamo ritenuto che non fosse né inutile né inopportuno dirne qualcosa
in questa sede.
T. Palingenius
Da: “LA GNOSE” n.5 marzo 1910.
Nostro commento:
Dobbiamo allora
concludere che l’attuale Dalai Lama sia un impostore? Francamente non lo
sappiamo, né siamo in grado di rispondere a questa difficile e impegnativa domanda
con sufficiente autorevolezza e chiaroveggenza. Confessiamo, dopo aver letto l’articolo
di Guénon, di averci riflettuto per oltre un ventennio, senza riuscire ad arrivare
a una conclusione non diremmo certa (cosa che riteniamo impossibile), ma almeno
in via teorica verosimilmente attendibile. Abbiamo deciso perciò di sospendere il
giudizio e di limitarci, anche in questa sede, a sollevare il problema, lasciando
ad altri (ai buddisti italiani in primis,
ma anche ai conoscitori di prima mano del Tibet e ai tibetologi) l’arduo
compito di affrontarlo. Sempre ammesso che esistano, tra i nostri lettori, tibetologi, buddisti
critici, buddisti indipendenti o, infine, buddisti “sedevacantisti” non animati da fanatismo religioso.