(Fonte: www.fondazionecremonesi.it)
29/11/08
Dom Agostino Zanoni: forse si aprono gli archivi
(Fonte: www.fondazionecremonesi.it)
28/11/08
Blondet & C. supercattolici d'assalto alla parrocchietta
P.S.
Su Gesù Cristo nessuno può avere il copyright.
(Fonte:http://angelociccarella.blogspot.com)
Luigi Prosdocimi: in memoriam
Laureato in Lettere e in Giurisprudenza, ha insegnato nelle Università di Siena (1950-1960) e di Genova (1961-1968) per approdare quindi all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove concluderà la sua carriera accademica insegnando Storia della Chiesa e come direttore dell’Istituto di Studi Storico-Religiosi.
I suoi studi hanno affrontato diverse realtà e questioni storiche, ma il tema maggiormente e più sovente al centro della sua attenzione era certamente quello della cristianità, che egli ha cercato in particolare di studiare e far conoscere nelle sue forme giuridiche, così come si vengono a creare e sono vissute nella "Santa Romana Repubblica" medioevale.
Fra i suoi molteplici lavori, oltre ai saggi, alle introduzioni, alle prefazioni sparsi in innumerevoli opere collettanee, enciclopediche e didattiche, si segnalano Il progetto di riforma dei Principi al Concilio di Trento e l’impostazione dei rapporti fra Stato e Chiesa a Milano nel periodo post-tridentino, Giuffrè, Milano 1939; Il diritto ecclesiastico dello Stato di Milano dall’inizio della signoria viscontea al periodo tridentino (sec. XIII-XVI), Edizioni de L’arte, Milano 1941; La formazione dell’unità giuridica medievale e il diritto comune, Marzorati, Como-Milano 1946; Vescovi e diocesi in Italia nei secoli IX-XIII, Giuffrè, Milano 1967; (con Cesare Alzati) La Chiesa ambrosiana: profili di storia istituzionale e liturgica, Ned. Nuove Edizioni Duomo, Milano 1980; e Observantia. Ricerche sulle radici fattuali del diritto consuetudinario nella dottrina dei giuristi dei secoli XII-XV, (1956), 2a ed., Giuffrè, Milano 2001. La bibliografia completa delle sue pubblicazioni è contenuta in un volume di miscellanea in suo onore curato dal discepolo Cesare Alzati (Cristianità ed Europa, 2 voll. in tre tomi, Herder, Roma 1994-2000, vol. II, pp. 389-397). Uomo di preghiera e di profonda pietà, attento alle vicende contemporanee, fossero esse religiose, culturali o politiche, Luigi Prosdocimi ha profuso il suo sapere storico e umano, oltre che negli scritti, nelle lezioni universitarie, nell’assistenza fornita ai laureandi, nonché nei frequenti colloqui con colleghi e allievi. Nel suo comportamento di uomo e di docente si è mostrato sempre fedele ai principi cristiani, che pubblicamente professava con gioia e con coerenza.Estimatore e amico di Alleanza Cattolica fino dagli anni 1970, è intervenuto numerose volte a sue manifestazioni pubbliche sia come relatore, sia come uditore, sempre prodigo di consigli e di schietta amicizia. Fin dal suo sorgere, nel 1995, egli ha altresì guardato con entusiasmo alle iniziative di ricerca e di divulgazione promosse dell’Istituto Storico dell’Insorgenza e per l’Identità Nazionale, del cui Comitato Scientifico era autorevole e compianto membro.Luigi Prosdocimi rimane in tutti coloro che l’hanno conosciuto e frequentato come un esempio di persona colta e buona: un cattolico senza aggettivi e senza compromessi, un intellettuale credente ben formato e consapevole dell’importanza di quella forma eminente di carità che è la cultura, impegnato nel diffondere e nel difendere la verità, in particolare quella storica, con passione e senza debolezze.
(Autore: Marco Invernizzi; fonte: www.identitanazionale.it)
27/11/08
Solidarietà ad Alberto Rosselli
Qualcuno non ha gradito il suo saggio storico sull'olocausto per mano dei Turchi nel lontano 1915
di Rino Di Stefano
Il Giornale (Liguria Cronaca), Domenica 23 novembre 2008, p. 56
Roberto Saviano non è l’unico scrittore ad essere stato minacciato di morte per aver scritto un libro. Anche a Genova abbiamo un caso di questo genere. È pur vero che il giornalista napoletano, per sua stessa ammissione, non aveva valutato appieno le conseguenze della pubblicazione del suo libro «Gomorra». E dopo, soltanto dopo, si è reso conto a sue spese che il prezzo del successo era rinunciare alla vita, sotto scorta 24 ore su 24, con la costante paura di finire un giorno nel mirino della pistola di un camorrista. In Liguria, invece, abbiamo un altro scrittore che, occupandosi da sempre di storia, mai più pensava di suscitare una reazione del tipo Saviano solo per essersi occupato del dramma di un popolo avvenuto nell’ormai lontano 1915 in quel di Turchia:il massacro di un milione e mezzo di armeni in Anatolia. Secondo la Convenzione dei Diritti dell’Uomo delle Nazioni Unite, quello sterminio «è da considerarsi come il primo genocidio del XX secolo». Ed è proprio su questi fatti, accertati da più fonti storiche, che il giornalista-scrittore genovese Alberto Rosselli ha scritto il libro «L’olocausto armeno», pubblicato dalle Edizioni Solfanelli di Chieti.
Il volume, 96 pagine di piccolo formato con un costo di 7,50 euro, vuole essere la testimonianza di come il piano di eliminazione di un intero popolo, non era soltanto il prodotto della politica attuata dal «sedicente partito progressista dei Giovani Turchi, ma traeva le sue profonde origini dalle antiche e mai del tutto sopite contrapposizioni tra la maggioranza musulmana turco-curda e la minoranza cristiana armena». Rosselli, da buon cronista storico, si limita a riportare ciò che avvenne in quei terribili anni. E dice, per esempio, che lo sterminio dei cristiani anatolici è già stato riconosciuto dal governo d’Israele nel 1994, dai Parlamenti russo, bulgaro e cipriota nel 1995, dal Vaticano e dal Parlamento Europeo nel 2000. Fatti accertati, dunque, e certamente nessun particolare mistero rivelato. Soltanto un’accurata e ampia ricostruzione delle vicende storiche che ha portato l’Europa a imporre «il riconoscimento del genocidio da parte di Ankara» quale condizione imprescindibile per l’integrazione turca nella UE.
