27/06/15

Sua Santità il Dalai Lama compie ottant’anni

Notarella biografica 

Dal 1391 sino ai giorni nostri nel Tibet si sono reincarnati quattordici Dalai Lama. Sono chiamati "Sua Santità" e considerati dei Bodhisattva, cioè grandi maestri spirituali che hanno ormai superato il giogo delle morti-rinascite, ma tornano a reincarnarsi per aiutare l'umanità. Ogni Dalai Lama predice l'epoca e il luogo della sua reincarnazione e anche il Grande Tredicesimo Dalai Lama aveva annunciato che sarebbe rinato poco dopo nel Nord-Est del Paese. Così avvenne. In che modo fu rintracciato il nuovo Dalai Lama? Due anni dopo la morte del Grande Tredicesimo, nel 1935, fu nominato un Reggente, che si assunse la responsabilità della ricerca del Quattordicesimo Dalai Lama. Il Reggente ebbe la visione di tre lettere dell'alfabeto tibetano, d'un monastero color verde-giada e oro, e d'una casa con le tegole color turchese. Prese nota di ogni dettaglio della visione, e pose sottochiave una copia sigillata dello scritto, così che non potesse essere modificato in seguito. Dopo varie ricerche, finì per incamminarsi nel villaggio di Taktser, a NordEst del Tibet. A un certo punto si trovò di fronte una casa dal tetto color turchese, presso un monastero color verde-giada e oro. Come esige il protocollo, egli, entrando in quella casa, nascose la sua identità: si presentò sotto le false spoglie d'un servo, facendo passare il suo servo per suo padrone. Senza sospetto, fu accolto e condotto in cucina a mangiare insieme agli altri servi. Qui egli vide un bambino di due anni che, trascurando i suoi giocattoli, gli corse incontro gridando: «Lama! Lama!», e gli si sedette in grembo.
Poi il bimbo afferrò un rosario, che era appartenuto al Grande Tredicesimo,
 ed esclamò: «È mio. Posso averlo, per favore?». «Si', puoi averlo; ma devi dirmi chi sono io!», gli ribatté il Reggente. «Tu sei Sera-aga», rispose il bimbo. Sera-aga,
 nel dialetto locale, significa un lama del monastero di Sera, a Lhasa. (Da notare che il bimbo non aveva mai sentito parlare quel dialetto in casa).
A questo punto, il bimbo fu sottoposto all'accurato esame di una commissione
di ricerca: seppe dire immediatamente il nome di tutti i commissari e scelse prontamente, tra tanti breviari, rosari e bastoni da passeggio, quelli appartenuti al Tredicesimo Dalai Lama. Era stupefacente, in un bambino di due anni, la compostezza, la ponderazione, l'autocontrollo che dimostrava. Fu dunque proclamato Quattordicesimo Dalai Lama.
L’educazione di Sua Santità iniziò all’età di sei anni e venne completata con il conseguimento del titolo di Geshe Lharampa (Dottorato in filosofia buddista) all’età di 25 anni, nel 1959. All’età di 24 anni affrontò gli esami preliminari in ciascuna delle tre università monastiche: Drepung, Sera e Ganden. L’esame finale avvenne nello Jokhang, a Lhasa durante il Festival annuale di preghiera detto Monlan, che si tiene il primo mese di ogni anno del calendario tibetano.
Sin dal 1967, Sua Santità ha intrapreso una serie di viaggi che lo hanno portato in circa 46 nazioni. Nell’autunno del 1991 ha visitato gli Stati Baltici su invito del presidente lituano Vytautas Landsbergis ed è stato il primo leader straniero a rivolgersi al parlamento lituano. Nel 1973, fu ricevuto in Vaticano da Paolo VI, il quale disse: «Vostra Santità viene a noi dall'Asia, la culla delle antiche religioni e delle umane tradizioni che sono giustamente tenute in profonda venerazione». E aggiunse: «Questi modi di condotta e questi insegnamenti di altre religioni rispecchiano i raggi di verità eterna da cui tutti gli uomini sono illuminati».
Sua Santità ha incontrato papa Giovanni Paolo II, nel 1980, 1982, 1986, 1988 e 1990 in Vaticano. Nel 1981, Sua Santità ha conferito con l’arcivescovo di Canterbury, il dottor Robert Runcie e con gli altri leaders della chiesa Anglicana, a Londra. Ha incontrato anche le autorità della chiesa Cattolica e della Comunità ebraica. In occasione di un dialogo interreligioso tenuto in suo onore dal Congresso Mondiale delle fedi ha detto: “Ho sempre creduto che sia molto meglio avere una varietà di religioni, una varietà di filosofie, piuttosto che una sola religione o filosofia. Questo è necessario per via delle differenti disposizioni mentali di ciascun essere senziente. Ogni religione ha certe idee o tecniche che le sono proprie e impararle può solo essere di arricchimento per la fede di ognuno”.
Sua Santità spesso ha detto: “Io sono un semplice monaco buddista, né più, né meno”.
Sua Santità vive la vita di un monaco buddista, risiedendo in una piccola abitazione a Dharamsala si alza alle 4 del mattino per meditare, successivamente si occupa della programmazione dei suoi incontri concernenti le questioni amministrative, concede udienze private, impartisce insegnamenti religiosi e presenzia a cerimonie rituali. Conclude la sua giornata con ulteriori preghiere prima del riposo notturno. Nel dichiarare le sue più grandi fonti di ispirazione egli cita spesso i suoi versi preferiti che si trovano negli scritti di un famoso santo buddista dell’ottavo secolo, chiamato Shantideva: “Per quanto a lungo durerà lo spazio e per quanto a lungo resteranno delle creature viventi in esso, fino ad allora anch’io ci sarò per sconfiggere la sofferenza del mondo”.
Per ultimo, una curiosità con buon pace di vegani e vegetariani: il Dalai Lama  mangia poco ma di tutto, anche la carne.

