Giuseppe
Maddalena
4.
“Status
in ordine triplex”
Sarà bene ora soffermarsi sulla Triade Sacra e considerare il
significato che assume nella civiltà cristiana. E’ noto dagli studi di George
Dumézil che il modello trifunzionale della società è antichissimo ed è tipico
della civiltà indoeuropea. Nelle società
antiche di ceppo indoeuropea lo schema triangolare ha un largo impiego
culturale: lo si ritrova anche nella strutturazione di miti e nella
ricostruzione di eventi storici. Le tre funzioni sono quella del governo della
società mediante il carisma religioso,
inteso in senso magico, o mediante un potere giuridico; quella dell’uso della
forza guerriera, e quello della produzione.
Elemento fondamentale del trifunzionalismo è la convinzione che dalla
collaborazione delle tre classi nasce l’armonia della vita sociale e più
facilmente viene conservata la pace con gli altri popoli. Una società che fosse
priva di una delle tre funzioni risulterebbe squilibrata e tenderebbe a
integrarsi, mediante un conflitto armato, con un popolo che proprio di quella
unica funzione mancante – di solito quella produttiva -fosse dotato. Una elaborazione molto più chiara e
razionalmente fondata della
tripartizione funzionale è quella filosofica, contenuta nel III libro della Repubblica di Platone, nel
quale viene stabilita una corrispondenza tra la struttura dell’anima umana - che ha una parte razionale, che tende alla
saggezza, una irascibile, da cui
derivano gli impulsi aggressivi da dominare con la ragione e da porre al
servizio della saggezza, e una concupiscibile, che è la sorgente delle energie
produttive - e l’organizzazione dello Stato – che deve
risultare articolato nelle tre classi
corrispettive dei custodi, dei guerrieri e di tutti coloro che svolgono le
altre attività necessarie alla vita della società (contadini, operai,
commercianti, ecc.). Lo schema triangolare
riappare nel Medio Evo con la teoria dei tre ordini – oratores, bellatores, laborantes – di cui si compone la società. Ci
avviciniamo così al cuore della questione. Uno dei più antichi documenti della
rappresentazione trifunzionale nel Medioevo è contenuto nel Carmen ad Rotbertum regem che Adalberto di Laon, cancelliere di re
Lotario di Francia, poi vescovo di Laon,
dedicò a Roberto II (il successore di Ugo Capeto). Vi si legge il seguente verso: “Res
fidei simplex, status sed in ordine triplex”,
la res (publica Christiana) , cioè la società fondata sulla fede è semplice, omogenea, unitaria, perché fondata sulla fede
comune, ma è articolata in tre ordini. Res fidei può intendersi anche come “la sostanza della fede”, ma il
significato complessivo non cambia. Il concetto è ribadito in modo più preciso
più avanti: “Triplex ergo Dei domus est, quae creditur una:/Nunc orant, alii pugnant, aliique laborant./Quae
tria sunt simul et scissuram non patiuntur”. Traduciamo: “la dimora di Dio, che
sappiamo per fede che è unitaria nella sua essenza, ha una struttura
tripartita: alcuni pregano, altri combattono, altri lavorano. Questi tre ordini
stanno insieme e non subiscono divisioni”. Nella res(publica Christiana) i cittadini sono
di para dignità, perché figli di Dio, ma svolgono funzioni diverse. Vivono i
cristiani in una doppia dimensione, quella di figli di Dio e quella di membri
della società, con funzioni differenziate. Esiste dunque un trifunzionalismo
cristiano, che però non va inteso come una adattamento a nuove circostanze
storiche e culturali di un’unica antica dottrina, nella sostanza
sempre uguale. Un fatto radicalmente nuovo e impensabile è accaduto nella storia
dell’umanità. Il Verbo eterno ha assunto su di sé l’umanità e con essa la sua
storia. il modello della società dovrà avere pertanto un fondamento
non più soltanto antropologico, ma teandrico; il modello non è più
l’uomo, ma l’Uomo-Dio e dall’Uomo-Dio bisognerà ripartire per
disegnare un modello di società.
