02/03/16

Ordo iuris. La nascita del pensiero sistematico di Maurizio Manzin



Paolo Ciccioli

E’ parere di chi scrive che il volume oggetto di questa recensione rappresenta un lavoro fondamentale e di rara preziosità per chi intenda indagare filosoficamente i rapporti che si costituiscono fra la trascendenza e l’esistenza giuridico-politica delle società. In “Ordo iuris. La nascita del pensiero sistematico”, l'autore utilizzando gli strumenti raffinatissimi dell'analisi filosofica e seguendo una prospettiva “classica”, riesce a descrivere il processo di formazione del moderno concetto di sistema in conseguenza dell’affermarsi del pensiero identitario e sistematico a partire dalla diffusione nell’ecumene cristiana della filosofia neoplatonica. Argomenti dunque non nuovi per i lettori di questo blog ma che rispetto alla prospettiva di Silvano Panunzio si differenziano in ragione della diversa interpretazione che viene data alla filosofia platonica e neoplatonica.
Vale la pena soffermarsi sulla distinzione proposta da Maurizio Manzin, fra la concezione del pensiero “classica” e quella “moderna”, distinzione che assume rilievo in senso non già cronologico o geografico quanto piuttosto categoriale (sinteticamente, «Lao Tse dovrebbe essere considerato più classico di Zenone» p. 27). Difatti pur riscontrandosi storicamente un passaggio dalla classicità alla modernità, permane oggi come sempre, l’umana libertà di pensare e far vivere la categoria del “classico” per la quale «la differenza è costitutiva dell’essere-pensiero», piuttosto che quella del “moderno” «tesa all’affermazione esclusiva di un ordine, identico per tutti i campi dell’esperienza» (nota 9 p. 80).
L’autore, professore ordinario di Filosofia del Diritto all’Università di Trento, muove dall’intento di fondare nell’ambito del suo settore di ricerca una teoria dell’identità e della differenza rifacendosi alla più autentica tradizione platonica e giovannea quindi ad «un logos eterno generatore di senso» per la costituzione delle società politico-giuridiche, ponendosi perciò in netta contraddizione col modello giuridico vigente, ossia quello kelseniano, le cui caratteristiche (gerarchia delle norme, coerenza e completezza dell’ordinamento giuridico) evidenziano il carattere emenintemente sistematico del pensiero dell’austriaco. L'influenza perniciosa del concetto di sistema sui pensatori moderni era stata individuata fra gli altri anche  dal politologo Eric Voegelin, nel celebre “Scienza, politica e gnosticismo” nella sezione dedicata ad Hegel in cui si addebitava al filosofo tedesco l'aspirazione a dominare l'essere e quindi a costruire sistemi, più che ad amare l'essere come dovrebbe essere proprio della filosofia.
Il libro, rivolto principalmente agli studiosi di diritto, ma che può essere letto con uguale profitto anche da filosofi, teologi e anche dagli studiosi dei sistemi sociali, si sofferma in una precisa ed accurata descrizione di quei momenti filosofici che a partire dai primi discepoli di Platone hanno rappresentato il lento ma costante deviare dalla corretta ontologia platonica fondata sulla cooriginarietà di Principio e mondo , di Identità e differenza, di Uno e molti, o per usare un'espressione più affine allo studioso di teoria politica, fra l’Uno e il differenziarsi dell’esistenza della comunità politica nella storia.
Manzin analizza dapprima i momenti ambigui propri della speculazione filosofica di Platone, passando per l’interpretazione delle Enneadi plotiniane fornitaci da Porfirio, soffermandosi quindi sui neoplatonici non-cristiani (Giamblico, Proclo e Damascio) e poi sulle opere dello  Pseudo-Dionigi (tradotte in latino per mano di Scoto Eriugena) che diffondendosi durante il medioevo cristiano hanno consentito l’egemonia della filosofia identitaria e sistematica grazie alla Scolastica per giungere infine all’approdo della modernità dove il pensiero identitario e sistematico insieme con le sue aporie si afferma incontrastato, parallelamente al processo di secolarizzazione. Il merito di questa accuratissima ricerca consiste nel saper cogliere il primo manifestarsi del pensiero sistematico e “moderno” fin dall’antichità con le speculazioni dei filosofi eleati, e a maggior ragione nell'aver individuato il movimento sotterraneo del pensiero sistematico che assumerà forma politica per la prima volta, pur apparentemente in continuità con le forme “classiche”, in coincidenza con l’insorgere del potere carolingio.