René Guénon sul Dalai Lama

Da qualche tempo informazioni di fonte inglese, e quindi evidentemente interessate, ci rappresentano il Tibet come invaso da un esercito cinese, e il Dalai Lama in fuga davanti a questa invasione, pronto a chiedere aiuto al governo delle Indie per restaurare la propria autorità minacciata. È perfettamente comprensibile che gli Inglesi pretendano di aggregare il Tibet all’india, dalla quale tuttavia lo separano ostacoli naturali difficilmente superabili, e che essi cerchino un pretesto per penetrare nell’Asia centrale, dove nessuno pensa a invocare il loro intervento. La verità è che il Tibet è una provincia cinese, che da secoli dipende amministrativamente dalla Cina e che di conseguenza quest’ultima non deve affatto conquistarlo. Quanto al Dalai Lama, non è e non è mai stato un sovrano temporale, e la sua potenza spirituale è fuori dalla portata di mano degli invasori, chiunque essi siano, che potrebbero introdursi nella regione tibetana. Le notizie allarmanti che attualmente si cerca di diffondere sono dunque prive di ogni fondamento; in realtà, vi sono semplicemente stati alcuni atti di saccheggio commessi da una banda di rapinatori, ma, come abbastanza spesso avviene in questa regione, non c’è nessuno che se ne preoccupi seriamente. Approfitteremo di questa occasione per rispondere a certe domande che ci sono state poste circa il Dalai Lama; ma, perché non ci si possa accusare di fare delle affermazioni dubbie e non basate su alcuna autorità, ci limitiamo a riprodurre i passi più importanti di una Correspondance d’Extrême-Orient pubblicata su “La Voie” (nn. 8 e 9). Questa corrispondenza apparve nel 1904, nel momento in cui una spedizione inglese comandata dal colonnello Younghusband tornava da Lhassa con un preteso trattato, in calce al quale non figurava nessuna firma tibetana. “Gli inglesi riportavano dall’altopiano tibetano un trattato che era stato firmato soltanto dal loro capo e non era dunque per i tibetani né un impegno né un obbligo. L’intrusione inglese a Lhassa non poteva avere nessuna influenza sul governo tibetano e meno ancora su quella parte della religione tibetana che bisogna considerare come l’antenata di tutti i dogmi; ancor meno sul simbolo vivente della Tradizione”. Ecco alcuni particolari sul palazzo del Dalai Lama, dove nessuno straniero è mai penetrato. “Questo palazzo non si trova nella città di Lhassa, ma sulla cima di una collina isolata nel mezzo della pianura e situata a circa un quarto d’ora a nord della città. Esso è quasi circondato e rinchiuso da un gran numero di templi costruiti come dinh (pagode confuciane), dove abitano i Lama che sono al servizio del Dalai Lama; i pellegrini non varcano mai l’ingresso di questi dinh. Lo spazio che si trova al centro di questi templi disposti in cerchio l’uno accanto all’altro è un gran cortile quasi sempre deserto, in mezzo al quale si trovano quattro templi di forma diversa, ma disposti in maniera da formare un quadrato. Al centro di questo quadrato c’è la dimora personale del Dalai Lama. I quattro templi sono di grandi dimensioni, ma non sono molto elevati, e sono costruiti press’a poco secondo il modello delle abitazioni dei viceré o dei governatori delle grandi provincie dell’Impero cinese; sono occupati dai dodici lama chiamati Lama Namshan, che costituiscono il consiglio circolare del Dalai Lama. Gli appartamenti sono riccamente decorati, ma vi si vedono solo i colori lamaisti, il giallo e il rosso; sono suddivisi in più stanze, le più grandi delle quali sono le “sale della preghiera” . ma, salvo rare eccezioni, i dodici Lama Namshan non possono ricevere nessuno nei loro appartamenti