«Il libro - racconta Rosselli - uscì nel 2007. Dopo alcuni mesi cominciai a ricevere a casa telefonate minacciose, sia nei mie riguardi, sia verso mia moglie. Voci sempre diverse ci dicevano che eravamo dei bastardi, che ci avrebbero ucciso e così via. E alle telefonate seguirono anche messaggi dello stesso tono via e-mail. A quel puntomi recai in Questura a denunciare il fatto, ma fu inutile. Pare, infatti, che le telefonate vengano dall’estero, così come le e-mail. In pratica, mi suggerirono di lasciar perdere e di non dare un peso eccessivo alla cosa. Il punto è che questi signori rivelano di conoscere perfettamente le mie mosse e quelle di mia moglie. Sanno persino che ho un cane e come si chiama. E questo può significare solo una cosa: da un anno mi controllano da vicino».
La situazione che più ha spaventato Rosselli è avvenuta sabato 27 settembre, cioè il giorno in cui a Anguillara Sabazia, amena cittadina sul lago di Bracciano, in Lazio, stava ricevendo il Premio letterario internazionale Arché, proprio per il suo libro «L’Olocausto Armeno». L’anno prima aveva vinto lo stesso premio per il saggio «Sulla Turchia e l’Europa». Quel pomeriggio, mentre si trovava in un albergo della zona, una voce con accento straniero lo ha chiamato al telefono della stanza e ancora una volta lo ha minacciato di morte, coprendolo di insulti. L’ultima volta in cui ha ricevuto queste minacce è stato domenica 26 ottobre, sul suo cellulare, mentre stava recando a Palazzo Tursi per partecipare al dibattito organizzato dal senatore Enrico Musso (Pdl) sul progetto del sindaco Marta Vincenzi di costruire una moschea a Genova.
Ma che cosa dice di tanto sconvolgente il libro di Rosselli perché il suo autore venga minacciato di morte da terroristi internazionali? Nulla che non sia già stato accertato in sede storica. Per esempio, racconta di quando, già nel biennio 1894-1896 le milizie ottomane, affiancate da quelle curde, rasero al suolo 2500 villaggi armeni sterminando circa 300mila persone tra uomini, donne, vecchi e bambini. Sempre nel 1896 il sultano Abdul Hamid ordinò quella che è passata alla storia come la «strage di Urfa». Le milizie del sultano costrinsero circa 3mila armeni terrorizzati a rifugiarsi nella locale cattedrale, alla quale poi diedero fuoco, causando la morte di tutti i fedeli. Non contenti, rapirono anche 100mila donne e costrinsero un egual numero di cristiani a convertirsi all�Islam. Ma il genocidio vero e proprio, racconta Rosselli, fu progettato nel 1913 quando il comitato centrale dei Giovani Turchi «pianificò il genocidio attraverso la messa a punto di un’efficiente struttura paramilitare, l’Organizzazione Speciale (OS), coordinata da due medici, Nazim e Shakir». In un intervento del 25 marzo 1915, il dottor Nazim, segretario esecutivo del comitato, disse: «La Jemiet (Assemblea) ha deciso di salvare la madrepatria dalle ambizioni di questa razza maledetta (gli armeni) e di prendersi carico di cancellare questa macchia che oscura la storia ottomana. La Jemiet, incapace di dimenticare tutti i colpi e le vecchie amarezze, ha quindi deciso di annientare tutti gli armeni viventi in Turchia, senza lasciarne vivo nemmeno uno, e a questo riguardo è stata data al governo ampia libertà d’azione». Il primo eccidio avvenne il 24 aprile l915 quando 500 esponenti del Movimento Armeno vennero incarcerati e strangolati col fil di ferro. In un rapporto del 1917 l’ufficiale medico tedesco Hans Stoffels riferì di avere osservato a Mosul (Irak settentrionale) interi villaggi armeni con migliaia di corpi in decomposizione. «I bambini - racconta - precedentemente violentati, sodomizzati e torturati nei modi più orrendi». Poi inventarono «l’utile combustione»: i prigionieri armeni venivano buttati vivi dentro le caldaie delle locomotive per fornire energia addizionale ai mezzi. L’ultimo sterminio, racconta sempre Rosselli, avvenne nel 1922 a Smirne, quando il nuovo regime repubblicano di Kemal Ataturk, che continuava a negare il massacro, fece uccidere circa 100mila civili greci e armeni.
«L’Olocausto Armeno» di Alberto Rosselli, Edizioni Solfanelli, 96 pagine, Euro 7,50.
lettorespeciale@rinodistefano.com
25/11/08
Germania segreta
Era tutta farina degli ingegneri tedeschi oppure i nazisti erano entrati in possesso di una tecnologia più avanzata (e che riuscivano ad imitare un po' goffamente ma con discreti risultati)? Questa domanda se la sono posta in molti ma la risposta, o meglio, le risposte sono molteplici e, spesso, fantasiose o bizzarre. E comunque non c'è una risposta suffragata da prove. Se cercate con Google X-file fascisti o V7 nazisti potete veramente sbizzarirvi con tutte le congetture che, però, potrebbero effettivamente spiegare il balzo tecnologico del Terzo Reich come l'UFO-crash di Roswell potrebbe giustificare il "salto" fatto dagli americani che dal 1947 in poi hanno lasciato "indietro" quasi tutto il resto del mondo occidentale per quanto concerne l'hi-tech. Oppure molto più semplicemente in questo piccolo pianeta sopravvivono elementi, persone, strutture che conservano le conoscenze tecniche di una precedente civiltà? Plausibile e senza scomodare alieni o rettiliani. Tra l'altro, neppure così sconvolgente e, oserei dire, abbastanza logica. Però, chissà perché, vogliono farci credere che questa è la prima civiltà apparsa sulla Terra. E va bene. Se sono contenti così...