La natura del pensiero identitario e sistematico può essere ben sintetizzata come quel movimento monistico del pensiero per cui il Principio risulta essere perfetta e assoluta identità a sé medesimo, cioè scevro da qualsiasi differenza, lasciando così irrisolta la questione della natura degli enti mondani e il loro rapporto col Principio.  Le conseguenze di una concezione sistematica dell'ordine comportano, con le parole del filosofo del diritto :
 «a) il dualismo metafisico, per il quale non si riesce a stabilire una relazione fra l'universale pensato dalla ragione secondo inferenze logiche e il molteplice attestato dall'esperienza.
b) la matematizzazione del sapere, per la quale non si dà conoscenza che non sia quella ottenuta aggruppando o separando l'unità, priva di ogni ulteriore determinazione, di ogni oggetto : il che porta a restringere il sapere nei confini tracciati da quel linguaggio convenzionale, univoco e quantitativo che è il linguaggio matematico;
c) l'egualitarismo come ideale giuridico e politico per il quale la necessità di rimuovere le differenze diviene un valore regolativo “rivoluzionario”, sovvertitore dell'unicuique suum» (pp. 19-20).
Una delle manifestazioni più evidenti del pensiero identitario è certamente la presenza di numerose false opposizioni che si sono rette a vicenda in tanti secoli di speculazione filosofica, prima fra tutte quella fra razionalismo e misticismo apofatico, che si presenta in una forma abbozzata già con Proclo. La sua figura risulta essere quella più emblematica e moderna per il fatto che che tre diversi filoni coesistono all’interno del suo pensiero:
«quello d’impronta aristotelica, preoccupato specialmente di determinare le forme del ragionamento più adatte per accertare l’incontrovertibilità delle proposizioni nel discorso (potremmo chiamarlo filone “metodologico”); quello platonico-plotiniano, versato piuttosto nella ricerca dell’unione mistica con l’Uno (che potremmo chiamare “teologico”); quello porfiriano-giamblicheo, fortemente interessato alle operazioni magiche (“tecnico-dominativo”)» (p. 100).
Questi tre filoni, coesistenti nella filosofia di Proclo, avranno la sorte di procedere in forma separata fra loro durante la modernità, generando quelle false opposizioni che questo studio ha rivelato essere espressioni diverse del pensiero sistematico.
La descrizione della genesi del pensiero sistematico ha incontrato però alcuni “ostacoli” giustamente enfatizzati da Manzin nei quali il corso della storia avrebbe preso direzioni affatto diverse, evitando quella deviazione dall’ontologia platonica in cui identità e differenza coesistono ab origine. Si tratta del Vangelo di Giovanni anzitutto, ma anche degli scritti di Origene, Amelio e Agostino. Fatta eccezione per Amelio, di cui non conosciamo gli scritti da una fonte diretta, e in special modo la sua interpretazione della filosofia di Plotino, si tratta di opere che ci sono pervenute nella loro interezza in edizioni critiche e che qualora interpretate attenendosi all’interpretazione classica, possono costituire (accanto agli scritti dei classici pre-cristiani, fra cui Parmenide, Eraclito, Platone e Aristotele) una valida forma di ripensamento delle categorie filosofiche e giuridiche contemporanee. Vale la pena soffermarsi sul contributo del pensiero di San Giovanni la cui importanza è stata quella di aver saputo definire la questione cristologica in maniera insuperata. Difatti    le dispute teologiche sulla natura del Cristo quale incarnazione di Dio concorrono quanto mai alla ricerca metafisica del rapporto fra Principio e mondo. Il merito di aver saputo cogliere questa verità contenuta nel Prologo del Vangelo di Giovanni – Nel principio 'è' il Logos - va al filosofo del diritto Francesco Cavalla. «Il “nel” giovanneo – che non ha significato temporale, poiché si parla dell'arche, cioè del Principio “che è in ogni cosa anticipando ogni inizio” - “dice subito che all'originario appartiene la differenza, e quindi la complessità, oltre all'unità; così è tolta immediatamente la possibilità di concepire nichilisticamente il Principio come essere indifferenziato equivalente al nulla» (p. 47).
