Cari Amici, vi giro questo articolo su Putin di Francesco Colafemmina che, credo, vada
meditato in un’ottica metapolitica soprattutto nel suo aspetto escatologico.
P.S.
di Francesco Colafemmina
Ho seguito con
grande interesse il viaggio del Presidente Putin in Grecia e sull’Athos. Una
scelta di certo non usuale per un capo di stato, specialmente in quest’epoca
nella quale si fa a gara nell’esibire il proprio ateismo o la propria
indifferenza religiosa. Putin ha inteso celebrare ufficialmente i 1000 anni di
monachesimo russo, ma questa è la seconda volta in cui visita l’isola della
Vergine. Putin ha fatto richiesta ufficiale, come ogni altro pellegrino, alla
Chiesa Ellenica e al Patriarcato di Costantinopoli. E’ arrivato a Karyés
accompagnato dal suono delle campane, un onore mai tributato ad un capo di
stato. Qui è stato accolto dagli igoumeni dei monasteri dell’Athos nel
Protàton, il primo complesso dell’Athos che ospita la chiesa dedicata alla dormizione
della Vergine. I monaci hanno riservato a Putin il “trono” ossia il baldacchino
sotto il quale si accomodano – sempre in piedi – i vescovi e un tempo gli
imperatori, in un tripudio di inni (dal Xristòs Anésti all’Ipermàxo stratigò) e
quando il presidente russo è sceso dal trono per pronunciare il suo messaggio
di saluto, i monaci gli hanno prontamente indicato di tornare sui suoi passi e
pronunciarlo dal trono (Putin si è fermato sul primo gradino, evidentemente
imbarazzato da tanto onore). Di nuovo scampanii, auguri di salute e protezione
divina, omaggi… L’omaggio ufficiale degli athoniti è consistito in una icona
del “Cristo in trono”, anche questo un onore riservato solo ai vescovi. Il
presidente greco Paulopoulos ha rimarcato nel suo messaggio, con un
atteggiamento di fraterno paternalismo, che “uno statista prima di prendere
decisioni gravi per il suo popolo e la sua nazione ha bisogno di trovare
conforto spirituale in questi luoghi”, mostrando di comprendere la
straordinarietà dell’evento.
Insomma, sappiamo bene che per molti russi ortodossi,
e non solo russi, Putin è l’incarnazione del katechon di paolina memoria.
Tant’è che c’è persino un think tank
ortodosso chiamato non a caso “katehon”. C’è tuttavia un significato accessorio
in questo viaggio. Molti monaci dell’Athos hanno ufficialmente chiesto al
Patriarca Kirill di non partecipare al sinodo panortodosso fissato per il mese
prossimo a Creta. Questo sinodo, il primo dopo lo scisma del 1054, indetto dal
Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo, si preannuncia infuocato: dietro
suggerimento del teologo uniate Zizioulas, spesso presente in Vaticano, si sono
poste infatti almeno due questioni che stanno suscitando indignazione e grandi
contrasti nell’Ortodossia. Da un lato la proposta di riconoscere come “chiesa”
la Chiesa Cattolica avviando un processo di unione col cattolicesimo.