interni; i loro stessi servi rimangono negli appartamenti esterni, così chiamati perché di li non è possibile vedere il palazzo centrale. Quest’ultimo occupa il centro del secondo quadrato ed è da ogni parte isolato dagli appartamenti dei dodici Lama Namshan; è necessario un invito speciale e personale del Dalai Lama per oltrepassare questo spazio interno. Il palazzo del Dalai Lama si rivela agli occhi degli abitanti degli appartamenti interni solo attraverso un grande peristilio che lo circonda tutto, come in tutti gli edifici dell’Asia meridionale; questo peristilio è costituito da quattro ranghi di colonne che sono, dall’alto al basso, ricoperte d’oro. Nessuno abita al pianterreno del palazzo, che si compone unicamente di vestiboli, di sale di preghiera, di scalinate gigantesche. Il palazzo consta di tre piani: il primo è del colore della pietra, il secondo è rosso, e il terzo è giallo. Sopra al terzo piano, a guisa di tetto, si innalza una cupola perfettamente rotonda e ricoperta di lamine d’oro; questa cupola la si vede da Lhassa, e da un punto assai lontano nella valle, ma i templi interni ed esterni nascondono la vista dei piani. Solo i dodici Lama Namshan conoscono la distribuzione dei piani nel palazzo centrale e sanno che cosa vi avviene; è al piano rosso e al centro, che si tengono le riunioni del consiglio circolare. L’insieme di queste costruzioni è grandioso e maestoso, coloro che hanno l’autorizzazione di circolarvi sono tenuti a conservare il silenzio”. (Nguyen Van Chang, Le Palais du Dalai Lama, La Voie n.8 novembre 1904). 
     Ecco adesso quello che concerne il Dalai Lama stesso: “Quanto alla persona del Dalai Lama, che si credeva di vedere (al momento dell’intrusione inglese) coercita e profanata da sguardi stranieri, bisogna dire che tale timore è ingenuo e che, né ora né mai, esso potrebbe essere giustificato. La persona del Dalai Lama si manifesta solo al piano rosso del grande palazzo sacro, quando i dodici Lama Namshan vi si trovano riuniti in certe condizioni e per ordine di colui che li governa. Sarebbe sufficiente la presenza di un altro uomo, di chicchessia, e il Dalai Lama non apparirebbe; e vi è più di una impossibilità materiale che impedisce che la sua presenza venga profanata; egli non può trovarsi là dove si trovano i suoi nemici o anche semplicemente degli estranei. Il Papa dell’Oriente, come lo chiamano (assai impropriamente) i fedeli del Papa d’Occidente, non è uno di quegli esseri che vengono sottoposti a spoliazione o a costrizione, perché non è soggetto a potere umano, egli è sempre il medesimo, oggi come nel giorno remoto in cui si rivelò a quel Lama profetico  che i Tibetani chiamano Issa e che i cristiani chiamano Gesù”. (Nguyen Van Chang, Le Palais du Dalai Lama, La Voie n. 9, 15 novembre 1904). Tutto ciò dimostra a sufficienza che il Dalai Lama non può trovarsi in fuga, né adesso né al momento in cui venivano scritte le righe riportate più sopra, e che non si può pensare né destituirlo né ad eleggergli un successore; da tutto ciò si vede parimenti quanto valgono le affermazioni di certi viaggiatori che, avendo più o meno esplorato il Tibet, pretendono di aver visto il Dalai Lama; non è il caso di attribuire la minima importanza a tali resoconti. Noi non aggiungeremo nulla alle parole che abbiamo riferite, parole che provengono da una fonte assai autorevole, si comprenderà d’altronde che una tale questione non è una di quelle che possono essere trattate pubblicamente senza riserve, tuttavia abbiamo ritenuto che non fosse né inutile né inopportuno dirne qualcosa in questa sede.
                                                        T. Palingenius

