Sant' Annibale Maria Di Francia
(1851–1927)
Giuseppe Maddalena
6. Sant’Annibale M. Di Francia: l’
”intelligenza” del Rogate
Annibale
Maria Di Francia nacque a Messina nel 1851
da una famiglia di antica ascendenza francese, che al tempo del re Carlo
d’Angiò si trasferì nel Regno di Napoli. La madre, Anna Toscano, fu anche lei
di nobili origini e di profondi sentimenti religiosi, ma anche dotata di una
naturale facilità nello scrivere versi.
Dai genitori eredita l’interesse per la letteratura e dalla madre in particolare l’attitudine e la
facilità a comporre versi. Colto,
era considerato tra i migliori
oratori di Messina; scrittore vigoroso, scrisse articoli per una decina di
testate. Fu di animo ardente e
impetuoso, ma tenero con i poveri e gli orfani. La vocazione sacerdotale e
religiosa gli si manifestò in modo inequivocabile e come in un lampo. Dopo una
notte di preghiera durante la quale sentì il desiderio di consacrarsi a Dio,
Annibale raggiunse una chiesa e davanti al Santissimo chiese e ottenne lumi. La
vocazione fu, secondo le sue parole, improvvisa, irresistibile, sicurissima.
Nel 1878 cominciò a dedicarsi al riscatto dei circa duecento poveri che
abitavano le Case Avignone, un
piccolo quartiere della città di Messina, luogo di degrado, sporcizia,
malattia, promiscuità, corruzione, definito “Terra maledetta”, terra da cui
tenersi lontani. Sant’Annibale pose al centro della sua attività l’Eucarestia,
con la creazione di una cappelletta per la celebrazione e la preghiera. Annibale, pur tra dubbi e difficoltà, aveva
alcuni punti fermi: “Un Istituto che si prefigge l’educazione della gioventù,
qualora pretendesse sostentarsi con le sole elemosine, assomiglierebbe né più
né meno ad un giovane robusto che invece di lavorare volesse vivere di
accattonaggio….Il lavoro in una Casa educatrice è tra i primi efficienti della
moralità: esso è ordine, è disciplina, è vita. Non vi può essere educazione né
religiosa né civile, discompagnata dal lavoro”.
Preghiera, celebrazione eucaristica, sacrificio personale, dedizione e
lavoro incessante trasformarono Case
Avignone e produssero non solo la resurrezione spirituale, ma anche la rinascita civile di quella popolazione. Il
quartiere Avignone rappresenta in piccolo quel che può realizzarsi in una
società, quando la vita terrena, con i suoi bisogni e le sue energie creative e
le sue attività, ritrovi il suo centro nella vita dello Spirito. Vita
spirituale ed energia morale, infatti, generarono quel che in una società è
indispensabile alla vita dignitosa:
posti di lavoro. Furono create
una tipografia, una calzoleria, una sartoria e, in seguito, un forno che
produceva un pane divenuto rinomato in tutta Messina, tanto da essere consigliato
dai medici per le sue qualità. E’ la realizzazione in un piccolo ambito di tipo
cittadino di quanto fu raccomandato nella comunità rurale di La Salette:
ristabilire il rapporto tra Cielo e Terra, sperimentare la forza risanatrice e l’energia propulsiva e
creativa della grazia. Per i poveri e gli orfani il Di Francia ebbe un’
autentica passione; in loro vide, grazie ad una particolare esperienza mistica,
la misteriosa presenza di Gesù. Per comprendere come il carisma della carità
fosse strettamente legato all’altro carisma, quello del Rogate, di cui tratteremo poco più avanti, come anzi i due carismi
scaturiscano da una stessa radice, la misericordia divina, e siano ordinati ad un fine comune, la salvezza
di ciascuno e la rifondazione di una società naturale e cristiana, bisognerà
riflettere sul significato metafisico della povertà. I poveri, i diseredati che
vediamo intorno a noi, i disperati sui barconi, gli emarginati, i portatori di
handicap, i malati, tutti coloro che attraversano l’esistenza in condizione di
privazione richiedono la nostra solidarietà e il nostro amore, ci chiedono di
piegarci verso di loro e sanare le loro ferite.
