Roma,
1972 (circa) Nell'appartamento di Corso V. Emanuele, Julius Evola riceve il
giovane giornalista Gianfranco de Turris: sul tavolo la Olivetti "Lettera
32" e tra le mani dell'interlocutore un innocuo tagliacarte. Con un
bonario sorriso di sarcasmo, il filosofo gli si rivolge, dicendo: "Ecco
dunque la lama del nostro Ksatrija..."
“Julius Evola aveva una personalità multiforme, o
almeno un carattere variabile, umorale, o era addirittura lunatico come anche è
stato detto? E’ quel che si potrebbe pensare ascoltando le testimonianze
di quanti hanno avuto la possibilità di conoscerlo e frequentarlo, dato che ne
offrono rappresentazioni diverse, spesso assai diverse e quasi contrastanti fra
loro al punto di sembrare o invenzioni o descrizioni di persone differenti. E’
quel che mi è venuto di pensare – scrive Gianfranco de Turris sul Barbadillo.it
– ascoltando amici o estranei che mi hanno raccontato i loro incontri con
il filosofo e chiedendomi sempre quale fosse invece la mia personale
impressione: pur facendo la tara sul tempo trascorso, erano immagini troppo
distanti per non cercare una spiegazione. Come ripeto a tutti coloro che mi
interpellano a questo proposito, soprattutto chi per l’età non ha potuto
conoscere di persona Evola, io l’ho sempre trovato una persona
“normale”, senza eccentricità, bizzarrie, a parte il vezzo di prendere dal
cassetto della scrivania il monocolo e inforcarlo alla presenza di
signore e signorine; nessun atteggiamento di superiorità o da “maestro”,
nessuna saccenteria, e questo sin da quando andai a trovarlo per la prima
volta accompagnato da Adriano Romualdi, come avveniva per chi era
giovane tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta del
Novecento. Di certo avvenne dopo il 1968 quando avevo parlato di lui sul
mensile L’Italiano fondato e diretto da Pino Romualdi e
sul quale Adriano mi aveva invitato a collaborare (ed ero anche
retribuito!). Con lui si parlava pacatamente di tutto, purtroppo non di alcune
questioni cruciali di cui soltanto dopo, approfondendone vita e pensiero, avrei
voluto parlare col senno di poi. Questioni un po’ più “profonde” si
affrontarono solo verso la fine della sua vita, a dicembre 1973, quando
andai a trovarlo con Sebastiano Fusco ed avemmo una lunga conversazione
registrata che pubblicai però postuma, dodici anni dopo, in appendice alla
seconda edizione di Testimonianze su Evola (Mediterranee,
1985)».
La “scandalosa” intervista concessa
a Playmen
«Evidentemente si fece di me una opinione positiva –
continua de Turris – anche se non mi disse mai nulla in proposito, ma
sta di fatto che acconsentì a rispondere alle mie domande per una serie di
interviste (almeno quattro) su vari giornali e riviste, preso ormai dalla mia
mania “giornalistica” di divulgarne le opinioni rimaste sempre in ambiti
ristretti, più di quante sino a quel momento gli erano state fatte da
altri, e ora raccolte in Omaggio a Julius Evola (Volpe, 1973)
pubblicato per i suoi 75 anni. E, sempre per quella mia mania, ne propiziai
diverse tra cui quella, clamorosa, che apparve su Playmen (con
grande scandalo dei bacchettoni di destra e di sinistra) effettuata nel 1970 da
Enrico de Boccard che soltanto molto dopo appresi essere stato uno dei
“giovani” vicini a lui negli anni Cinquanta. Opinione positiva sua e di Adriano
che ho conosciuto soltanto abbastanza di recente quando furono pubblicati una
parte del suo epistolario italiano (Lettere di Julius Evola, a cura di Renato
Del Ponte, Arktos, 2005) e le lettere di Adriano al comune e
sfortunato amico Emilio Carbone (Lettere ad un amico, a cura
di Renato Del Ponte, Arya, 2013), tanto che il filosofo mi propose come
collaboratore della rivista che voleva pubblicare il compianto Gaspare
Cannizzo nonostante lui lo avesse sconsigliato e che uscì nel 1971
come Vie della Tradizione, e al Cahier de l’Herne dedicato a Gustav
Meyrink uscito dopo la sua morte».