Da: “LA GNOSE” n.5 marzo 1910.


Nostro commento:

Dobbiamo allora concludere che l’attuale Dalai Lama sia un impostore? Francamente non lo sappiamo, né siamo in grado di rispondere a questa difficile e impegnativa domanda con sufficiente autorevolezza e chiaroveggenza. Confessiamo, dopo aver letto l’articolo di Guénon, di averci riflettuto per oltre un ventennio, senza riuscire ad arrivare a una conclusione non diremmo certa (cosa che riteniamo impossibile), ma almeno in via teorica verosimilmente attendibile.  Abbiamo deciso perciò di sospendere il giudizio e di limitarci, anche in questa sede, a sollevare il problema, lasciando ad altri (ai buddisti italiani in primis, ma anche ai conoscitori di prima mano del Tibet e ai tibetologi) l’arduo compito di affrontarlo. Sempre ammesso che esistano, tra i nostri lettori, tibetologi, buddisti critici, buddisti indipendenti o, infine, buddisti “sedevacantisti” non animati da fanatismo religioso.




17 commenti:

  1. Tocca dire che è un articolo giovanile di Guénon e che forse risente di alcune suggestioni dell'ambiente occultistico parigino di cui Guénon si è poi liberato rapidamente nel decennio successivo.
    Nei primi scritti di Guénon in effetti sono spesso presenti suggestioni gnostiche cui in seguito non si è più fatto accenno (mi riferisco chiaramente allo gnosticismo inteso come eresia cristiana e non alla vera gnosi).
    In un articolo giovanile in particolare Guénon definisce addirittura la religiosità come una degenerazione, tuttavia negli scritti successivi è evidente come abbia completamente abbandonato una simile erronea visione, presumibilmente dopo essersi avveduto della distinzione tra esoterismo ed essoterismo propria di una tradizione religiosa come quella dell'Islam.

    Non è possibile sapere se la parte riguardante il Dalai Lama rientra nelle informazioni imperfette di Guénon giovane ma di certo vi rientra l'accenno finale sul Gesù gnostico/buddhista.
    Lo stesso Guénon implicitamente lo suggerisce visto che in tutte le opere successive il Cristo è un avatara e non un semplice maestro ebreo iniziato in oriente.
    D'altro canto quella di Gesù istruito in Tibet è un'assurdità diffusa soprattutto dalla società teosofica e, al giorno d'oggi, dai peggiori gruppi di pseudo-buddhisti new age occidentali. È evidente che tali "buddhisti" e le loro dottrine stanno al vero buddhismo come il calvinismo sta al cristianesimo.

    RispondiElimina
  2. Gentile Amico,
    la ringrazio molto per il commento arricchente. Che il Guénon non sia mai stato proprio un’autorità in materia di Buddhismo è cosa nota e dimostrata ampiamente; come pure la sua più matura avversione nei confronti di quella specifica tradizione da lui ritenuta “eretica”, se non altro rispetto all’ortodossia hindù. Fu poi se non erro il Coomaraswamy a fargli cambiare idea. L’articolo, comunque, pur essendo scritto da un Guénon ancora in erba e vittima di certe semplificazioni e ingenuità di matrice occultista, poneva, sostanzialmente , il problema in termini che a me paiono corretti e attuali.