(Osservato dall' Osservatore neutrale)
23/11/08
Scoperta: è Akhenaton il padre di Tutankhamon
I due blocchi, trovati separatamente in tempi diversi, giacciono in un deposito di antichità adiacente alla zona archeologica, esterna al villaggio di El Ashmunein e provengono come molti altri dal locale tempio fatto erigere 100 dopo il periodo di Akhenaton, da Ramses II (attorno al 1250 a. C.). Costui, instancabile costruttore di edifici religiosi, volti a celebrarne le gesta, utilizzò nell'erezione di questo santuario parecchi blocchi della vicina Amarna, città, dove Akhenaton concentrò il proprio potere e che ai tempi di Ramses era semiabbandonata e aveva perso ogni centralità.
Ebbene sulla nuova epigrafe è gravato che Tutankhamon fu figlio di Akhenaton, così come è specificato che anche Ankhesenamon, sposa di Tut, fu figlia del medesimo padre (diverse furono invece le madri: Nefertiti per la giovane sposa, mentre a questo punto quella del faraone-bambino potrebbe essere proprio Kiya). Viene poi precisato che i due prossimi regnanti si sposarono giovanissimi ancora ad Amarna, quindi nel periodo oscuro e drammatico della fine del monoteismo amarniano e della successiva restaurazione del politeismo tebano.
Sembrerebbe di arguire, se la scoperta di Hawass fosse – come pare – confermata, che Tutankhamon, generato da una sposa successiva a Nefertiti, sia stato dunque più giovane della propria consorte Ankhesenamon, nata invece dal connubio Akhenaton-Nefertiti: ma sono tutti dati genealogici su cui riflettere, magari con il contributo di future scoperte.
"In ogni caso un simile, importante ritrovamento rende giustizia a una parentela ad oggi accettata da pochi: si era sempre pensato, quale genitore di Tutankhamon, o ad Amenophis III sulla base di un'altra stele, che dunque va corretta (costui in realtà fu il nonno) o a Smenkhkhara, probabile faraone tra Akhenaton e lo stesso Tut", precisa Hawass.
Fu quel periodo (II metà del XIV sec. a. C.) contrassegnato dal monoteismo amarniano, i cui precisi contorni sfuggono: fu introdotto da Amenophis IV, che in virtù del nuovo credo religioso in onore del dio Sole Aton, assunse appunto il nome di Akhenaton. Egli spostò il centro del regno 500 km più a nord della precedente capitale (Tebe, oggi Luxor), destituendo le potenti classi sacerdotali tebane, legate alle numerose divinità del pantheon egizio, di ogni loro funzione; in questo fu aiutato dalla bellissima sposa Nefertiti, valida consigliera politica e splendida madre di sei figlie. Al declinare della fortuna di Nefertiti, Akhenaton si risposò e mantenne saldo il potere per altri anni, fino a quando il precedente "status quo" fu ripristinato per precisa volontà cospiratoria della potente casta sacerdotale tebana (anche se i particolari del declino di Amarna sfuggono). L'azione di restaurazione fu pilotata dall'abile consigliere Ay, che affidò proprio a Tutankhamon il primo trono di nuovo a Tebe: insomma fu Tut strumento della controrivoluzione, che cancellava il sogno di Amarna e di Akhenaton; di quell'Akhenaton, che ora la storia ha rivelato essere stato suo padre.
(Fonte: www.ilsole24ore.com; autore: Aristide Malnati)
L’idea messianica nell’ebraismo
(GERSHOM SCHOLEM, L’idea messianica nell’ebraismo e altri saggi sulla spiritualità ebraica, Adelphi, 2008)
22/11/08
IL VALORE DELLA MEMORIA
L’Associazione ‘Impégnàti’ invita al Convegno che si terrà:
Venerdì 19 Dicembre, alle ore 18.30, presso il Palazzo Zenobio degli Armeni.
Dorsoduro ai Carmini, 2596 - Venezia
IL VALORE DELLA MEMORIA - La tragedia armena
Riflessioni storiche e filosofiche.
Introdurrà il Presidente dell’Associazione ‘Impégnàti’
Dott. Mario Caputi
Relatori
Prof.ssa Antonia Arslan
scrittrice e saggista
Prof.ssa Siobhan Nash-Marshall
filosofo e saggista
Dott. Alberto Rosselli
giornalista e saggista
Segreteria organizzativa: Tel: +39 348 3546370 info@impegnati.it.
21/11/08
Adrienne: e la mistica si fa «moderna»
La complessa e affascinante figura di Adrienne von Speyr - medico, sposata, che dopo un lungo cammino a 38 anni da protestante si farà cattolica - si colloca ancora oggi nella luce delle visioni mistiche che permettono di illuminare il senso più profondo della discesa di Gesù agli inferi. E ovviamente nel rapporto centrale con il suo direttore spirituale, il grande teologo svizzero Hans Urs von Balthasar: l’uomo che grazie alla sua grande formazione intellettuale, soprattutto patristica, permetterà di dare corpo e di sistematizzare, di fornire in un certo senso un alfabeto al senso mistico della Speyr.
«Per me Adrienne - scriverà il teologo di Lucerna - non ha avuto paura di illuminare gli angoli più bui della Rivelazione». Il sodalizio tra i due spingerà lo stesso Balthasar ad affermare, all’indomani della morte della donna: «La maggior parte di quanto ho scritto è una traduzione di ciò che è presente in modo immediato, meno “tecnico”, nell’opera potente di Adrienne von Speyr».
E oggi, a 40 anni di distanza da quella scomparsa, rimangono ancora vivi tra molti discepoli (per il prossimo anno la rivista Humanitas ha in cantiere un numero monografico con scritti inediti della mistica svizzera) gli insegnamenti di Adrienne, soprattutto per l’impronta profetica che la sua missione ha lasciato in eredità alla Chiesa e al laicato cattolico. Architrave portante della sua spiritualità fu, non a caso, quella di essere - da autentica seguace della spiritualità ignaziana - una contemplativa in actione, cioè di vivere contemporaneamente la piena appartenenza a Dio e al mondo.