Appassionato di Tex
«Una persona che parlava di tutto e di tutti, sino al
limite del pettegolezzo e raccontando barzellette, come un vecchio amico, senza
prosopopea e saccenteria o atteggiamenti da ”guru”. Almeno con me non
aveva alcuna cadenza o inflessione “alla romana”, pur essendo nato e
cresciuto nella capitale con qualche viaggio da ragazzino a Cinisi, il
paese di origine dei suoi dove ancora esiste la casa avita. Al massimo arrotava
“alla siciliana” la “r” iniziale delle parole essendo vissuto in una
famiglia di quelle origini. Insomma, tutt’altro che il personaggio che
emerge da altri ricordi. Ad esempio, un amico, che “evoliano” non è, mi ha
raccontato che andando a trovarlo insieme ad un devoto del suo pensiero,
questi, entrato nella sua stanza, si prosternò al suolo e quindi assorbì in
silenzio i precetti un po’ assurdi e fuori del tempo che Evola gli
dettava! Non posso pensare che questo amico si sia inventato
tutto. Viceversa, una volta ad altri che erano recati da lui con spirito
troppo superficiale, alla fine li congedò, come ha ricordato Renato Del
Ponte, regalando oro una copia di Tex, il fumetto western
allora (e oggi) il più longevo e diffuso, come dire, secondo me: siete più
adatti a questo genere di letture. A buon intenditor…».
La “Metafisica del sesso”
«Tutto ciò però si collega a quanto lo stesso Adriano
Romualdi mi raccontava allora. Ad esempio, che di fronte a certi che gli si
erano presentati dicendo: “Maestro, noi il lunedì ci riuniamo per leggere Cavalcare
la tigre, martedì Gli uomini e le rovine, mercoledì Rivolta
contro il mondo moderno….”, Evola li interruppe e chiese: “E quando
vi decidete a leggere Metafisica del sesso?”. Ad altri infervorati
consigliò, per far soldi, di darsi al traffico di armi o, meglio, alla “tratta
delle bianche”, come allora si diceva. In una delle sue ultime interviste, mi
sembra a Panorama o in quella pubblicata postuma da Il
Messaggero, disse che “il popolo bisogna trattarlo con la frusta”…. Cosa
vogliano dire queste singolari affermazioni rispetto alla personalità “normale”
che io ho conosciuto, ed hanno conosciuto anche altri? Dopo tanto tempo ho
tratto alcune conclusioni».
Incontrava tutti, amici e nemici
«Il filosofo accettava di vedere, di parlare con
tutti, senza preclusioni pur non conoscendo i suoi interlocutori, magari
giovani e meno giovani di altre città che venivano appositamente a Roma per
conoscerlo dopo aver letto i suoi libri. Prendevano un appuntamento e si
recavano da lui, e quando non era in casa la domestica/governante altoatesina
con cui parlava in tedesco, questa andandosene lasciava la chiave dell’ingresso
sotto lo stuoino e chi arrivava, preavvertito, la prendeva e apriva la porta (e
in teoria avrebbe potuto farlo anche qualche malintenzionato). Nel suo studio Evola
accoglieva i visitatori o a letto o seduto alla sua sedia di fronte alla
macchina da scrivere. Qui, io penso, si faceva una idea dei nuovi venuti grazie
al suo acume psicologico ma soprattutto al suo intuito “sottile”, e si
comportava di conseguenza, e quindi usava atteggiamenti, argomenti e
soprattutto parole adatte alla bisogna. Oppure non ne usava affatto: come
racconta Gaspare Cannizzo in un articolo, certi suoi incontri
consistevano in lunghi silenzi. Ecco il motivo per cui appariva “diverso” o
singolare a chi lo andava a trovare, magari soltanto per una volta. Si
comportava come un maestro zen o sufi, un po’ come faceva anche
Pio Filippani-Ronconi: diceva cose assurde, usava espressioni paradossali,
provocatorie, estreme, quasi, così provocando, voler sondare le reazioni di chi
aveva davanti, come a a volerlo saggiare, sondare, osservare le reazioni
esteriori, ma anche interiori. I devoti, gli “evolomani” come lui stesso li
aveva definiti, prendevano magari alla lettera quanto diceva e se ne facevano
una impressione sbagliata. Lo stesso vale per chi andava da lui con
atteggiamento troppo superficiale, o per i facinorosi, che pensavano di
essere “uomini di azione” e avevano dopo l’incontro impressioni pessime
definendolo addirittura un “frocio”, come si può leggere nel libro-intervista
ad un ergastolano “fascista” (Io, l’uomo nero, Marsilio,
2008). Il guaio, se così si può dire, è che il filosofo faceva lo stesso anche
con chi non lo conosceva affatto oppure era già prevenuto nei suoi confronti,
ad esempio con giornalisti per nulla amichevoli i quali, anch’essi
prendendo le sue parole ed espressioni alla lettera le riportavano pari pari e
ne tratteggiavano un profilo oscuro e “maledetto”, quello del “barone nero”
appunto, a conferma dei loro teoremi mentali (ricordiamoci che si era in piena
“contestazione” e violenza, anche se il vero terrorismo non era ancora
nato). Non era, dunque, una personalità multiforme, un carattere
variabile, ma il suo essere così aveva un senso perché faceva da riscontro alla
personalità e all’animo dei suoi interlocutori, seri o meno seri, preparati o
meno preparati, colti o meno colti, ingenui o meno, amici o nemici. Il suo
atteggiamento e linguaggio – conclude de Turris – servivano per capire
chi fossero quei tanti che volevano vederlo, incontrarlo, parlargli, magari
anche per prenderli sottilmente in giro per le loro esagerazioni, pur se non se
rendevano conto. Da qui, ma a lui ovviamente non importava, la nascita di
alcune leggende metropolitane nei suoi confronti che non sempre gli hanno
giovato».
