Pietrangelo
Buttafuoco, Il feroce Saracino. La guerra dell'Islam. Il Califfo
alle porte di Roma , Bompiani, Milano, pagg. 208, € 12,00
di Giacomo Guarini
Nell’ultima pubblicazione a firma
Pietrangelo Buttafuoco (“Il feroce saracino”, Bompiani, 2015) si parla
di Islam, e se ne parla con lo stile e le suggestioni così peculiari
dell’autore.
Si parla di quell’Islam che ha impresso segni
indelebili nella cultura europea (con i viaggi ultraterreni che Dante ha potuto
compiere anche grazie a Ibn Arabi) e che ha lasciato tracce vive nella stessa
terra natìa di Buttafuoco, quella Sicilia “sfacciatamente islamica”
ove tutto o quasi, dalla toponomastica fino alle processioni del Venerdì Santo,
diventa richiamo dell’antica presenza islamica. Vi è poi l’Islam delle
rappresentazioni nostrane, quelle esotizzanti (che si possono trovare in
Salgari o in un albo di Tintin), comiche (con il turco napoletano di Totò e la spassosa
rassegna cinematografica richiamata nelle prime pagine), fino ad arrivare
all’Islam mediatico dei recentissimi giorni, quello della tragedia e del
terrore, delle ‘Primavere’ insanguinate del Vicino Oriente, dell’ISIS e della
strage dell’Hebdo.
Ed è proprio dalle riflessioni sulla tragica attualità che le parole dell’autore, ancorché intrise di polisemici riferimenti letterari, allegorici ed esoterici, possono offrire al lettore anche chiare chiavi di lettura di importanti e attuali dinamiche nelle relazioni internazionali. E così emerge dal testo un legame in odore di perversione e paradosso fra l’Occidente modernista e l’Islam fondamentalista. Entrambi, in diverse forme e misure, coinvolti nella destabilizzazione del Vicino Oriente, dalla Libia alla Siria, per ritrovarsi dalla stessa parte della trincea anche nella contrapposizione all’Iran, alla Russia e alla Cina.
Ed è proprio dalle riflessioni sulla tragica attualità che le parole dell’autore, ancorché intrise di polisemici riferimenti letterari, allegorici ed esoterici, possono offrire al lettore anche chiare chiavi di lettura di importanti e attuali dinamiche nelle relazioni internazionali. E così emerge dal testo un legame in odore di perversione e paradosso fra l’Occidente modernista e l’Islam fondamentalista. Entrambi, in diverse forme e misure, coinvolti nella destabilizzazione del Vicino Oriente, dalla Libia alla Siria, per ritrovarsi dalla stessa parte della trincea anche nella contrapposizione all’Iran, alla Russia e alla Cina.
L’autore, è indubbio, conosce bene le
dinamiche geopolitiche, gli interessi che ne sono causa e i conflitti che ne
sono effetto. Ma tutto ciò, nella sua sensibilità, non può limitarsi alla
fredda analisi di dinamiche umane, e diventa invece simbolo che richiama a
significati metafisici ed escatologici. E così la tragedia che incombe sul
popolo siriano dal 2011 diventa preludio dell’apocalittica islamica, che
proprio nella Siria (lo Sham coranico) vede un epicentro fondamentale,
il luogo dal quale verranno i molteplici segni dell’approssimarsi della “notte
dell’umanità” (alcuni così macabramente attuali, come avrà modo
d’accorgersi il lettore). Ancora, l’attuale frattura, sempre più profonda, fra
sunniti e sciiti non è solo ricondotta ad una perversa commistione di
destabilizzazione e volontà di dominio – divide et impera – ma è espressione
della fitna, la divisione della comunità musulmana il cui acuirsi è
presagito come ulteriore segno dei tempi e che ha potuto trovare – fra le
innumerevoli rappresentazioni mediatiche – espressione particolarmente tragica
nella strage di Charlie Hebdo, e in particolare nell’uccisione del poliziotto
musulmano da parte di uno degli attentatori: “resta un fotogramma: un
musulmano che spara a un altro musulmano (…). Il primo uccide in nome di Allah,
il secondo muore invocandolo”.
Anche la risposta dell’autore all’oscurità
dei tempi presenti sembra non poter che attingere all’apocalittica islamica,
con Gesù che, assieme al Mahdi (il ben Guidato), metterà pace sulla terra
sconfiggendo il Male (ma per i sunniti, ricorda l’autore, Gesù e il Mahdi sono
la stessa persona).
Impietose appaiono le riflessioni offerte sull’attuale
condizione dell’Occidente; di fronte quel che appare come l’inesorabile
disfacimento di una civiltà l’autore ricorda il gesto, simbolico e terribile,
del suicidio di Venner a Notre Dame del 2013, con il quale l’intellettuale
francese ha sublimato la protesta nei confronti del ‘suicidio’ della propria
civiltà, ancorché così facendo si sia precluso il passaggio ulteriore alla
conversione (all’Islam, s’intende).
È dall’Eurasia che può venire la salvezza per
l’Occidente o, più correttamente, per l’Europa; questo sembra voler
continuamente affermare l’autore anche in altri scritti. La (re)integrazione
fra Europa e Asia sul piano politico, economico e culturale può dar nuova linfa
spirituale alla stessa Europa. Emergono infatti nel contesto globale nuove
potenze, Russia e Cina in testa, ma anche l’India e – a livello regionale –
l’Iran, che con crescente consapevolezza vanno nuovamente ritrovando il proprio
spazio nel globo senza però disconoscere le proprie specificità culturali, né
quanto preservato – apertamente o nascostamente – del lascito millenario delle
rispettive civiltà. E non a caso, in un’intervista concessa su questi stessi spazi, l’autore
riferiva che “lo spirito russo è il lievito fondamentale” per
un’aggregazione continentale quale l’Eurasia e in questa prospettiva
d’integrazione il nostro stesso paese, l’Italia, dovrebbe riscoprire il
concetto di Via della Seta al pari della Cina, ed anche dell’Iran.
È l’Iran, da ultimo, che finisce per
configurarsi come il centro geografico-spirituale oggetto di incessanti
richiami nelle pagine del testo e, più in generale, nella produzione dell’autore.
In quest’epoca di tristi avvenimenti (e di oscuri presagi, nei passaggi
simbolico-escatologici del libro) l’Iran pare quasi finire per diventare la
nuova cinta muraria idonea a sbarrare il passo alle odierne orde di Gog e
Magog. Ed invero, anche dagli spunti e dalle suggestioni offerti dall’autore,
verrebbe quasi spontaneo vedere – per analogia – la Russia quale attuale punto
di riferimento per l’ecumene cristiana, in quanto nuovo katéchon, e
cioè – secondo una rilettura schmittiana del concetto paolino – quale forza
idonea a contenere e ritardare la venuta di quel Caos che sembrerà prevalere
negli ultimi giorni, prima del compimento della Parusia.
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