Paolo
Ciccioli
E’
parere di chi scrive che il volume oggetto di questa recensione rappresenta un
lavoro fondamentale e di rara preziosità per chi intenda indagare
filosoficamente i rapporti che si costituiscono fra la trascendenza e
l’esistenza giuridico-politica delle società. In “Ordo iuris. La nascita del
pensiero sistematico”, l'autore utilizzando gli strumenti raffinatissimi
dell'analisi filosofica e seguendo una prospettiva “classica”, riesce a
descrivere il processo di formazione del moderno concetto di sistema in
conseguenza dell’affermarsi del pensiero identitario e sistematico a partire
dalla diffusione nell’ecumene cristiana della filosofia neoplatonica. Argomenti
dunque non nuovi per i lettori di questo blog ma che rispetto alla prospettiva
di Silvano Panunzio si differenziano in ragione della diversa interpretazione
che viene data alla filosofia platonica e neoplatonica.
Vale
la pena soffermarsi sulla distinzione proposta da Maurizio Manzin, fra la
concezione del pensiero “classica” e quella “moderna”, distinzione che assume
rilievo in senso non già cronologico o geografico quanto piuttosto categoriale
(sinteticamente, «Lao Tse dovrebbe essere considerato più classico di Zenone»
p. 27). Difatti pur riscontrandosi storicamente un passaggio dalla classicità
alla modernità, permane oggi come sempre, l’umana libertà di pensare e far
vivere la categoria del “classico” per la quale «la differenza è costitutiva
dell’essere-pensiero», piuttosto che quella del “moderno” «tesa
all’affermazione esclusiva di un ordine, identico per tutti i campi
dell’esperienza» (nota 9 p. 80).
L’autore,
professore ordinario di Filosofia del Diritto all’Università di Trento, muove
dall’intento di fondare nell’ambito del suo settore di ricerca una teoria
dell’identità e della differenza rifacendosi alla più autentica tradizione
platonica e giovannea quindi ad «un logos eterno generatore di senso» per la
costituzione delle società politico-giuridiche, ponendosi perciò in netta
contraddizione col modello giuridico vigente, ossia quello kelseniano, le cui
caratteristiche (gerarchia delle norme, coerenza e completezza dell’ordinamento
giuridico) evidenziano il carattere emenintemente sistematico del pensiero
dell’austriaco. L'influenza perniciosa del concetto di sistema sui pensatori
moderni era stata individuata fra gli altri anche dal politologo Eric Voegelin, nel celebre
“Scienza, politica e gnosticismo” nella sezione dedicata ad Hegel in cui si
addebitava al filosofo tedesco l'aspirazione a dominare l'essere e quindi a
costruire sistemi, più che ad amare l'essere come dovrebbe essere proprio della
filosofia.
Il
libro, rivolto principalmente agli studiosi di diritto, ma che può essere letto
con uguale profitto anche da filosofi, teologi e anche dagli studiosi dei
sistemi sociali, si sofferma in una precisa ed accurata descrizione di quei
momenti filosofici che a partire dai primi discepoli di Platone hanno
rappresentato il lento ma costante deviare dalla corretta ontologia platonica
fondata sulla cooriginarietà di Principio e mondo , di Identità e differenza,
di Uno e molti, o per usare un'espressione più affine allo studioso di teoria
politica, fra l’Uno e il differenziarsi dell’esistenza della comunità politica
nella storia.
Manzin
analizza dapprima i momenti ambigui propri della speculazione filosofica di
Platone, passando per l’interpretazione delle Enneadi plotiniane
fornitaci da Porfirio, soffermandosi quindi sui neoplatonici non-cristiani
(Giamblico, Proclo e Damascio) e poi sulle opere dello Pseudo-Dionigi (tradotte in latino per mano
di Scoto Eriugena) che diffondendosi durante il medioevo cristiano hanno
consentito l’egemonia della filosofia identitaria e sistematica grazie alla
Scolastica per giungere infine all’approdo della modernità dove il pensiero
identitario e sistematico insieme con le sue aporie si afferma incontrastato,
parallelamente al processo di secolarizzazione. Il merito di questa
accuratissima ricerca consiste nel saper cogliere il primo manifestarsi del
pensiero sistematico e “moderno” fin dall’antichità con le speculazioni dei
filosofi eleati, e a maggior ragione nell'aver individuato il movimento
sotterraneo del pensiero sistematico che assumerà forma politica per la prima
volta, pur apparentemente in continuità con le forme “classiche”, in coincidenza
con l’insorgere del potere carolingio.