«A testimonianza di tutto questo mi viene in mente che poco dopo la sua entrata nella Chiesa cattolica - rivela oggi uno degli allievi del teologo svizzero e presidente dell’Associazione Lubac-Balthasar-Speyr, il gesuita belga Jacques Servais -, tornando in macchina dal suo ufficio medico, Adrienne fu improvvisamente fermata da una luce irruente, tanto che un passante scorgendo qualcosa d’insolito fuggì spaventato. Quindi udì una voce pronunciare in francese le parole Tu vivras au ciel et sur la terre (”Vivrai in cielo e sulla terra”). Parole strane ma che sono forse la chiave della missione ricevuta assieme a padre Balthasar: fondare un’istituzione di vita consacrata, la Comunità di San Giovanni».
Il 1945 segna appunto la nascita di questa piccola ma importante comunità, la Johannes Gemeinschaft, per cui la Speyr detta le regole. Ma per capire, in controluce, il segreto di Adrienne von Speyr è forse necessario leggere i suoi scritti in atteggiamento di preghiera. «Credo che il suo segreto, a 40 anni dalla sua scomparsa, sia proprio questo - sottolinea un altro discepolo, il teologo gesuita americano Joseph Fessio -: scoprire la trasparenza mariana della sua azione. Solo un uomo in preghiera può capirne la profondità. In fondo tutta la sua vita è stata un fiat alla volontà di Dio. Maria è il suo modello. E mi per metto di dire che indirettamente la sua mistica ha rinnovato, in chiave moderna e laicale, la spiritualità di cui vive oggi la stessa Compagnia di Gesù».
Ma dalla grandezza di Adrienne affiora oggi prepotentemente anche l’esperienza mistica del corpo, la teologia della croce, il suo totale abbandono, pur sofferente, alla volontà di Dio. «Pensando agli scritti di Madre Teresa di cui si è venuti a conoscenza proprio in questi giorni e che tanto hanno fatto discutere - spiega Elio Guerriero, direttore dell’edizione italiana di Communio nonché biografo e curatore delle opere di von Balthasar - vedo un ponte ideale che lega le due donne. Entrambe sentono il peso del silenzio di Dio. Adrienne, nei suoi scritti, come in ciò che è testimoniato nell’opera di Balthasar Teodrammatica, chiede a tutti i cristiani di stare sulla soglia, di pensare che “i misteri bisogna lasciarli a Dio”. Il silenzio di Dio diventa per lei presenza, pienezza, consolazione. Un silenzio che vive dentro di sé pensando all’angoscia del Getsemani, provata da Gesù. C’è una frase che fa sintesi del suo pensiero: “Se Dio si è donato: io sono invitato a donarmi”».
Una tensione, quella della Speyr, sempre inserita nelle cose ultime e in un fiduciosa speranza nel mondo dell’aldilà. «Non c’è un ottimismo di maniera nei suoi scritti - sottolinea ancora padre Servais -, l’attesa di una salvezza a buon mercato, ma rimane forte l’idea di “sperare per tutti”. Nel Sabato Santo Dio ci dice che la salvezza, operata dal Signore con la morte e risurrezione, è universale. “Egli è l’unico Redentore e invita tutti al banchetto della vita immortale”».
Il motto di Adrienne von Speyr, che rappresenterà anche il suo stile di vita, è Faire sans dire («Fatti, non parole»). Non una tendenza al nascondimento, quanto a una discreta caritas e all’intima solidarietà con gli uomini, anzitutto i poveri. E ispirazione di questo comportamento fu anche la lettura di Bernanos e di Péguy: «Adrienne era una donna dotata di una naturale allegria, molto concreta, con un grande sense of
humour e un temperamento equilibrato. - ricorda un terzo discepolo, il sulpiziano cardinale e arcivescovo di Quebec Marc Ouellet -. La von Speyr ha vissuto in povertà, per esempio d’inverno non metteva i vestiti più caldi e amava fare la carità nell’anonimato. Ha vissuto inoltre una grande disponibilità per il servizio nella sua professione medica, a volte correndo rischi e pericoli. A differenza dei mistici del XVI secolo e di tutto il periodo seguente al Concilio di Trento, quello della cosiddetta devotio moderna, non c’è nella sua esperienza mistica una dimensione soggettiva ma una fedeltà al messaggio ricevuto e alla Sacra Scrittura. Ed è forse questo il suo tratto più caratteristico».
Adrienne muore il 17 settembre 1967, memoria liturgica di santa Ildegarda di Bingen, medico e mistica, che ella venerava in modo particolare. «Quando è morta i membri del suo Istituto secolare, la Comunità di San Giovanni - testimonia Ouellet -, sono caduti dalle nuvole apprendendo da un saggio di Balthasar a lei dedicato la mole e la natura straordinaria dei doni mistici della fondatrice. Ricordo una conversazione avuta con padre Balthasar, nella quale avevo creduto bene di chiedergli del suo rapporto personale con Adrienne nel contesto dei sospetti e delle insinuazioni mosse all’epoca e riguardo a certe critiche. Il grande teologo mi disse che poteva rispondere solo con la sua testimonianza, ma in qualità di confessore di Adrienne poteva certificare che lei possedeva la stessa innocenza e il candore di santa Teresina di Lisieux».
(di Filippo Rizzi Avvenire - 13/09/07)
20/11/08
Il suicidio dell'Occidente: Oxford abolisce il Natale
Il consiglio comunale di Oxford ha deciso di abolire qualsiasi riferimento al Natale: tutti gli eventi del 25 dicembre e dei giorni successivi rientreranno nella cosiddetta “Festività della luce invernale”.
L’obiettivo dichiarato dalle autorità del comune britannico è quello di ridimensionare l’eccessiva risonanza assegnata alla più importante festività cristiana a discapito delle altre religioni. Contro questa decisione hanno subito protestato non solo anglicani e cattolici, ma anche ebrei e musulmani. I fedeli islamici e di altre confessioni – ha affermato il Consiglio musulmano di Oxford – “aspettano con trepidazione il Natale”, una festa speciale che “non può essere cancellata con un tratto di penna”. Sulla controversa decisione del comune di Oxford, Amedeo Lomonaco ha raccolto il commento del presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, mons. Gianfranco Ravasi:
R. - Il desiderio non è tanto quello, a mio avviso, di riuscire a ristabilire un dialogo in modo tale da non avere prevaricazioni, ma quanto, piuttosto, è quello di stingere fino al punto di estinguere qualsiasi identità propria, qualsiasi storia che sta alle spalle, e non stabilire un vero dialogo. Il vero dialogo lo si costruisce proprio attraverso le identità; quindi, in questo caso, io ritengo che non solo si tratti di una stravaganza, ma alla fine anche di una negazione consapevole - non so fino a che punto - di una grandezza che sta alle proprie spalle, che costruisce il proprio stesso volto. C’è una frase di un grande poeta anglo americano, Elliot, il quale diceva: “Se noi lasciamo cadere le nostre caratteristiche cristiane, alla fine, noi non perdiamo soltanto noi stessi, perdiamo il nostro volto”.