|
15/03/15
De Turris intervistato su Evola
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Credo sia possibile apprezzare i numerosi meriti di J. Evola, ma al contempo indicarne i limiti e ritenere necessario, a mio modo di vedere, il suo "superamento" e perfezionamento in René Guénon. Del resto non mi invento nulla, poiché il grande barone siciliano- romano ebbe sempre, come massimo punto di riferimento, l'iniziato di Blois. Parole quantomai vere quelle di De Turris quando denuncia la mistificazione degli oppositori. Conta,COME SEMPRE, la buona fede. Persino un Cacciari ne ha riconosciuto il valore di alcune sue intuizioni. E forse proprio il discernimento degli spiriti di Evola può "spiegare" certi suoi silenzi, o atteggiamenti che possono apparire, per un profano, bizzarri o anomali.
RispondiEliminaInsomma un grande che merita di essere ricordato nell'Olimpo degli autori tradizionali.
Alberto
Grazie Alberto, condivido in pieno le tue parole.
RispondiEliminaArticolo molto interessante. Non mi sarei mai aspettato un "Evola" così. Negli anni di lettura di molti suoi scritti mi sono sempre immaginato come sarebbe potuto essere conoscerlo di persona. Direi che questo articolo risponde, almeno in linea teorica a questo quesito.
RispondiEliminaUn unica osservazione: non mi sarei aspettato che Evola, fosse in grado di essere una persona del "genere", in grado cioè di leggere in modo sottile la persona per aiutarla socraticamente ad ottenere interiormente ciò di cui aveva più bisogno, pensavo francamente fosse solamente prerogativa degli Iluminati e dei Santi.
Non possono esserci dubbi sul fatto che Evola vivesse ciò che scriveva; chi pensa a lui come a un semlice intellettuale si sbaglia profondamente. Grazie Fabrizio per il commento.
RispondiEliminaNon avevo mai pensato a questo. Ciò lo pone in tutta un'altra prospettiva dal mio punto di vista. Grazie dell'articolo Aldo.
RispondiEliminaUna curiosità: Silvano Panunzio ed Evola si incontrarono mai di persona? Se non sbaglio il suo scritto “Iniziati e metafisici della crisi” compariva già nella prima edizione del libro Testimonianze su Evola, quindi con JE ancora vivente. Riguardo al Barone, anch’io credo vada “superato”, ma – per intendersi – più con Attilio Mordini che con Guénon. Premesso che non ho letto per intero l’“iniziato” di Blois, reputo incontestabili le critiche mossegli da Jean Borella nel suo “Esoterismo guénoniano e mistero cristiano”. Grazie per lo spazio che mi è stato concesso e per l’eventuale risposta,
RispondiEliminaCordialmente,
Alberto D.
No, Panunzio ed Evola non si incontrarono mai, ma Evola conosceva bene Panunzio e ne rispettava sia la persona che il punto di vista. Andare oltre Evola e oltre Guénon con Mordini? Io direi senz'altro con Mordini, ma anche con Schuon e soprattutto con Panunzio. Ma il mio è un giudizio di parte. La ringrazio comunque molto per l'intelligenza e l'equilibrio dei Suoi interventi.
RispondiEliminaLa ringrazio per la risposta. Faccio presente, per evitare equivoci, che non sono io ad aver inserito il primo commento, ma un omonimo.
RispondiEliminaAlberto D.
Gentile Signor Alberto D. non si preoccupi, Aldous sa bene distinguere i vari Alberto...
RispondiEliminaPeraltro, la penso esattamente come Lei, ma nel messaggio mi limitavo alla diade Evola- Guenon.