5. Gesù archetipo vivente
Sulla
funzione regale e sacerdotale di Gesù è
illuminante la Lettera agli Ebrei: essa rivela che Gesù è il vero Re e il vero Sacerdote, perché è al tempo stesso vero Dio e vero
uomo. Su questo punto lasciamo la parola a
Benedetto XVI: “L’Autore della Lettera agli Ebrei ha aperto una nuova
strada per capire l’Antico Testamento come libro che parla su Cristo. La
tradizione precedente aveva visto Cristo soprattutto, essenzialmente, nella
chiave della promessa davidica, del vero Davide, del vero Re di Israele,
vero Re perché uomo e Dio. Ma l’Autore
della Lettera agli Ebrei ha scoperto una citazione che fino a quel momento non
era stata notata: Salmo 110,4 – “tu sei sacerdote secondo l’ordine di
Melchisedek”. Ciò significa che Gesù non solo adempie la promessa davidica,
l’aspettativa del vero Re di Israele e del mondo, ma realizza anche la promessa
del vero Sacerdote. In parte dell’Antico Testamento, soprattutto anche in
Qumran, vi sono due linee separate di attesa: il Re e il Sacerdote. L’Autore
della Lettera agli ebrei, scoprendo questo versetto ha capito che in Cristo sono unite le
due promesse: Cristo è il vero Re,
il Figlio di Dio – secondo il Salmo 2,7 che egli cita – ma è anche il vero Sacerdote.
Dovremmo aggiungere che è anche il Fabbro Divino", l’Artigiano, colui che
mediante l’ars trasforma la materia,
le imprime il segno della sua intelligenza e
la rende disponibile per l’uomo. Gesù, nella sua vita terrena, prima di proclamare l’avvento del Regno, ha
appreso nella bottega di Giuseppe la disciplina del lavoro e la pratica di un’ ars (Marco 6,1-6) e ha reso
il lavoro non più soltanto sacro, ma santo. Dalla sacralità pagana, che coglie nella natura il mistero di una forza numinosa
e pone il lavoro in relazione ad essa, ci si innalza alla santità cristiana,
che è partecipazione alla santità di Dio. Gesù, l’Uomo-Dio, è dunque il modello
da realizzare. Non si tratta però di un modello astratto, che viene proposto
all’imitazione, è invece l’archetipo
vivente che infonde nell’uomo la grazia d’immedesimarvisi attivamente con la collaborazione, sia pur faticosa e
difficile, ai piani di Dio. Dunque, chiamati a vivere della Sua vita divina,
misteriosamente uniti a Gesù come il
tralcio alla vite, abbiamo il compito, con i limiti, le imperfezioni e le fragilità
che ci sono propri, di renderlo presente nel mondo. Bisogna dunque che ci si
adoperi per cooperare alla Rifondazione della Triade Sacra. A proposito del Regnum, così si è espresso Joseph De
Maistre: “E' scritto: SONO IO CHE CREO I RE (Per me reges regnant, Prov., VIII, 15).
Non è affatto una frase da pulpito né una metafora da predicatore; è la verità
letterale, semplice e palpabile. E' una legge del mondo politico. Dio fa i re
letteralmente. Egli prepara le stirpi regali; le matura entro una nube che
nasconde la loro origine. Esse appaiono poi coronate di gloria e di onore; si
stabiliscono; ed ecco il maggior segno della loro legittimità” (trad. di R. De
Mattei e A. Sanfratello).