La
natura del pensiero identitario e sistematico può essere ben sintetizzata come
quel movimento monistico del pensiero per cui il Principio risulta essere
perfetta e assoluta identità a sé medesimo, cioè scevro da qualsiasi
differenza, lasciando così irrisolta la questione della natura degli enti
mondani e il loro rapporto col Principio.
Le conseguenze di una concezione sistematica dell'ordine comportano, con
le parole del filosofo del diritto :
«a) il dualismo metafisico, per il
quale non si riesce a stabilire una relazione fra l'universale pensato dalla
ragione secondo inferenze logiche e il molteplice attestato dall'esperienza.
b)
la matematizzazione del sapere, per la quale non si dà conoscenza che
non sia quella ottenuta aggruppando o separando l'unità, priva di ogni
ulteriore determinazione, di ogni oggetto : il che porta a restringere il
sapere nei confini tracciati da quel linguaggio convenzionale, univoco e
quantitativo che è il linguaggio matematico;
c)
l'egualitarismo come ideale giuridico e politico per il quale la
necessità di rimuovere le differenze diviene un valore regolativo
“rivoluzionario”, sovvertitore dell'unicuique suum» (pp. 19-20).
Una
delle manifestazioni più evidenti del pensiero identitario è certamente la
presenza di numerose false opposizioni che si sono rette a vicenda in tanti
secoli di speculazione filosofica, prima fra tutte quella fra razionalismo e
misticismo apofatico, che si presenta in una forma abbozzata già con Proclo. La
sua figura risulta essere quella più emblematica e moderna per il fatto che che
tre diversi filoni coesistono all’interno del suo pensiero:
«quello
d’impronta aristotelica, preoccupato specialmente di determinare le forme del
ragionamento più adatte per accertare l’incontrovertibilità delle proposizioni
nel discorso (potremmo chiamarlo filone “metodologico”); quello
platonico-plotiniano, versato piuttosto nella ricerca dell’unione mistica con
l’Uno (che potremmo chiamare “teologico”); quello porfiriano-giamblicheo,
fortemente interessato alle operazioni magiche (“tecnico-dominativo”)» (p.
100).
Questi
tre filoni, coesistenti nella filosofia di Proclo, avranno la sorte di
procedere in forma separata fra loro durante la modernità, generando quelle
false opposizioni che questo studio ha rivelato essere espressioni diverse del
pensiero sistematico.
La
descrizione della genesi del pensiero sistematico ha incontrato però alcuni
“ostacoli” giustamente enfatizzati da Manzin nei quali il corso della storia
avrebbe preso direzioni affatto diverse, evitando quella deviazione
dall’ontologia platonica in cui identità e differenza coesistono ab origine.
Si tratta del Vangelo di Giovanni anzitutto, ma anche degli scritti di Origene,
Amelio e Agostino. Fatta eccezione per Amelio, di cui non conosciamo gli
scritti da una fonte diretta, e in special modo la sua interpretazione della
filosofia di Plotino, si tratta di opere che ci sono pervenute nella loro
interezza in edizioni critiche e che qualora interpretate attenendosi all’interpretazione
classica, possono costituire (accanto agli scritti dei classici pre-cristiani,
fra cui Parmenide, Eraclito, Platone e Aristotele) una valida forma di
ripensamento delle categorie filosofiche e giuridiche contemporanee. Vale la
pena soffermarsi sul contributo del pensiero di San Giovanni la cui importanza
è stata quella di aver saputo definire la questione cristologica in maniera
insuperata. Difatti le dispute
teologiche sulla natura del Cristo quale incarnazione di Dio concorrono quanto
mai alla ricerca metafisica del rapporto fra Principio e mondo. Il merito di
aver saputo cogliere questa verità contenuta nel Prologo del Vangelo di
Giovanni – Nel principio 'è' il Logos - va al filosofo del diritto
Francesco Cavalla. «Il “nel” giovanneo – che non ha significato temporale,
poiché si parla dell'arche, cioè del Principio “che è in ogni cosa
anticipando ogni inizio” - “dice subito che all'originario appartiene la
differenza, e quindi la complessità, oltre all'unità; così è tolta
immediatamente la possibilità di concepire nichilisticamente il Principio come
essere indifferenziato equivalente al nulla» (p. 47).