D. – A proposito di identità cristiana, la “Festa della luce invernale” cerca probabilmente di oscurare non solo la cristianità, ma anche il rapporto dell’uomo con Dio. Perché sta avanzando nel mondo questa nuova ondata indifferentista?
R. – Mentre in passato, quando si combatteva la presenza dei segni religiosi, lo si faceva con delle argomentazioni, persino con il desiderio di opporre un sistema del tutto alternativo, ora, invece, tante volte, questa avanzata della negazione è una specie di onda grigia, di nebbia; si vuole introdurre proprio una componente così fluida ed inconsistente che è la caratteristica della secolarizzazione attuale. Dio non viene negato, viene del tutto ignorato e l’impegno pastorale è ancora più complesso perché di fronte ad una negazione, si possono apportare le argomentazioni. Di fronte invece a questa sorta di ‘gioco di società’ incolore, inodore, insapore, c’è, alla fine, l’impossibilità di una reazione. Ora noi non abbiamo più l’ateismo nel senso forte, qualche volta drammatico del passato. Noi ora abbiamo l’indifferenza. Questa indifferenza stempera tutto, stinge, scolora, e alla fine, forse impedisce all’uomo anche di interrogarsi - come fanno tutte le grandi religioni - sui temi fondamentali, temi capitali che vengono invece dissolti nell’interno di un’atmosfera così inconsistente.
D. – Per questa indifferenza, nella multiconfessionale, nella multietnica Gran Bretagna, il mondo della fede è in apprensione. Infatti, tra le voci di protesta, oltre a quelle di anglicani e cattolici, ci sono anche ebrei e musulmani…
R. – E’ suggestivo che questo venga riconosciuto anche dalla altre religioni perché sarebbe anche la loro volta successivamente. Anche loro sarebbero messe, immerse, in questa sorta di bagno che fa perdere le identità, i volti, che fa perdere però anche le grandi ricchezze che questi eventi custodiscono dentro di sé. Per l’Europa, naturalmente, gli eventi sono questi eventi cristiani.
D. – La decisione del Municipio di Oxford, culla della cultura e luogo celebre per la sua università, sembra anche confermare la progressiva e accresciuta distanza di alcuni centri dell’attuale mondo del sapere dalla fede…
R. – Se è vero che la grande cultura ha prodotto, in 20 secoli, la grande testimonianza dell’arte, del pensiero, perfino dell’etica, è vero che, dall’altra parte, siamo di fronte ad una cultura attuale che si ferma soltanto alla superficie. Una cultura che non è più in grado di costruire le grandi visioni ed i grandi sistemi. E forse, queste forme sono più l’espressione quasi di una reazione - direi creata da una forma di eccitazione - più che non l’espressione di un’autentica cultura di una visione del mondo così come è sempre stata offerta nell’interno della grande storia dell’Occidente.
(FONTE: Totus tuus)
Omaggio ad Hermann Hesse
Tema del Convegno: DIVENTARE IL PRESENTE Testimonianze a confronto: Hesse, Panikkar e noi.
12/11/08
Dizionario dei miracoli e dello straordinario cristiano
(Dizionario dei miracoli e dello straordinario cristiano. 2 Volumi, EDB, Bologna 2008. Sotto la direzione di Patrick Sbalchiero)
Addendum:
Patrick Sbalchiero è dottore in storia. Docente all'École cathédrale de Paris, dirige la rivista Mélanges carmélites e ha pubblicato, presso le edizioni CLD, una serie di conversazioni con il cardinale Poupard, al tempo in cui questi era presidente del Pontificio consiglio della cultura.
10/11/08
Mestre, una mostra indaga il volto dell'anti-Lucifero
Sorprendente, questa esposizione dal titolo "La potenza del bene. San Michele arcangelo nella grande arte italiana", che si tiene al Centro Culturale Candiani fino al 6 gennaio. Si aggiunge con competenza e completezza alle mostre che negli ultimi anni vanno esplorando il soggetto cristiano dell’arte alla ricerca di una giusta lettura.
Su san Michele c’erano vari aspetti da chiarire, anche con una vis didattica che non guasta, come dimostrano i saggi del catalogo Marsilio, curato da Filippo Pedrocco, che è anche il curatore della mostra. San Michele è nell’immaginario cristiano, e non solo, il campione della lotta contro il male, ma la cosa più complessa, e la presenza di sconfitti, bizzarri diavolacci ai suoi piedi non ne facilita la comprensione oggi come oggi. Sì, perchè la battaglia angelica contro gli spiriti ribelli è tutta biblica e va letta come si legge la Scrittura: Isaia, Matteo, Paolo ai Tessalonicesi, eccetera; non è questa la sede per una disanima di questo tenore.
Si sente il grido zelante:Mi-ka-El, chi come Dio? Ed ecco Michele. Poi viene una patristica abbondante e chiara. E su questa, la devozione popolare. Si può immaginare in un mondo che vedeva il diavolo dietro a ogni male, quale bisogno si sentisse di un forte arcangelo liberatore.
Paradossalmente, in questo mondo liberato e che poco crede nel demonio, l’immagine per antonomasia di Michele quella del principe che trafigge un Satana sconfitto, secondo l’arcinoto dipinto di Guido Reni che era poi il modello impostosi dopo Trento. Ma, si diceva, la storia che questa mostra illustra è più complessa.