Ma ordinariamente,
bisogna aggiungere, Dio opera nella
storia mediante l'agire dell'uomo. Per G.B. Vico la Provvidenza divina (la Storia ideale eterna, la norma celeste,
il dover essere) non opera come una necessità ineluttabile, come un Fato che
s’imponga anche a dispetto della libera volontà dell'uomo. La Provvidenza si
manifesta prima di tutto nell'uomo come sentire, poi come avvertimento, infine
come chiara coscienza razionale e lo spinge ad operare in conformità alla sua
legge, senza costrizione. La storia delle nazioni può infatti divergere dalla
linea segnata dalla Volontà divina e di fatto spesso diverge. La realizzazione della
Volontà di Dio richiede la fedele e generosa opera dell'uomo, il suo agire
nella storia. Dunque l'azione civile e politica orienta la storia. Ma l'agire
non basta, perché il puro agire politico
tende a rimanere vincolato al piano orizzontale del divenire storico e
facilmente scivola nei maneggi e nelle trame della criptopolitica. Anche Vico
ha bisogno di integrazione. E’ compito dell’uomo riannodare i fili che uniscono
il Cielo e la Terra e a tanto non è sufficiente l’azione, per quanto retta sia,
occorrono la vita spirituale e la preghiera (“chiedete ed otterrete”). Il
rinnovamento della guida politica della società richiede non cristiani “adulti” (qualità che ordinariamente
si evoca per attribuirla a se stessi) ma cristiani santi. Anche ai sacerdoti non si
richiede di essere delle buone persone, moralmente ineccepibili, si chiede di
essere santi, per la funzione altissima loro assegnata: “Nel mistero del
sacrificio eucaristico, in cui i sacerdoti svolgono la loro funzione
principale, viene esercitata ininterrottamente l'opera della nostra
redenzione…..i presbiteri, unendosi con l'atto di Cristo sacerdote, si offrono
ogni giorno totalmente a Dio, e nutrendosi del Corpo di Cristo partecipano dal
fondo di se stessi alla carità di colui
che si dà come cibo ai fedeli.” (Presbyterorum Ordinis, Decreto del Concilio
Vaticano II”). Tutto il complesso delle
attività civili, infine, alla luce del Vangelo e con la forza della grazia
divina deve essere santificato. Attilio Mordini in Verità
del linguaggio (Roma, 1974, pag. 197) sottolinea la relazione esistente tra
ars e areté,
tra arte e virtù. In effetti l’esercizio di un’arte (e in genere, aggiungiamo,
di qualunque attività che presupponga
una techne) comporta, prima con
l’apprendistato poi con la pratica quotidiana, l’acquisizione di un certo
dominio di sé. Ancora Mordini ricorda
quanto segue: “Già nell'antica Roma i collegia
facevano capo agli aediles plebeii
…Agli edili spettava la manutenzione dei templi e il controllo dell'arca che
era la cassa del collegia.
Celebravano il culto di Cerere, dea delle messi e dell'abbondanza. Accanto al
fascio di verghe del Senato v'era infatti il fascio di grano del Fratres Arvales. (pag. 207)...Il
medioevo cristiano adempie anche la legge e le istituzioni romani, e i fasci di
spighe degli Arvali, nutrimento del corpo e edificazione dello spirito, si
riconoscono nell'Eucarestia” (pag. 208) ). Molto interessante l’impiego del
simbolo delle spighe: c’è una continuità tra Roma antica e la civiltà cristiana:
la civiltà pagana ha riconosciuto nell’attività fabbrile una scuola di virtù e l’ha
espressa con il simbolo della spiga; nel cristianesimo la spiga lavorata
dall’uomo e trasformata in pane diventa, con la consacrazione, il Corpo di
Cristo; così il prodotto della natura, il lavoro dell’uomo e l’intervento
divino rendono realmente presente Dio fra noi. “. Così la liturgia “Benedetto
sei tu, Signore, Dio dell'universo: dalla tua bontà abbiamo ricevuto questo
pane, frutto della terra e del lavoro dell'uomo; lo
presentiamo a te, perché diventi per
noi cibo
di vita eterna”. Dunque l’intera società nella sua triplice articolazione
deve essere rinnovata ab imis
fundamentis. Il fondamento è Gesù, lo strumento è l’azione, ma soprattutto
quella forma elevata di azione metapolitica che è la preghiera e in particolare
la richiesta insistente e accompagnata dal sacrificio personale di un
rinnovamento delle élite, la richiesta di santi “operai” della restaurazione.
Per renderci consapevoli che è giunta l’ora - e il tempo preme con urgenza - di
dedicarsi a quest’opera, ci è stato inviato Sant’Annibale Maria di Francia.
Bellissimo articolo! Complimenti all'autore per questa ricerca molto ispirata e documentata. C'è anche un terza parte dedicata a S'Annibale Maria di Francia, o sbaglio?
RispondiEliminasaluti
Paolo C.
Grazie Paolo. Ti confermo che la terza e ultima parte dell'articolo sarà probabilmente "postata" domani con importanti accenni a S. Annibale Maria di Francia e altro.
RispondiEliminaUn caro saluto