Al tempo stesso, però, sono lo specchio per noi della nostra radicale
condizione di povertà: sul piano
ontologico siamo tutti carenti d’essere,
incompleti. E’ forse in questa considerazione universale della povertà che
risiede il punto di unione del doppio carisma di Sant’Annibale, quello della
dedizione ai poveri e agli orfani e quello della Rogazione evangelica. Non è un
caso che tutte le volte che il Di Francia nomina il Rogate, lo mette in
relazione alla salvezza di tutti, con
accenti di questo tenore: “Ti preghiamo, o dolce Gesù, metti in opera il
gran rimedio che Tu ci insegni nei SS. Evangeli, perché le anime tutte si
salvino; manda, cioè, Sacerdoti santi e numerosi ovunque; riempine il mondo”
(Scritti, vol. 54, pp. 81-82); salvezza di tutti, perché tutti siamo poveri,
mancanti. Silvano Panunzio ha ricordato
che il vocabolo ebraico che nelle lingue neolatine viene tradotto con “peccato”
(ad eccezione dello spagnolo che impiega il vocabolo falta, cioè errore, mancanza)
è “attà, voce maschile
indicante i peccatori: attaìm. Ma il
verbo attà che ne sta all’origine,
non significa peccare, bensì fallire,
errare. Eugenio Zolli – continua Panunzio - spiegava:
questo vocabolo dà l’idea di una mancanza,
di un venir meno. Però non si tratta di un vuoto morale-psicologico, sebbene
molto di più. Tanto vero che questo vuoto poteva venir riparato, ossia riempito, toccando il sangue del re
sparso in battaglia o anche la polvere del santuario. Si tratta, dunque, di una
deficienza che attenta alla pienezza dell’essere. Dionigi l’Areopagita, poi
Plotino, infine S.Agostino definiscono il male appunto come una “deficienza di
essere” (S. Panunzio, “Il visibile e l’invisibile nel Cristianesimo –
Metafisica del Credo”, pagg.17,18). Veniamo ora al carisma, cui abbiamo
accennato: quello del Rogaste. Fin dai primordi della sua vita spirituale
egli intuì che il rinnovamento della Chiesa, della Società, e di tutto il mondo, richiedevano uomini di altissima spiritualità, soprattutto
sacerdoti. In seguito rimase sorpreso, o
forse dovremmo dire folgorato -
nello scoprire nel Vangelo il seguente passo: “ In quel tempo, Gesù, vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano
stanche e sfinite come pecore che non hanno
pastore. Allora disse ai suoi
discepoli: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi
operai nella sua messe!»” (Matteo,
9,36-38). Ebbe dunque
l’intuizione-ispirazione (“intelligenza”) del Rogate e si stupì che per venti
secoli quella parola fosse rimasta nascosta tra le pagine del Vangelo. Ora
ritornava il comando, che era stato dettato da amore e misericordia verso le
folle senza guida, di pregare per ottenere gli “operai” della vigna di Dio. Chi sono gli
“operai” che, secondo il Di Francia, Gesù
vuole che si richiedano? In primo luogo i sacerdoti, ai quali è stata
affidata la celebrazione dell’Eucarestia e la guida spirituale dei fedeli. Il
sacerdozio, dice Sant’Annibale “ha una potenza che non è di questo mondo, ha
una forza divina, un segreto miracoloso, con cui si guadagna i cuori e rende
impotenti tutte le avverse potenze terrene e infernali”. Non si deve credere,
però, che la Rogazione evangelica, come la intende Sant’Annibale, sia
paragonabile alle preghiere per le vocazioni praticate ormai in tutta la
Chiesa. Ciò a cui mira il Rogate
non sono semplicemente i bravi sacerdoti e i parroci efficienti. Certo ci
vogliono anche quelli. Ma l’obiettivo è incomparabilmente più alto, perché lo
smarrimento dell’umanità richiede ormai molto di più. “In una preghiera del
1912 per impetrare i buoni evangelici operai -
leggiamo in B.V.M. de “La
Salette”, Madre di misericordia, pag. 96 della collana Spiritualità rogazionista – (…) egli chiede al Signore di rinnovare sulla terra quegli uomini
Apostolici, quegli uomini quasi divini, che nei diversi secoli sono stato
spettacolo di fede e di carità al mondo, agli angeli e agli uomini”. Uomini quasi divini! Ecco la qualità degli
operai della vigna che Gesù nel Vangelo ci ordina di domandare, ecco le guide
necessarie nell’ora presente! Uomini che in virtù della forza spirituale loro
conferita sappiano attrarre, guidare e trasformare le folle. Il Rogate
ergo non va considerato, però, solo in relazione al sacerdozio: sono operai
della messe divina “i principi delle nazioni, i governanti e tutti quelli che