Per esempio, le icone bizantine presentano un Michele principesco, tutta serenità e autorevolezza, pochi o niente diavoli. La liturgia lo ha preferito un po’ sempre come guida delle anime, specialmente in punto di morte. Un traghettatore psicopompo alla maniera di certe figure religiose greco-romane, rispetto alle quali per altro non è dimostrato il legame di dipendenza. Perfino Gesù nella parabola del ricco epulone e di Lazzaro parla di quest’anima portata dagli angeli nel seno di Abramo. E Michele di questi il più importante. Padri come Basilio o Gregorio Magno approfondiscono il concetto. Non lontana da questa visione la tradizione che vuole san Michele custode dei cimiteri, come a garantire l’eterno riposo dei cari defunti. Gli esempi sono abbondanti in tutta l’Europa ma, per rimanere nell’ambito della mostra, all’arcangelo è dedicato il cimitero della cittdi Venezia, nell’isola appunto di San Michele di Murano. Guardando i dipinti qui esposti, veneti per la maggior parte ma con notevoli inserimenti toscani e romani, non può sfuggire poi che in quasi tutti Michele, anche nell’agitazione della lotta, tiene in mano una bilancia. Ancora una volta un legame al trapasso, al giudizio in questo caso: pesa le anime al momento della verità, la psicostasia. In tante raffigurazioni medievali, bestie infernali cercano di strappare le anime dai piattini, ma la figura dell’arcangelo è tanto più nobile e forte. Dal rinascimento si perde questo lato aneddotico e rimane la bilancia come attributo del principe celeste. In mostra ci sono esemplari meravigliosi, come quello del Cavazzola, proveniente del Museo di Castelvecchio di Verona.
Sotto la guida di artisti eccellenti – bisognerebbe fare i nomi di Tintoretto o Guercino, ad esempio – si penetra in una spiritualità dove è percepita la lotta tra bene e male, tra grazia e peccato. E percepita non solo come qualcosa che avviene in generale ma che accade nella propria anima con immediate implicazioni sulla felicità terrena e la salvezza eterna. Una mostra salutare, decisamente.
(Autore: Michele Dolz; Avvenire, 10/11/2008)
09/11/08
Messori racconta: «La fede non è per cretini»
(...) «la propria casa» e di aver trovato, nell'obbedienza e nel seguire l'ortodossia, la vera libertà.
Questo fa Vittorio Messori nel libro-intervista appena uscito, prenotato dai librai in un numero molto alto di copie e scritto insieme al vaticanista e saggista Andrea Tornielli. Il titolo del libro è esplicito: “Perché credo” (edizioni Piemme). Messori parla della sua fede in un mondo in cui tutto ciò è considerato politically incorrect, inopportuno, inaccettabile, fastidioso. Ma quest'uomo ha vissuto tutta la vita, e la sua carriera da scrittore, proprio nel segno della controtendenza, a partire dal folgorante inizio con “Ipotesi su Gesù”, a metà degli anni Settanta. Un successo editoriale senza precedenti - e non solo in Italia - tanto che ancora oggi questo libro vende venti-trentamila copie l'anno. Senza contare che Messori è l'unico giornalista della storia ad aver scritto un libro-intervista con un Papa, Giovanni Paolo II e un altro con colui che ne sarebbe diventato il successore, l'allora cardinale Ratzinger. E ora, in questo “Perché credo“, racconta come è avvenuto l'incontro che gli ha «di colpo, in modo imprevisto cambiato la testa». Nato in una famiglia emiliana anticlericale, cresciuto nella scuola razionalista torinese, allevato come pupillo dei grandi maestri del laicismo come Bobbio e Galante Garrone, nell'estate 1964, questo laureando di belle speranze, agnostico, indifferente alle questioni religiose, che passa il suo tempo tra studio, lavoro come telefonista notturno e la caccia a quante più donne possibile (ha un taccuino pieno zeppo di nomi e numeri di telefono) viene “sconvolto” da un fatto imprevedibile e imprevisto: incappa nel Cristo. E tutto, di colpo, cambia.
Perché proprio oggi ha deciso di parlare di sé in questo modo tanto aperto, della sua conversione, dopo tanti anni di - chiamiamola così - reticenza?
«Ho cercato, in tutta la mia vita e in tutti i miei libri, di dimostrare che la Speranza cristiana esiste, che è ragionevole crederlo e che il credente non è un credulo, né tanto meno un cretino. Oggi sono in tanti a sforzarsi di convincerci che non si può essere cristiani usando la ragione. Il cristiano, secondo loro, è uno che crede nei miti, nelle favole: insomma, è un cretino. Così dice, esplicitamente, uno di questi polemisti, naturalmente ( come spesso capita) un ex-seminarista, stavolta piemontese, passato dalla teologia alla matematica. Perciò ho pensato fosse opportuno opporre a queste posizioni, per quanto conta, la mia esperienza».
In tutto questo c'entra anche la sua formazione scolastica e universitaria?
«Per molto tempo non ho voluto accettare questa sorta di “denudamento” intimo. In effetti, le scuole di Torino che mi hanno formato mi hanno insegnato a tenere per me quel privato che sarebbe la religione. Alla fine, se mi sono deciso, è per mostrare, con tutta umiltà e insieme convinzione, che si può essere credenti senza rinnegare la ragione. C'è una sorta di melma che sta montando, ormai da tempo, unanime nel volere convincerci che un uomo moderno, intelligente, non può accettare il Vangelo. Quindi ho accolto la proposta adesso, anche se con fatica e magari con un poco di sofferenza, avendo ormai alle spalle, spero, una certa credibilità professionale e quindi al sicuro da sospetti di creduloneria o tentazioni misticheggianti».
Tenendo presente che da anni, nei primi posti in classifica dei best-sellers, ci sono gli Augias, gli Scalfari, gli Odifreddi, i Dan Brown, insomma, tutti quelli che passano la vita a dimostrare che o si è uomo di cultura e di pensiero o sei credente, mai le due cose insieme…
«Appunto per questo mi sono deciso a “uscire allo scoperto” per mostrare, come ho fatto del resto in una ventina di libri precedenti, che non è così. Per tornare proprio a quell' “Ipotesi su Gesù” che ha dato il via a tutto, i pochi, anche clericali, che sapevano che lavoravo a questo libro, hanno cercato di dissuadermi. In una certa Chiesa post-conciliare era abbandonata l'apologetica. Che è, in realtà, il necessario tentativo di far partecipare la ragione alla fede. La mia, di apologetica, è sempre stata lontana da invettive, lamenti, polemiche basate sui sentimenti feriti o lagne del genere, ho cercato infatti di renderla solida, non abbandonando mai sia la ragione che i fatti concreti».