    RispondiElimina
  3. Occorre dire che le forme più comuni di Buddhismo "pop" per occidentali che si possono trovare in Europa ed America sono palesemente pseudoiniziatiche.
    Mi riferisco in particolare a quanti hanno trovato nel buddhismo una sorta di passatempo laico per atei e nella meditazione solo un mezzo per ottenere vaghi benefici esclusivamente psicologici.
    Allo stesso modo molti sedicenti "esoteristi buddhisti" dell'occidente sono promotori di leggende anticristiane che vorrebbero identificare il vero messaggio di Gesù con uno di tipo gnostico/buddhista che però è stato volutamente oscurato successivamente dal "malvagio" S.Paolo. Per dire quanto questo sia ridicolo basterebbe far presente che gli gnostici facevano proprio di S.Paolo un loro maestro e interpretavano alcuni passaggi delle sue lettere in maniera gnostica.
    D'altro canto l'origine di questa storia è proprio nella società teosofica, contro la quale Guénon ha detto tutto quel che si doveva dire.

    Ovviamente di questo non possiamo incolpare il vero Buddhismo che anzi è stato una via di realizzazione per molti tradizionalisti che sono riusciti a mettersi in contatto con i suoi veri centri.

    RispondiElimina
  4. Guénon, per l'articolo sul Dalai Lama, si rifaceva interamente alla fonte che egli riteneva autorevole: il taoista Nguyen Van Cang. Lo stesso Guénon fece un veloce accenno ai dodici Lama Namshan anche nel suo volume Re del Mondo.

    Chiaramente Nguyen Van Cang descriveva in modo approssimativo il mandala di Avalokitesvara (ricordo che il Dalai Lama è una emanazione di Avalokitesvara) e perciò non aveva in mente il palazzo in muratura che oggi un qualsiasi turista può tranquillamente visitare a Lasha.

    E' il mandala con al centro Avalokitesvara (Cherensi in tibetano) che intendeva anche T. Palingenius. Bisogna sapere che un mandala o il palazzo di un Istha devata (Yidam in tibetano) è visibile solamente a coloro la cui visione è pura, e possono penetrare il mandala/palazzo solamente coloro che hanno ricevuto il permesso iniziatico dall'Istha devata principale, perciò se ne deduce tranquillamente che è impossibile per un profano arrivare al centro del palazzo al cospetto di Avalokitesvara/Dalai Lama.
    Come dice Nguyen Van Cang :”La persona del Dalai Lama si manifesta solo al piano rosso del grande palazzo sacro, quando i dodici Lama Namshan vi si trovano riuniti in certe condizioni e per ordine di colui che li governa. Sarebbe sufficiente la presenza di un altro uomo, di chicchessia, e il Dalai Lama non apparirebbe”.

    Il Dalai Lama al centro del Potala è l'emanazione di Avalokitesvara, il “Dalai Lama” (un essere umano) fuori dal Potala è un semplice monaco.

    Questo illustra pienamente le parole di Guénon:
    “Tutto ciò dimostra a sufficienza che il Dalai Lama non può trovarsi in fuga, né adesso né al momento in cui venivano scritte le righe riportate più sopra, e che non si può pensare né destituirlo né ad eleggergli un successore; da tutto ciò si vede parimenti quanto valgono le affermazioni di certi viaggiatori che, avendo più o meno esplorato il Tibet, pretendono di aver visto il Dalai Lama; non è il caso di attribuire la minima importanza a tali resoconti”.

    S.

    RispondiElimina
  5. Ringrazio Anonimo e il Sig. S per i validi commenti.

    RispondiElimina
  6. 1) I viaggi i Kashmir od in Irlanda del Cristo erano dovuti soprattutto alla questione delle tribù perdute di Israele

    2) Gesù Cristo il Nazareo non è un avatar ma Ishwara stesso, semmai

    3) non fu la società teosofica a dichiare per prima tale stupidità, ma Ferdinand Baur con la sua scuola all'università di Tubinga in pieno hegelismo.

    daouda

    RispondiElimina
  7. Ringrazio anche Daouda per le precisazioni.

