07/12/18

In memoria di Giovanni D'Aloe

Un ritratto di Giovanni d'Aloe del pittore Sergio Ceccotti

Il 28 ottobre ultimo scorso ha lasciato questo nostro mondo l’amico fraterno e autentico metapolitico Giovanni D’Aloe. Avvocato civilista del Foro di Roma, conoscitore di segreti, studioso di simbolica tradizionale, germanista, nasce nell’omonima città eterna il 1935. Nel 1976, insieme a Silvano Panunzio e Primo Siena, è tra i fondatori della rivista “Metapolitica”, della quale in seguito sarà condirettore. Nel tempo presterà la sua collaborazione a prestigiose riviste di studi tradizionali tra le quali “Carattere” di Verona, “Zeitschrift für Ganzheitsforschung” di Vienna e “Cielo y Terra” di Barcellona. Due i libri che portano il suo nome: “I colori simbolici. Origini di un linguaggio universale” (Il Segno dei Gabrielli Editori, 2004) e “Chiarificazioni ideali. Tre decenni di messe a punto” (un florilegio di suoi articoli curato dal sottoscritto e stampato per i tipi di “Metapolitica” nel   2010). In qualità di traduttore dal tedesco D’Aloe cura la celebre opera di Matthias Vereno Vom Mythos zum Christos (“Dal mito al Cristo. Dimensioni della consapevolezza”, Il Segno dei Gabrielli Editori, 2004) e un’antologia di poesie scelte del poeta ceco Rainer Maria Rilke. Più di recente aveva in progetto un terzo libro sul simbolismo tradizionale di Santa Claus, ma purtroppo gliene mancò il tempo.  
Giovanni D’Aloe era un uomo riservato, schivo, per niente incline alle confidenze. Difficilissimo sapere qualcosa del suo privato e men che meno della sua vita più intima. In uno dei nostri ultimi incontri, prima che i suoi ricordi cominciassero a sbiadire, conversammo a lungo sul misterioso tema delle “apparizioni mariane”. In quella occasione, Giovanni mi confessò candidamente che da qualche tempo aveva smesso di prestarvi fede. Il suo negazionismo però, in verità alquanto empirico e razionale, da “filo raziocinante d’animo tranquillo”, contrastava vistosamente con quelle certezze metafisiche che da sempre avevano nutrito il suo cuore e la sua mente. «Come puoi - gli replicavo - proprio tu che a San Giovanni Rotondo, hai avuto l’esperienza dei “sensi soprannaturali” e assistito alla trasfigurazione di Padre Pio, non credere alla possibilità che un essere celeste possa liberamente apparire agli uomini e persino dialogare con loro?». Silenzio. Ma dai suoi bellissimi occhi azzurri scintillava una luce di assenso. Come dire che molto spesso, davvero “il cuore ha ragioni, che la ragione non conosce” (Pascal). D’altronde, Giovanni, per quanto di sicura fede cattolica, si era formato su autori algidi come Spengler, Bachofen, Nietzsche e Jünger e aveva inclinazioni metafisico-conoscitive, poco o null’affatto sentimentali. Panunzio che lo conosceva intimamente e gli voleva bene, gli aveva assegnato come nome di penna per la rivista, quello dell’eroico Parsifal, uno dei pochi cavalieri del ciclo arturiano ad avere il privilegio della visione del santo Graal. Giovanni ne era al tempo stesso lusingato e divertito, ma è evidente che Panunzio lo ritenesse assolutamente degno di tale nome.
Molto altro ci sarebbe ancora da dire e da ricordare di Giovanni d’Aloe, ma ciò contrasterebbe con la sua natura proverbialmente riservata. Quindi mi limito a concludere che con lui se ne va non solo un caro e generoso amico, un compagno di strada, un cavaliere dell’Alleanza Trascendente Michele Arcangelo, ma anche uno degli ultimi anelli viventi di quell’aurea e misteriosa catena ininterrotta di “testimoni della Tradizione”. Voglia Iddio accogliere l’anima sua e rivelargli tutte quelle verità che con intelletto d’amore egli ricercò fino all’ultimo dei suoi giorni.