I suoi primi editori, i salesiani della Sei, erano certi che “Ipotesi su Gesù” sarebbe stato un flop editoriale E invece…
«Invece, quel libricino, stampato in meno di tremila copie, tenuto in un cassetto per più di un anno da quei religiosi perplessi, in pochissimo tempo ha superato il milione di copie in Italia e le trenta, quaranta traduzioni all'estero, dimostrando che c'era una domanda fortissima per la quale non esisteva un'offerta adeguata. E ancora oggi, a trentadue anni dall'uscita, continua ad essere ristampato».
Non c'è il rischio, ora, che lei venga trasformato in una sorta di “santino” , di icona del “buon cristiano”?
«Non credo proprio che sia possibile. In ogni caso, spero proprio di no ! Sono refrattario a tutto ciò che odora di “santa edificazione”, di buoni sentimenti e così via. Persuaso, come sono, che la teoria diventa più convincente se incarnata in una esistenza, mi sono deciso a raccontare la mia, ma tutta calata nella concretezza di uomo che si è dovuto arrendere al Vangelo, che ha cercato di sperimentarlo, e adesso ne trae il bilancio.
Mettendo però bene in chiaro il fatto che io non solo non colloco me stesso tra le ragioni per credere, ma dico: credete, se volete alla mia testimonianza, e non guardate troppo alla scarsa coerenza del testimone. Mi è stato dato di capire, di colpo, dov'è la Verità, cerco di presentarla, ma io stesso per primo molto spesso non ce la faccio a viverla. Indico un ideale di cui sono convinto sino in fondo, ma confesso che io pure ne sono spesso lontano».
Ci spiega, se mai è possibile, quel momento che ha coinciso con la sua conversione?
«Un'esperienza mistica è per definizione ineffabile e quindi non descrivibile. In ogni caso: così come, purtroppo, non sono mai stato, anche dopo quell'evento, un cristiano esemplare, così non sono mai stato un temperamento mistico. Anzi. Sono un emiliano terragno. Mi piacciono le donne, specialmente quelle prosperose, mi piace il cibo succulento, mi piace la libertà di dire e fare, mi piacerebbe insomma la vita con regole che io stesso mi pongo. Se seguissi la mia natura istintiva, sarei non un buon cristiano ma un buon pagano. In ogni caso sono agli antipodi della tipologia del mistico e dell'asceta».
E in quell'estate del '64, cosa è successo?
«Per un paio di mesi, in quella lontana e torrida estate del '64, sono stato “immerso” in una esperienza mistica che non avrei mai immaginato, che non avevo conosciuto prima né ho mai più conosciuto dopo. Ma quelle poche settimane sono bastate per sempre. È stato come cadere in un “buco” di luce: ne sono riemerso con la testa completamente cambiata. Con la chiarezza di aver visto la Verità, con tutta la sua forza ed evidenza. Tanto che oggi ( e lo dico con umiltà, anzi un po' spaventato io stesso) se mi chiedessero di abiurare la fede puntandomi una pistola alla tempia, non potrei farlo. Non per eroismo, non per desiderio di martirio, ma semplicemente perché sono inchiodato dall'evidenza che, come racconto in questo mio ultimo libro “Perché credo”, mi è stata mostrata senza che lo aspettassi o che lo meritassi».
(Fonte: Libero, 26-10-2008; Intervista di Caterina Maniaci)
07/11/08
Alla Cattolica convegno su Duns Scoto
Domani il convegno si sposta al Convento Sant’Angelo. In mattinata parla lo storico del Medioevo Costante Marabelli (“Natura” e “voluntas” in Duns Scoto. Riflessione sull’identità cristiana a fronte di un risorgente integralismo naturalistico). Informazioni: tel. 02.7234.2623.
04/11/08
Convegno: Forme e correnti dell'esoterismo occidentale
Convegni e seminari
LSG Libri a San Giorgio
Forme e correnti dell'esoterismo occidentale
Venezia, Isola di San Giorgio Maggiore
a cura di Alessandro Grossato
Collana «Viridarium» 5
Edizioni Medusa, Milano, 2008
Presenta il volume Gian Mario Cazzaniga
Saranno presenti Alessandro Grossato, Francesco Zambon
Isola di San Giorgio Maggiore
27 novembre ore 17
Questo quinto volume della collana «Viridarium» raccoglie le relazioni che i principali specialisti a livello internazionale hanno presentato alla Fondazione Giorgio Cini, nel corso del primo convegno svoltosi in italia dedicato alla storia e alle dottrine dell’esoterismo occidentale.
Ingresso libero fino ad esaurimento posti
Questo quinto volume di Viridarium raccoglie le relazioni che i principali specialisti a livello internazionale hanno presentato alla Fondazione Giorgio Cini nel corso del primo convegno svoltosi in Italia dedicato alla storia e alle dottrine dell'esoterismo occidentale.
INDICE
Alessandro Grossato, Il posto dell'esoterismo nella storia della cultura occidentale
Antoine Favre, La parola "esoterismo" e i suoi usi: presentazione di bouquets variopinti di significati
Mino Gabriele, Tracce di silenzio
Kocku Von Stuckrad, La sapienza oltre la dimostrazione: la conoscenza esperienziale dalla Tarda Antichità al XIII secolo in una prospettiva interreligiosa
Francesco Zambon, L'interpretazione esoterica della messa nei romanzi medioevali del Graal
Nicholas Goodrick-Clarke, Raimondo Lullo e il nuovo ordine mondiale: evangelismo esoterico e filosofia militante
Jean-Pierre Brach, Le correnti aritmologiche del Rinascimento, ovvero come l'esoterismo entra nella matematica
Moshe Idel, La Kabbalah in Italia nel XVI secolo: alcune nuove prospettive
Wouter J. Hanegraf, La nascita dell'esoterismo dallo spirito del Protestantesimo
Joscelyn Godwin, Keplero e Kirker sull'Armonia delle sfere
Agostino De Rosa, L'Apocalisse dell'Ottica: le anamorfosi gemelle di Emmanuel Maignan e di Jean Francois Nicéron a Trinità dei Monti, Roma
Jean-Pierre Laurant, L'esoterismo come vero cristianesimo, una teamatica per eccellenza del XIX secolo
Hans Thomas Hackl, Adonismo - L'adorazione di Adone e Didone. La storia intrigante di un culto magico-pagano del XX secolo in Austria, Germania e Cecoslovacchia
Marco Pasi, Il problema della definizione dell'esoterismo: analisi critica e proposte per la ricerca futura
02/11/08
E' morto padre Piccirillo
Coincidenza che mi ha commosso. Piccirillo, colpito inaspettatamente da una grave malattia, era venuto qualche settimana fa a curarsi a Pisa, nei dintorni della quale era quindi rimasto per la convalescenza: alcuni suoi parenti risiedono difatti nella vicina Livorno.