Dopo aver dimostrato le aporie del pensiero sistematico e aver descritto gli esiti nichilisti da queste determinate, Manzin suggerisce quale via d'uscita nell'ambito della filosofia del diritto, l'abbandono del modello normocentrico fondato sulla gerarchia delle fonti (i cui più grandi interpreti sono stati, all'inizio e al tramonto della modernità, quel Bodin fondatore della sovranità, non casualmente imbevuto di filosofia neo-platonica e plotiniana che aveva comunque posto in cima alle fonti del diritto la legge divina e il Kelsen in cui la fonte suprema è la ormai secolarizzata Grundnorm statale)  in favore di un modello fondato sull'originarietà del processo (p. 147). A quei lettori che frequentando anche solo raramente le aule dei tribunali si stanno chiedendo perplessi cosa possa esserci di “classico” in esse, rimandiamo ai numerosi studi dedicati alla argomentazione retorica giudiziale (Perelman, Giuliani, Cavalla e lo stesso Manzin) in cui si evince quali e quante conseguenze implicherebbero l'assunzione di un tale modello per l'assetto istituzionale dello stato, primo fra tutti quello più tangibile della formazione non funzionariale dei giudici e quindi della sostanziale separazione del potere giurisdizionale dal potere esecutivo.
Quale mentalità filosofica, fra quelle contemporanee, sarebbe più adatta dunque ad accogliere e continuare l'elaborazione giuridico-filosofica contenuta in “Ordo iuris”? Certamente non i prosecutori del pensiero utopistico marxista i quali «dopo aver vanamente ( e tragicamente) tentato di far coincidere l’idea di ordine con quella d’individualità, sopprimendo le differenze specifiche che formano l’identità personale di ogni uomo e la sua possibilità di relazionarsi con gli altri, ha[nno] sposato l’assunto nichilistico che sperimentiamo ai nostri giorni, in base al quale ogni comportamento individuale, per il solo fatto di esserci, ha dignità e diritti pari a qualsiasi altro : forma socialmente presentabile e politically correct dell'intramontabile assillo egualitario che non cessa di affliggere le vicende dell'occidente». (p. 146). Tantomeno tutti quegli «interpreti che da “destra” o da “sinistra”, si rifanno a Nietzsche e ad Heidegger (e al Nietzsche di Heidegger) per spiegare la deriva del pensiero occidentale. Per tutti costoro il merito, o la colpa, di tale “deriva” andrebbero ascritti al cristianesimo (o al “giudeo-cristianesimo”) e prima ancora allo stesso Platone e alla sua ontologia» (p. 148). Non meno inadeguate sarebbero le filosofie d’ispirazione neotomistica che si rifanno in chiave positiva alle critiche mosse da Heidegger al pensiero occidentale e in particolare al «pensiero identitario e alla sua ansia sistematizzante e gerarchizzante» (p. 155). In ultimo non potrebbero cogliere appieno il senso delle speculazioni contenute in questa ricerca quegli studiosi  seguaci dell’islamista Henri Corbin propugnatore della teologia apofatica (o negativa) e della ontologia integrale, cioè di quella «dottrina che si fonda sul presupposto della simultaneità dell'essere nell'Uno e nei molti, senza la quale l'essere stesso risulterebbe indifferenziato» (pp. 32-35).
Quale dunque il bagaglio filosofico più idoneo per approcciare questo importante studio di filosofia del diritto? Certamente chi voglia adottare l'interpretazione classica può trovare in Platone e San Giovanni i più autentici custodi della differenza e far propria l'esortazione finale di Manzin che facciamo nostra e con la quale vogliamo chiudere questa recensione:
«Adesso – come sempre – è il tempo della Parola, del logos.
Tempo in cui superare quel silenzio ricordandolo; tempo in cui ricordarlo così come esso riecheggia, trattenendo la differenza nella sua unità originaria, prima di ogni determinazione ordinata.
En arche en o logos».

Maurizio Manzin è professore ordinario di Filosofia del diritto nell'Università di Trento. Dirige il Cermeg, Centro di Ricerche sulla Metodologia Giuridica (www.cermeg.it), di cui è stato uno dei fondatori. Da anni si occupa della questione del metodo nella scienza giuridica e dello sviluppo della logica giudiziale, con particolare attenzione al periodo tardo-antico e pre-umanistico: a questi argomenti ha dedicato alcune monografie e numerosi articoli, comparsi in riviste scientifiche e miscellanee sia in Italia che all'estero.

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