Dall’altro quella di riformare l’autocefalia delle chiese ortodosse in chiave
sinodale. Alcuni teologi ortodossi fanno notare che i due punti sono
strettamente collegati: è come se Bartolomeo volesse imitare la sinodalità
bergogliana (democrazia ecclesiale a parole, autoritarismo autoreferenziale nei
fatti) per sdoganare non solo l’unione con la chiesa cattolica (il cui declino
morale e la cui deriva teologica è ormai del tutto evidente) ma anche
successive riforme e “aggiornamenti” che bollono in pentola da anni. Bartolomeo
prepara, in poche parole, il Vaticano II dell’Ortodossia. E già ci sono i primi
Lefebvre ortodossi, quattro metropoliti greci che hanno annunciato in serie le
loro “dimissioni” dalla delegazione sinodale. E il sinodo funziona
esattamente come il Concilio: le dichiarazioni sono state già scritte. In
particolare quella più problematica: “Relazioni fra la Chiesa Ortodossa e il
resto del mondo cristiano”. Commenta, infatti, il metropolita di Naupatto,
Ierotheos in
un suo recente articolo: “sia riguardo alla decisione di indire il
Santo e Grande sinodo, presa nel marzo 2014, sia riguardo ai testi sottoscritti
a gennaio 2016 non è stato chiesto il parere della gerarchia della Chiesa
Greca, ed entrambe le scelte non sono state discusse dalla nostra
gerarchia. Stessa cosa dicasi per le dichiarazioni che saranno rese note
al termine del Sinodo. Quindi quello che si terrà a breve non potrà essere
chiamato Santo e Grande Sinodo.” L’assenza di una autorità suprema nelle chiese
ortodosse se infatti da un lato è vista come un vulnus decisionale, dall’alto è invece garanzia di preservazione
dell’ortodossia stessa. Il sinodo panortodosso, aggirando l’autentica
sinodalità delle chiese autocefale, esprimerà al massimo i pareri di un circolo
ristretto di rappresentanti delle stesse, sotto la guida di Bartolomeo di
Costantinopoli. Possiamo dire che il “metodo” usato durante il Vaticano II ha
fatto scuola!
In tutto questo v’è la sensazione che la storia della
Chiesa e quella delle Nazioni procedano su binari paralleli. La decadenza
morale (concetto sul quale spesso hanno indugiato i monaci athoniti nei loro
discorsi rivolti a Putin) delle Nazioni va di pari passo con la disgregazione
di ordine e certezze, di rigore e obiettivi spirituali all’interno della
Chiesa. Di quella Cattolica così come di quella Ortodossa. Anni fa, quando mi
occupai dei dialoghi dell’imperatore Manuele Paleologo ebbi modo di evidenziare
come le dinamiche della teologia della storia fossero tipiche del pensiero
bizantino: la duplice natura dell’imperatore, quella dello statista e quella
del garante del regno di Cristo sulla terra, permane nello spirito
dell’ortodossia; nonostante le molteplici obiezioni razionaliste che possono
essere elevate contro questa visione, dovremmo a mio avviso leggerci
semplicemente un messaggio di saggezza cristiana: i governanti delle Nazioni
agiscono – indipendentemente dal loro credo e dalle loro responsabilità etiche
– in una storia che è sì “civile” ma è anche “cristiana”, ossia indirizzata
verso un futuro di cui noi cristiani conosciamo alcuni punti fermi. Una storia
non ciclica, ma con un inizio ed una fine. Pertanto se volessimo interpretare
la visita di Putin sull’Athos dovremmo partire dalla convergenza di due
simbolismi: da un lato il simbolismo del presidente russo che cerca rifugio
spirituale sull’Athos, ponendosi letteralmente sotto il manto della Vergine,
dall’altro quello dei monaci contemplativi che lo colmano di onori quasi a
porlo nella condizione di assumere un ruolo codificato nella storia sacra (e al
momento implicito) dinanzi ad eventi futuri. In entrambi (Putin e monaci)
traspare la percezione di grandi e tragiche sfide future. Ed è oltremodo
disarmante che questo istante di eternità nell’orologio della storia
coincida con la retorica farsesca dell’incontro giapponese dei “potenti della terra”
la cui immagine più memorabile è quella in cui usano maldestramente una vanga
(braccia sottratte alla vanga…) o con i soliti deliri pro-immigrati del vescovo
di Roma che mostra a dei bambini un giubbotto di salvataggio di un “migrante”
morto in mare. Per tornare alla famosa lettura dei tempi ultimi fatta da
Cacciari, da un lato abbiamo lo spirito catecontico che è prometeico ossia
consapevole del proprio ruolo, di quel che sta accadendo e di quel che potrà
accadere; uno spirito che pone argini contro il caos. Dall’altro lo spirito
dell’accelerazione finale che è epimeteico, ossia manca di consapevolezza ed è
guidato esclusivamente da una forma estrema di entropia morale e logica.
Sta a noi comprendere chi incarna oggi la dimensione
spirituale dell’argine, e pregare intensamente per la conversione di chi
agevola il fiume in piena del disordine finale.