Invece, contro le nostre speranze che non parevano prive di fondamento, ci ha lasciato. Lì, a pochi chilometri da un piccolo paese del Pisano, Perignano, dov'era nato all'inizio del secolo un altro grande archeologo che sarebbe stato a sua volta francescano a Gerusalemme, e maestro di Piccirillo stesso. Alludo a padre Bellarmino Bagatti, che si può dire sia stato l'iniziatore dell'archeologia cristiana in Terrasanta e il cui lavoro Picirillo aveva ripreso e completato. Mi è sembrato un segno divino che il discepolo sia venuto da Gerusalemme a morire proprio a pochi chilometri dal luogo di nascita del maestro, in una parabola cronologica ampia più di un secolo.
Mi riesce difficile abituarmi all'idea che Michele non sia più tra noi. Da ormai oltre un trentennio frequento assiduamente e per periodi spesso abbastanza lunghi Gerusalemme e la Terrasanta, dove mi conduce il mio lavoro di studioso dei pellegrinaggi e delle crociate. Piccirillo stava umilmente in una piccola cella dell'Institutum Biblicum Franciscanum, a sua volta ospitato nel convento francescano della Flagellazione, sulla Via Dolorosa, entro le mura della città vecchia di Gerusalemme. Amavo restare là, ospite dei frati, piuttosto che scendere in un albergo. Una volta, qualche anno fa, arrivai di sorpresa e mi presentai alla porta della sua cella-studio: erano molti mesi che non ci vedevamo, né egli sospettava del mio arrivo. Mi sorprese, mi divertì e mi commosse la sua accoglienza. Stava lavorando al computer. Alzò appena gli occhi, m'indicò un angolo della stanza che del resto mi era ben noto e dov'era installato un piccolo fornello elettrico e mi disse. «C'è del caffè sul fuoco». Così, come se ci fossimo lasciati il giorno prima.
Era nato nel 1944 a Carinola, presso Cosenza: e quando tornava a casa per qualche breve visita, non mancava mai di rientrare a Gerusalemme carico delle mozzarelle freschissime della sua terra. Come facessero ad arrivare fresche e a passare attraverso i controlli israeliani, non l'ha mai capito nessuno. Ma il fatto è che Michele girava tranquillamente tra Gerusalemme, Tel Aviv, Damasco e Amman: e lo faceva di continuo, per i suoi studi, salvo i momenti di vera e propria guerra guerreggiata. Conosceva guardie, gendarmi, doganieri di tutti i paesi. E non solo loro, del resto. Era amico di ministri e di governanti; trattava con grande amicizia la famiglia reale giordana ed era amico di molti eminenti uomini politici israeliani. Quando papa Giovanni Paolo II visitò la Terrasanta e si arrampicò fino al Monte Nebo, l'altura giordana da dove la leggenda vuole che Mosè ammirasse la Terra Promessa prima di chiudere gli occhi, Piccirillo gli fece da guida. Una foto dei due dinanzi al panorama del deserto fece il giro del mondo, accompagnata da una battuta: «Ma chi è quell'anziano signore vestito di bianco accanto a padre Piccirillo?». Michele ne sorrideva, ma ne era compiaciuto: sapeva molto bene di essere famoso.
Aveva scoperto, in oltre quarant'anni d'attività archeologica, decine di chiese protocristiane erette fra V e VII secolo nei territori siriano, libanese, giordano e israeliano. I mosaici da lui riportati alla luce corrispondono a centinaia di metri quadrati d'opere d'arte di valore inestimabile.
I giorni passati con Michele sotto il sole del deserto e sotto il cielo di Gerusalemme sono stati tra i più belli della mia vita. Lo ricorderò per sempre così, come una volta nel deserto giordano, presso una fonte d'acqua freschissima alla quale eravamo arrivati in Land Rover per rifornirci: attorniato da una torma di bambini beduini, mentre distribuisce grappoli d'uva e gioca con loro. Alla scomparsa di uomini come lui non ci si rassegna. Gente come lui non può sparire. Arrivederci, Michele: tu sei una delle prove che deve esistere la Vita Eterna.
(Franco Cardini; Il Tempo, 27/10/2008)
01/11/08
Esce il nuovo numero di "Metapolitica"
S O M M A R I O
FONDO:Il solo, ultimo Vero
STUDI:
Luca Senatori, Guerra asimmetrica e Guerra metafisica
Davide Gravina, Il seme tradizionale nella Lieta Novella
Michele Lenti, Il Cristianesimo come “Legge” divina. Le confutazioni di Origéne alle accuse di Celso.
ECHI E COMMENTI:
Luca Tumminello, Un saettante pensatore cristiano: Giuseppe Capograssi
(Esègesi direttoriale: L’uragano e l’attrattiva di Éfeso)
(**), Specchio dei Giovani italiani “insorti” nel Novecento
S.P., Il perché terrestre dell’Invio del Vangelo dall’Alto
LETTURE:
Giovanni d’Aloe, La terapia dei colori
Primo Siena: Il mio itinerario metapolitico (Introduzione a “La Espada de Perseo”)
Aldo La Fata: Fonti per una angeologia tradizionale
LIBRERIA:
“La Croce e l’Ulivo” (Giudizi)
LETTERE INTERNE:
J.L.: I “Ming” e l’Agopuntura cinese (Postilla sulle “Sacre Stimmate”)
INDICE ANNATE 2007-8
(Redazione: Via Giovanni Bolzoni, 79 - 00124 Roma