formano gli alti uffici governativi e amministrativi”: “Quando si vuol
corrispondere a quel gran comando del divino zelo del Cuore di Gesù – dice
ancora Sant’Annibale - bisogna che nel pregare l’Altissimo, si metta una
speciale intenzione che il Sommo Dio dia governanti secondo il suo Cuore a
tutte le nazioni”. Dunque è il rinnovamento di Sacerdotium e Regnum che è
in questione. Ma non basta : operai dell’Opus
Restaurationis sono ancora “i
buoni educatori e le buone educatrici”: dunque gli insegnanti e soprattutto i
genitori, ma anche i giornalisti e in
generale tutti coloro che hanno una funzione di guida e di formazione
in tutti i gradi della scala sociale. E’
quel rinnovamento delle élites,
auspicato dal pensiero politico e sociale del Novecento, che potrà così essere
realizzato. E’ dunque nella
rigenerazione radicale dei singoli e della società la radice e il punto di unione del doppio
carisma: il Rogate e i poveri. Infine, il Rinnovamento auspicato da
Sant’Annibale e comandato da Gesù, si pone anche in una prospettiva escatologica:
“Per tal modo il Vangelo sarà predicato in tutto il mondo e si prepareranno i
tempi che vi sarà un solo ovile e un solo Pastore” (Tusino, L’anima del Padre pag. 124). La prospettiva escatologica presente nel
Rogate divenne per Sant’Annibale forse assai più chiara e consapevole nell’incontro con Melania. Nel 1897
Melania Calvat, su richiesta del Di Francia, si trasferì a Messina e
assunse il compito di dirigere la Comunità femminile, che a seguito di disordini indipendenti dalla
volontà e dalla responsabilità del Fondatore, stava per essere sciolta
dall’Autorità religiosa. Dopo un anno, scongiurato il pericolo dello
scioglimento, la Calvat lasciò l’Istituto. Gli eventi che condussero Melania a
Messina, oltre a risultare decisivi per la vita della congregazione femminile,
furono l’occasione, predisposta dalla
Provvidenza, per l’ incontro tra il messaggio della Vergine di La Salette e
l’ispirazione del Rogate, nel senso di una fecondazione reciproca. Nel citato volume 4 della collana di
spiritualità rogazionista si può leggere (pag.112) che “il carisma evangelico
del Rogate, finalizzato al conseguimento del dono dei buoni operai, realizza il
desiderio mariano della conversione dei peccatori e affretta la venuta degli
Apostoli degli ultimi tempi.” Il Rogate e La Salette si completano e convergono
nella missione di “instaurare omnia in Christo”, nell’opera della Restaurazione
universale. Sugli Apostoli degli ultimi tempi, sul loro legame con il Rogate
(che ne costituisce la preparazione) è di estrema importanza il contenuto di
questa lettera del Di Francia al Servo di Dio padre Francesco Maria Jordan:
“Quando Melania venne nel mio Istituto,
mi diede la regola della Santissima Vergine, e me ne propose l’osservanza. Io
me ne meravigliai fortemente e non accettai la proposta…..Invece una missione
oh, quanto santa, oh quanto bella, oh quanto proficua, oh quanto singolare e
direi unica volle l’Altissimo
scoprire al più misero e abietto fra tutti i mortali! Missione, che fa rimanere
attoniti; e sembra un mistero come in tanti secoli nessuno l’abbia abbracciata,
quando Nostro Signore Gesù Cristo ne aveva fato un espresso comando, con quelle
parole: Rogate ergo Dominum messis, ut
mittat operarios in messem suam; missione divina che racchiude in sé, quasi
in germe, tutte le missioni di tutti gli Ordini religiosi, anzi di tutte e due
i Cleri, ed è la più perfetta preparazione degli Apostoli degli ultimi
tempi!......Questa preghiera, coltivata e propagata in tutto il mondo, come
Gesù comandò più volte (dicebat) ,
susciterà sulla terra falangi di Santi e di Apostoli, perché se Gesù Cristo la comandò, la esaudirà! E se la fece
apparire oggi, dopo diciannove secoli, in questi tempi in cui la santità pare
estinta, vuol dire che la serbava per quella santità nuova e divina che dovrà
preparare il mondo alla venuta del Giudice Supremo!..... Quando questa
preghiera sarà generalizzata, quando la Chiesa sparsa nel mondo leverà unanime
questa Rogazione evangelica, e dirà con Mosè: Mitte, Domine, quos missuros es, e con Isaia: Nubes pluant iustos et terra germinet salvatores, allora gli
Apostoli degli ultimi tempi appariranno, e nella visione della fede e della
speranza il mondo cattolico li avrà conosciuti prima ancora di riceverli (in Tusino, Memorie biografiche, pagg. 480-482).
