“Umberto Eco è rimasto, in fondo, un
tomista”, disse una volta Gianni Vattimo a proposito dell’antico compagno di
studi all’Università di Torino, e in questo “ritratto di un tomista da giovane”
si riferiva alla sua tesi di laurea sul problema del “bello” in Tommaso
d’Aquino con Luigi Pareyson nel 1956, in seguito ampliata e pubblicata in una
monografia su arte e bellezza nel pensiero
medievale. Del resto, lo studio dell’estetica scolastica è rimasto costante
anche nell’approccio di Eco alla semiotica contemporanea; solo qualche anno fa,
nel 2010, aveva persino pubblicato un’intervista immaginaria a Tommaso d’Aquino
e, nel 2012, una poderosa raccolta di Scritti sul pensiero medievale nella
collana “Il Pensiero Occidentale” della Bompiani.
Tuttavia, a mio avviso, la sua vera indole filosofica non era quella del “domenicano”, bensì quella del “francescano” Guglielmo da Ockham e del suo “nominalismo” antimetafisico; di questo vi sono numerosi indizi sia letterari che saggistici. Già nel Nome della rosa e nel distico che ha ispirato il titolo (stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus) è evidente la frattura tra i “nomi”, le “idee” e le “cose” che i nomina dovrebbero significare; inoltre, il nome del protagonista è proprio frate Guglielmo. Ma la conferma più chiara si trova nel saggio intitolato L’antiporfirio, nella raccolta Il pensiero debole del 1983 che ha segnato la stagione filosofica italiana. In questo scritto Eco critica la lettura “platonica” di Aristotele che Porfirio aveva proposto nell’Isagoge e da cui era nata la nota disputa medievale sugli universali; Eco propende per la soluzione nominalista di Ockham, contro quella realista moderata – platonico-aristotelica – di Tommaso e, come Ockham, ci invita a non moltiplicare inutilmente gli enti, soprattutto quelli ideali.
Non sarà allora che la misteriosa ragione che ha indotto Eco ad apparire senza la sua caratteristica barba negli ultimi anni sia stato un segreto omaggio al “rasoio di Ockham”?
di Giuseppe Girgenti
da "LiberoPensiero" del 21 febbraio 2016
Tuttavia, a mio avviso, la sua vera indole filosofica non era quella del “domenicano”, bensì quella del “francescano” Guglielmo da Ockham e del suo “nominalismo” antimetafisico; di questo vi sono numerosi indizi sia letterari che saggistici. Già nel Nome della rosa e nel distico che ha ispirato il titolo (stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus) è evidente la frattura tra i “nomi”, le “idee” e le “cose” che i nomina dovrebbero significare; inoltre, il nome del protagonista è proprio frate Guglielmo. Ma la conferma più chiara si trova nel saggio intitolato L’antiporfirio, nella raccolta Il pensiero debole del 1983 che ha segnato la stagione filosofica italiana. In questo scritto Eco critica la lettura “platonica” di Aristotele che Porfirio aveva proposto nell’Isagoge e da cui era nata la nota disputa medievale sugli universali; Eco propende per la soluzione nominalista di Ockham, contro quella realista moderata – platonico-aristotelica – di Tommaso e, come Ockham, ci invita a non moltiplicare inutilmente gli enti, soprattutto quelli ideali.
Non sarà allora che la misteriosa ragione che ha indotto Eco ad apparire senza la sua caratteristica barba negli ultimi anni sia stato un segreto omaggio al “rasoio di Ockham”?
di Giuseppe Girgenti
da "LiberoPensiero" del 21 febbraio 2016
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