Dopo
aver dimostrato le aporie del pensiero sistematico e aver descritto gli esiti
nichilisti da queste determinate, Manzin suggerisce quale via d'uscita
nell'ambito della filosofia del diritto, l'abbandono del modello normocentrico
fondato sulla gerarchia delle fonti (i cui più grandi interpreti sono stati,
all'inizio e al tramonto della modernità, quel Bodin fondatore della sovranità,
non casualmente imbevuto di filosofia neo-platonica e plotiniana che aveva
comunque posto in cima alle fonti del diritto la legge divina e il Kelsen in
cui la fonte suprema è la ormai secolarizzata Grundnorm statale) in favore di un modello fondato sull'originarietà
del processo (p. 147). A quei lettori che frequentando anche solo raramente le
aule dei tribunali si stanno chiedendo perplessi cosa possa esserci di
“classico” in esse, rimandiamo ai numerosi studi dedicati alla argomentazione
retorica giudiziale (Perelman, Giuliani, Cavalla e lo stesso Manzin) in cui si
evince quali e quante conseguenze implicherebbero l'assunzione di un tale
modello per l'assetto istituzionale dello stato, primo fra tutti quello più
tangibile della formazione non funzionariale dei giudici e quindi della
sostanziale separazione del potere giurisdizionale dal potere esecutivo.
Quale
mentalità filosofica, fra quelle contemporanee, sarebbe più adatta dunque ad
accogliere e continuare l'elaborazione giuridico-filosofica contenuta in “Ordo
iuris”? Certamente non i prosecutori del pensiero utopistico marxista i quali «dopo
aver vanamente ( e tragicamente) tentato di far coincidere l’idea di ordine con
quella d’individualità, sopprimendo le differenze specifiche che formano
l’identità personale di ogni uomo e la sua possibilità di relazionarsi con gli
altri, ha[nno] sposato l’assunto nichilistico che sperimentiamo ai nostri
giorni, in base al quale ogni comportamento individuale, per il solo fatto di
esserci, ha dignità e diritti pari a qualsiasi altro : forma socialmente
presentabile e politically correct dell'intramontabile assillo
egualitario che non cessa di affliggere le vicende dell'occidente». (p. 146).
Tantomeno tutti quegli «interpreti che da “destra” o da “sinistra”, si rifanno
a Nietzsche e ad Heidegger (e al Nietzsche di Heidegger) per spiegare la deriva
del pensiero occidentale. Per tutti costoro il merito, o la colpa, di tale
“deriva” andrebbero ascritti al cristianesimo (o al “giudeo-cristianesimo”) e
prima ancora allo stesso Platone e alla sua ontologia» (p. 148). Non meno
inadeguate sarebbero le filosofie d’ispirazione neotomistica che si rifanno in
chiave positiva alle critiche mosse da Heidegger al pensiero occidentale e in
particolare al «pensiero identitario e alla sua ansia sistematizzante e
gerarchizzante» (p. 155). In ultimo non potrebbero cogliere appieno il senso
delle speculazioni contenute in questa ricerca quegli studiosi seguaci dell’islamista Henri Corbin
propugnatore della teologia apofatica (o negativa) e della ontologia integrale,
cioè di quella «dottrina che si fonda sul presupposto della simultaneità
dell'essere nell'Uno e nei molti, senza la quale l'essere stesso risulterebbe
indifferenziato» (pp. 32-35).
Quale
dunque il bagaglio filosofico più idoneo per approcciare questo importante
studio di filosofia del diritto? Certamente chi voglia adottare
l'interpretazione classica può trovare in Platone e San Giovanni i più
autentici custodi della differenza e far propria l'esortazione finale di Manzin
che facciamo nostra e con la quale vogliamo chiudere questa recensione:
«Adesso
– come sempre – è il tempo della Parola, del logos.
Tempo
in cui superare quel silenzio ricordandolo; tempo in cui ricordarlo così
come esso riecheggia, trattenendo la differenza nella sua unità originaria,
prima di ogni determinazione ordinata.
En arche en o logos».
Maurizio Manzin è professore
ordinario di Filosofia del diritto nell'Università di Trento. Dirige il Cermeg,
Centro di Ricerche sulla Metodologia Giuridica (www.cermeg.it),
di cui è stato uno dei fondatori. Da anni si occupa della questione del metodo
nella scienza giuridica e dello sviluppo della logica giudiziale, con
particolare attenzione al periodo tardo-antico e pre-umanistico: a questi
argomenti ha dedicato alcune monografie e numerosi articoli, comparsi in
riviste scientifiche e miscellanee sia in Italia che all'estero.
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