7.Radici nel
Vangelo
Come si è
detto, tra i messaggi di La Salette e la Rogazione evangelica esiste una
relazione molto stretta, una vera integrazione reciproca. Questa
complementarità ha in un certo qual modo
le radici nel Vangelo, in certi passi che si
richiamano l’un l’altro e di cui l’intreccio tra La Salette e il Rogate
è una particolare determinazione storica. Prendiamo in esame e compariamo fra
loro due brani. Il primo è il già citato Matteo, 9,37 su cui si fonda il Rogate e che qui riproponiamo: “Al vedere le folle affrante e abbandonate a
sé come pecore senza pastore, fu preso da pietà. Allora disse ai suoi
discepoli: “La messe è molta ma gli operai sono pochi. Pregate perciò il
padrone della messe perché mandi operai alla sua messe”. (Mt 9, 36-38). Mettiamolo a confronto con
la parabola narrata in Matteo 20, 1-7: “In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli
questa parabola: ‘Il regno dei cieli è
simile a un padrone di casa che uscì all'alba per prendere a giornata
lavoratori per la sua vigna. Accordatosi
con loro per un denaro al giorno, li mandò nella sua vigna. Uscito poi verso le
nove del mattino, ne vide altri che stavano sulla piazza disoccupati e disse loro: Andate anche voi nella mia
vigna; quello che è giusto ve lo darò. Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno e verso le
tre e fece altrettanto. Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne
stavano là e disse loro: Perché ve ne state qui tutto il giorno oziosi? Gli risposero: Perché nessuno ci ha presi a
giornata. Ed egli disse loro: Andate anche voi nella mia vigna’”. Questi
due passi si richiamano reciprocamente. In entrambi abbiamo un proprietario
terriero e degli operai. Il primo è proprietario di una messe, che richiama
l’Eucarestia sotto le specie del pane; il secondo è padrone di una vigna, che
richiama l’Eucarestia sotto le specie del vino.. Nel primo il proprietario è
definito dominus; nel secondo pater familias. In realtà i due vocaboli latini individuano
una stessa figura sociale: un proprietario terriero che è dominus sulla sua terra e esercita il suo potere su tutti coloro
che vivono e lavorano sulla sua terra: la moglie, i figli, le nuore, i nipoti,
i servi e le serve e i loro figli. Dunque una stessa funzione sociale. Ma c’è
una sfumatura che connota diversamente i due termini: dominus denomina
l’ampiezza del suo potere che si estende su tutta la proprietà e su tutti
coloro che vi vivono; è capo e signore e il termine che lo designa (dominus) è contrapposto concettualmente a familia. Pater familias ha, invece, una sfumatura di sollecitudine
per la familia (si pensi in ambito
politico, al titolo onorifico di pater
patriae, mentre in poesia pater ha
a volte il valore metonimico di “amor paterno”
(Ovidio, vedi Calonghi). Il dominus
è metafora di Dio, a lui si rivolge la preghiera di mandare operai; il secondo
è lo stesso dominus che, paternamente
accolta la preghiera, esce a chiamare
gli operai. Il primo brano è, come si è detto, quello del Rogate. Esaminiamo
ora, più da vicino, il secondo. Il
padrone di casa esce più volte a chiamare gli operai: esce di buon mattino, poi di nuovo all’ora terza,
all’ora sesta, all’ora nona e all’ora undicesima. Le ore possono indicare,
senza che un’interpretazione escluda l’altra, non solo i vari momenti della
giornata, ma anche le varie fasi della vita individuale e ancora le
varie epoche della storia dell’umanità. Nel discorso che andiamo svolgendo qui
ci interessa quest’ultima interpretazione.
Nelle civiltà precristiane è frequente la rappresentazione del corso
della storia umana come di un succedersi di quattro periodi qualitativamente
differenti, disposti secondo il modello
di una progressiva degenerazione, che da un periodo iniziale di pace e di
splendore spirituale conduce fino ad uno
terminale, oscuro e problematico. Nella
cultura greco-romana la successione delle quattro età e la loro
degradazione è espressa con il simbolismo dei metalli: per Esiodo si
succedono nella storia dell’umanità le età dell’oro, dell’argento, del bronzo e
del ferro; nella tradizione induista si
susseguono quattro yugas; nell’Antico
Testamento Nabucodonosor sogna una statua splendente che ha il capo d’oro, il
petto e le braccia d’argento, il ventre e le cosce di bronzo, le gambe e i
piedi (questi ultimi misti ad argilla) di ferro. Daniele interpreta il sogno
come successione di quattro grandi imperi: il regno babilonese, il regno
persiano, il regno di Alessandro Magno ed infine l’impero romano, durante il
quale comincerà a svilupparsi un Regno che non avrà mai fine, il Regno di Dio.