    RispondiElimina
  8. Forse è tempo di non prendere per oro colato quanto scritto dal francese Guènon, che spesso irrora con la sua idiosincrasia non pochi dati tradizionali. L'equazione personale non è disgiunta dall'opera. Quanto al Dalai Lama, ho l'impressione che il suo peregrinare per le contrade d'Occidente, non l'abbia reso immune da contaminazioni, ad uso e consumo profano. Le mode vanno e vengono. Le ubriacature orientaliste degli anni '60 in California si sono propagate a macchia d'olio. Alcuni hanno abbracciato il buddhismo ortodosso, con serietà e impegno, altri, la maggioranza (credo) ha solo snobbato le proprie radici in favore di una rimasticatura filosofica e devozionale della corrente tibetana, magari praticando la meditazione alla maniera di Osho o di altri transfughi.
    Pallis e Tucci, credo siano gli unici che abbiano avuto accesso a certi elementi dottrinali autentici del Tibet. Guènon ignorando la lingua, difficilmente poteva dire qualcosa di originario, infognato com'era con l'induismo, non scorgeva in Buddha la grandezza e la profondità dell'opera del principe.
    L'attuale capo spirituale del Tibet possiede la trasmissione spirituale dai suoi predecessori, ma non necessariamente l'ha mantenuta integra nel tempo. Siamo uomini, e perfino i papi tralignano...

    RispondiElimina
  9. Caro Angelo,
    Guénon nonostante tutto (con i limiti che sappiamo) rimane, almeno a mio modo di vedere, la stella polare dell’approccio tradizionale alle verità religiose, metafisiche e spirituali. Nessuno riesce a stargli alla pari, neanche quel gigante di Coomaraswamy. Naturalmente, si può fare a meno di Guénon (come di tanti altri autori), ma non se ne può prescindere se si adotta quel particolare punto di vista. Anche tu, mio caro Angelo, sei un suo figlio - o figliastro se preferisci. Detto questo, vorrei solo far notare che l’articolo di Guénon è stato scelto solo come intelligente “spunto” per aprire una discussione sull’autorità e autorevolezza dell’attuale Dalai Lama. E’ lui stesso a dirci oggi che forse non avrà successori e che il titolo di cui si fregia e che il buddhismo tibetano gli riconosce potrebbe avere gli anni contati. E’ singolare che anche il nostro attuale Papa Francesco che ha definito la Curia Romana «l’ultima corte d’Europa», stia preparando una “riforma” che coinvolgerà la stessa figura del Pontefice. Segni dei tempi, presagi, fine della storia sacra e regno dell’Anticristo alle porte?

    RispondiElimina
  10. Scusate, lo chiedo assolutamente da profano (con tutti i limiti che questo approccio
    può porre, nel parlare di delicati argomenti):

    Questo mandala/palazzo, è da intendersi come un simbolo? Una realtà sottile per soli iniziati?

    Se il Dalai Lama al centro del Potala è l'emanazione di Avalokitesvara, il “Dalai Lama” (un essere umano) fuori dal Potala è un semplice monaco, mi sfugge il motivo per cui non potrebbe comunque comportarsi da "monaco", viaggiando per il mondo.

    E se l'attuale Dalai Lama fosse un "impostore", a che pro tutto ciò, sarebbe una mistificazione voluta?

