Il nuovo missile nucleare annunciato da Mosca: si chiama RS 28, noto anche come Satan 2, e dotato di 16 testate atomiche. |
26/10/16
Le nuove armi russe piuttosto diaboliche: Satan 2
23/10/16
Orienti
Martedì 24 ore 18.30 presso Associazione Civita, Piazza Venezia 11, alle 18.30, presentazione del libro ORIENTI a cura di Maria Grazia Chiappori, con due capitoli dell’esimio amico Emilio Spedicato sui “Grandi numeri in Asia” e sui “Magi”, ingresso libero.
Superata la visione eurocentrica invalsa per secoli, in questo volume studiosi con formazione e interessi diversi si muovono in uno spazio geografico e temporale dilatato: dalla dimensione entro la quale si dipana la storia fino alle più urgenti realtà di oggi. Se è vero che nella cultura dell’Occidente la percezione e la valutazione dell’Oriente hanno subito una continua oscillazione, la fenomenologia del sacro, le tracce storiche, artistiche e letterarie, le testimonianze dei viaggiatori permettono di leggerne in trasparenza le variabili. Emergono così i percorsi e gli esiti inattesi di un dialogo tra Oriente e Occidente spesso irrisolto o conflittuale, sempre fecondo e mai interrotto. Prossimo o lontano, sperimentato o solo vagheggiato e immaginato, l’Oriente è dimensione storica e insieme spirituale: questa raccolta di saggi vuole rappresentare alcuni degli infiniti Orienti possibili.
http://www.aracneeditrice.it/aracneweb/index.php/pubblicazione.html?item=9788854895041
13/10/16
Il ‘velo di Maya’, un’invenzione dell’Occidente
di Alessandro
Grossato
Diversamente da quel che molti ancor oggi
credono, la fin troppo nota espressione ‘velo di Maya’ non traduce alcuna frase
sànscrita o di altra lingua dell’India, semplicemente perché non è stata mai
così formulata in nessun testo indù o buddista. Tanto meno esprime
correttamente il concetto, l’idea di Māyā così come essa è stata
originariamente concepita dalle menti indiane. Nelle Upanishad esiste
semmai il simbolo, ben diverso, della ‘rete’ divina, jāla, nella quale
sono impigliati tutti gli esseri viventi, ciascuno legato dal proprio nodo. Der
Schleier der Maya è dunque semplicemente un’invenzione, l’invenzione di un
celebre filosofo occidentale del XIX secolo, Arthur Schopenhauer, coniata per
la prima volta ne Il mondo come volontà e rappresentazione pubblicato
a Dresda nel 1819. La sua incredibile e perdurante fortuna, peraltro, da un
lato ci aiuta a comprendere la grande differenza che esiste fra il pensiero
europeo e quello asiatico, dall’altro ci fornisce l’occasione di restituire il
vero significato a questo termine, che è pressoché intraducibile in una lingua
occidentale.
Se ci si chiede poi da dove Schopenhauer
abbia potuto trarre l’idea di velo quale simbolo dell’illusorietà
della realtà che ci circonda, ebbene non occorre andar molto lontano, e
certamente non in India, perché questo simbolo appartiene peculiarmente a quel
gruppo di religioni che non a caso si autodefiniscono come ri-velate;
come se venissero nascoste una seconda volta, dove se il secondo velo
corrisponde all’oscurità della rivelazione spirituale in quanto tale, e cioè
ineffabilmente incomprensibile, il primo è certamente quello corrispondente
alla natura ingannevole del mondo, di quel mondo al cui richiamo si deve
resistere e che va infine trasceso.
Senza poterci qui dilungare sugli aspetti
etimologici della questione, ricorderemo che la parola sànscrita māyā
esprime ad un tempo le idee di produzione, arte, magia, illusione. Dunque di
qualcosa o di un insieme che viene prodotto naturalmente, o mediante
procedimento artistico o magico, e che comunque mantiene sempre in sé una
natura essenzialmente illusoria. Illusoria, ma, si badi bene, non per
questo irreale. Per gli indù, come per molti altri asiatici, anche l’arte e la
magia infatti conservano a loro modo dei gradi di realtà relativa,
se non proprio assoluta. Di questo dunque si tratta, d’una gerarchia
di gradi di realtà, tutti comunque l’uno all’altro collegati, dal più basso al
più alto e viceversa. L’irrealtà anche di uno solo fra essi porrebbe infatti
una cesura irrimediabile fra i diversi gradi dell’essere e dell’esistenza, e
questo non può mai darsi secondo l’induismo. Il discorso è leggermente diverso
per il buddismo, ma la differenza, anche qui, è più apparente che reale, quasi
solo una differenza di stile.
Proprio in riferimento al significato di
‘arte’ che può assumere il termine māyā, non va infine dimenticata
l’espressione giapponese Ukiyo, la quale significa esattamente ‘mondo
fluttuante’, in riferimento alla dottrina buddista della impermanenza
di quella realtà che si può cogliere con i nostri sensi. Oltre ad essere
presente in molti capolavori della letteratura giapponese, anche contemporanei,
quest’espressione ha infatti prestato il nome alla cosiddetta Ukiyo-e,
le ‘Immagini del mondo fluttuante’, una forma d’arte di stampe popolari
sviluppatasi in Giappone, in particolare nella città di Edo fra il XVII e il
XVIII secolo, che è giustamente assai nota ed apprezzata in Occidente, anche
per la frequente, esplicita rappresentazione di scene intensamente erotiche. Ma
se il mondo fluttuante è transitorio, dunque impermanente alla stregua di un
fiume che scorre, non per questo è anche irreale, né dal punto di vista
terreno degli uomini, né da quello sublime del Buddha. Ben lungi dall’essere un
impedimento alla visione diretta della realtà suprema e permanente, la māyā
può essere, anzi è l’unico tramite per giungere alla Liberazione
finale, all’Illuminazione. Perché in fondo Māyā è pur sempre anche il
nome della madre naturale del Buddha, dell’Illuminato. E questo non è
certamente un caso. Ella morì subito dopo averlo dato alla luce… e non poteva
essere diversamente.
Iscriviti a:
Post (Atom)