Nel testo evangelico in esame, lo svolgimento della storia umana è paragonato
allo svolgersi del giorno, dal sorgere del sole al suo tramonto. Ma l’aspetto
più interessante è che in questa rappresentazione della storia come ciclo
vengono introdotti dei personaggi: il Dominus
e i suoi operarii, per indicare la
presenza di Dio nella storia e il
carattere militante della vocazione cristiana. La storia non è perciò puro
svolgersi ritmico: l’azione dell’uomo, il suo operare in accordo con Dio che lo
chiama a edificare il Regno è elemento essenziale del suo dramma. E in ciascuna fase della storia Dio chiama ad
agire e a cooperare: dal mattino fino all’approssimarsi del tramonto. E quando
le ombre si allungano, il lavoro si fa più difficile e sono chiamati al lavoro
anche gli operai dell’ora estrema: gli Apostoli
degli ultimi tempi. I due brani evangelici citati sembrano, perciò,
richiamandosi, preannunziare l’incontro e l’intimo legame tra la Rogazione
evangelica, raccomandata, anzi comandata da Gesù, e l’invio degli Apostoli
degli ultimi tempi nella fase ultima della nostra civiltà. Un’ultima
osservazione. Il padre di famiglia della parabola esce una prima volta di buon
mattino: il testo latino usa l’espressione primo
mane. L’aggettivo primus, unito a
un sostantivo che indica un periodo
assume il significato di momento iniziale (così primus mensis è l’inizio del mese; primus annus è l’inizio dell’anno, ecc.); il padre di famiglia esce
dunque allo spuntare del giorno, alle sei del mattino; ora dalle sei alle nove
intercorrono tre ore; dalle nove alle dodici tre ore; dalle dodici alle
quindici tre ore. La regolarità della successione dei periodi suggerisce che
anche il successivo periodo sia di tre ore: dalle quindici alle diciotto. Se le cose
stanno così l’ultima ora (dalle 17 alle 18) rappresenta una fase estrema,
specialissima, all’interno di un finale ed ultimo periodo. Si comprende meglio,
così, il senso dell’espressione con cui S. Luigi Grignon de Monfort
indicò la fase estrema nella
quale gli Apostoli degli ultimi tempi faranno la loro comparsa: “gli ultimi
tempi degli ultimi tempi”.
Conclusione
Con questo
articolo non si è inteso proporre ai lettori la spiritualità, peraltro molto
interessante, delle due congregazioni create da Sant’Annibale M.Di Francia, e
che riguarda coloro che hanno quella
specifica vocazione alla vita religiosa. Si è voluto invece richiamare
l’attenzione su un fatto di capitale importanza per i nostri tempi. Dopo
diciannove secoli Gesù, per il tramite
di Sant’Annibale M. Di Francia, ha fatto risentire la Sua voce su un preciso
insegnamento del Vangelo, la cui
attuazione è urgente e decisiva per le sorti della nostra Umanità; e questa
voce si è intrecciata, per il tramite
di Melania Calvat, con quella della Vergine di La Salette. I Padri Rogazionisti
e le Figlie del Divino Zelo hanno riguardo a questo richiamo celeste una precisa vocazione e una
correlativa responsabilità. Ma il messaggio ha una portata universale, è per
tutti noi. Che si sia ormai giunti ad una svolta nella storia dell’Umanità è
fuor di dubbio. Basta guardarsi attorno. Siamo alla conclusione di un ciclo di
civiltà, cui seguirà immancabilmente una Risurrezione. A noi è lasciata la
libertà di scegliere se rimanere passivi spettatori e subire gli eventi o diventare attivi cooperatori del piano divino
di Amore e Misericordia. (Fine)
Ringrazio ancora l'autore per questo bellissimo articolo. Dalla mia modestissima posizione di semplice fedele non avevo mai letto questa interpretazione del passo evangelico. Personalmente trovo molto originale: 1) la lettura comparata dei due passi tratti dal Vangelo di Matteo ( Mt, 9,37 ; 20, 1-7). 2) l'interpretazione "cosmica" del secondo passo evangelico secondo cui alle ore corrisponderebbero le età della nostra civiltà, e di conseguenza il cooperare degli Apostoli degli ultimi tempi in questa fase storica "ultima". 3) l'interpretazione secondo cui gli operai della messe, possono operare sia nel piano del Sacerdotium che in quello del Regnum!
RispondiEliminaun caro saluto
Paolo C.
Ringrazio Paolo della sua gentilezza e soprattutto delle osservazioni che ben puntualizzano il senso dell'intero discorso.
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