    RispondiElimina
  11. Caro Fabrizio,
    io non sono proprio un esperto di buddhismo, anche se ho sempre avuto ed ho tutt’ora una grande simpatia e ammirazione per questa illustre tradizione. Lo stesso Panunzio ne era molto attratto e un Francois Chenique, cultore di Guénon e collaboratore di Jean Borella, conciliava la doppia appartenenza al buddhismo e al cristianesimo; idem un Raimundo Panikkar. Miguel Serrano, il famoso tradizionalista cileno, era un profondo estimatore dell’attuale Dalai Lama, ergo ne riconosceva il carisma e l’autorità. Io francamente non so se i precedenti Dalai Lama vivessero nel nascondimento e si limitassero a svolgere la funzione di “motori immobili” o di “signori della Ruota”. Certo è che se così fosse dovremmo se non altro parlare di un decadimento di questa figura, ovvero di un suo semplice adattamento ai tempi “ferrigni” che viviamo. Un eccessiva presenza sui media, a mio modo di vedere, fa perdere aura al personaggio, così come un eccesso di notorietà. Il fatto è che il Dalai Lama svolge un ruolo politico ed ha delle gravi responsabilità nei confronti del popolo tibetano e non si può pensare che possa svolgere questo compito rimanendo nascosto nella sua cella o nel suo Palazzo. Ciò detto, rimane il fatto di una sua possibile manipolazione da parte di terzi (il suo entourage? la CIA? Altri?) e di un suo eccesso di ingenuità.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Caro Aldous concordo che oggi la critica facile al Dalai Lama ed altre Tradizioni serie porti solo all'affermazione di forze contrarie alla Tradizione sarebbe meglio un'alleanza strategica...anche se sospetto che alcuni lo vogliono usare come cavallo di troia....ma quel Miguel Serrano è impresentabile tipi del genere fanno scappare le persone da queste tematiche

      Elimina
    2. Caro Sig. Costa, Serrano per molti aspetti è stato un personaggio folkloristico (il suo hitlerismo magico è fantasmagorico e risibile), ma non si può negare che fu anche una personalità carismatica e di una certa caratura culturale. Ergo, prese le opportune distanze, il suo giudizio sul Dalai Lama ha il suo peso. Sul rischio "cavallo di troia" siamo d'accordo, ma non credo che ci siano alternative. Rimanere chiusi in se stessi temo sia peggio.

      Elimina
  12. Mi permetto di dare una parvenza di risposta a Fabrizio.
    Semplificando al massimo, si può dire che un mandala è il palazzo di una Divinità, e questo palazzo è situato in un campo (mondo celeste) puro, una terra pura, una terra di un Buddha. Il Potala è la terra pura di Avalokitesvara visibile solamente ai realizzati, e pertanto il palazzo che porta questo nome a Lasha in Tibet era l'immagine visiva di tale realtà celeste, utile per gli esseri ordinari che non possedevano la visione pura dei realizzati. Il Dalai Lama simbolizzava Avalokitesvara nella sua terra pura il Potala. Se un essere ordinario avvicinava questo simbolo vedeva un edificio popolato di monaci, mentre se un realizzato avvicinava il Potala, vedeva la terra pura di Avalokitesvara. Non so se è chiara la differenza. Il giovane Guénon si riferiva alla visione dei realizzati e non quella degli esseri ordinari.

    Se il Dalai Lama abbandona il Potala non esiste più tale forte simbolo visivo, e pertanto il Dalai Lama non è più il Dalai Lama inteso come emanazione di Avalokitesvara nella sua terra pura, ma appunto il Dalai Lama come semplice monaco (per cui può comportarsi come meglio crede e il suo comportamento riguarda esclusivamente la sua vita spirituale ), è un Lama che si può stimare per la sua grande sapienza, per la sue sue capacità umane, ma nulla di più. In Occidente si è formata la falsa immagine di un Dalai Lama simile ad una specie di Papa buddhista, figura che, però va specificato, non ha nulla a che vedere con la funzione che svolgeva nella civiltà tibetana ancora integra.

    D'altronde la feroce controversia che si svolge da anni nella comunità tibetana della diaspora, riguarda proprio questo argomento.

    S.

    RispondiElimina
  13. Rimane sempre il discorso che essere realizzati vuol dire troppe cose. Quando Guénon ad esempio dice che l'orgoglio non può essere "metafisico" ,quando si riferisce invece all'àmbito informale giacché parlava dell'intelletto umano, è evidentemente in errore.
    Ergo realizzarsi di per sé non è affatto una garanzia, sarebbe sempre da ricordarlo questo.

    daouda

    RispondiElimina
  14. Grazie per il suo commento di approfondimento Signor S.

    RispondiElimina
  15. Sì ma ai fini della realizzazione di per sè non comporta nulla, a meno che, viste apputo determinate controversie, non sia inerente al bisogno di mantenere attiva la catena.

    daouda

    RispondiElimina