Anche io credo che la "progressione", se così si può chiamare, è la seguente: Evola- Guenon, Mordini- Panunzio, in linea con Aldous.
Ma, attenzione, chi è in buona fede ed onesto intellettualmente (il che oggi è una rarità di alto pregio...) sa bene che i vari evola- mordini - panunzio- schuon debbono "tantissimo" a Guenon. Senza l'iniziato di Blois , sarebbero mancate le "basi" tradizionali per costruire quei meravigliosi affreschi di vera "sapienza" che ciascuno di loro ci ha lasciato in dono.
Lo stesso Borella che Lei cita e di cui ha letto il bel libro ( anch'io l'ho letto con beneficio) non vuole certo criticare per partito preso Guenon, (come invece tanti miopi critici, anche di formazione cattolica, a buon intenditore poche parole...) ma ha vissuto un "calvario" intellettuale e personale, da cui è nato quel libro.
Ovvero ha messo in luce i limiti dell'interpretazione guenoniana del cattolicesimo- cristianesimo, preservando la fede in Cristo e nella Chiesa Cattolica, con risultati a mio parere più assennati ed equilibrati rispetto ad un Clavelle o a uno Schuon.
Ma, io credo, che lo stesso gran "recupero" di una "gnosi cristiana" del Borella (per intenderci la linea Giustino-Clemente Alessandrino-Origene e soprattutto Dionigi Areopagita per citare i principali nomi, ma la catena poi continua...) non si sarebbe potuto verificare senza una profonda, partecipata e davvero onesta riflessione del Borella sull'opera di Guenon. Più semplicemente, Guénon ha permesso a Borella e a tanti altri , come gli stessi Mordini - Panunzio, di scoprire una dimensione profonda del cristianesimo: la natura metafisica, iniziatica, mistica, simbolica e sapienziale della Rivelazione cristiana. E scusate se è poco... !!!
In conclusione i meriti di Guenon non saranno mai sottolineati abbastanza, pur confessando che bisogna essere dei bravi "alchimisti", nel senso più elevato della parola, per riconvertire tutto il sapere ricevuto da Guenon nella propria tradizione cristiana- cattolica. "Operazione" assai difficile, ma se condotta a buon termine, può davvero condurre alla Pietra Filosofale, ovvero al più fino Oro del Cristo!!! Un caro saluto a tutti,
Alberto
Gentile Alberto, ho ritenuto di precisare dato che Aldous ha fatto riferimento ai miei “commenti”. Siccome ne ho inserito soltanto uno prima di questo, evidentemente il riferimento riguardava altri articoli. Premetto che non voglio mettere in discussione i meriti di Guénon riguardanti lo studio dei simboli o l’interpretazione delle dottrine orientali. Vorrei solo spiegare meglio la ragione delle mie perplessità che nascono dal mio caso personale. Ho letto le opere di Evola, e quasi contemporaneamente quelle di Guénon, durante la militanza politica. Così credo sia stato per molti. Evola, per le ragioni che ho trovato poi ben descritte da Pino Tosca (Il cammino della tradizione), mi ha dato una visione della vita compatibile con la mia fede cattolica. Inoltre mi ha spinto a vivere in profondità quello in cui credo. Per questo la lettura poi di Mordini è stata per me decisiva. L’effetto suscitato da Guénon è stato tutto un altro. Il suo pensiero mi pare sincretismo di alto livello. Questa è la mia opinione, cioè quella di un inesperto a cui è stata fortemente suggerita la lettura di RG perché autore “di destra”. Proprio per questo motivo ritengo che la lettura delle sue opere possa essere pericolosa per gli sprovveduti.
RispondiEliminaBuona Pasqua a tutti!
Alberto D.
Caro Alberto, intanto la ringrazio per le precisazioni e anche per averci messo a parte della sua personale esperienza. Io credo che Guénon sia un autore irrefutabile, come irrefutabile è l'essenza della Verità. Con ciò non voglio dire che l'assunto di Guénon coincida con la Verità (sarebbe eresia il sostenerlo), ma solo che non si comprende Guénon se non assumendone fino in fondo il punto di vista dottrinario e teorico. Il problema è semmai quello di capire se quel "suo" punto di vista possa sposarsi con la posizione cristiana e cattolica e ciò è indubbiamente assai difficile anche se non impossibile. Molti autori cristiani infatti hanno dimostrato la possibilità di una tale conciliazione e anche chi le scrive è del medesimo avviso. Personalmente non consiglio mai a nessuno la lettura di Guénon, ma a chi decide di affrontarlo suggerisco un approccio più sapienziale che intellettuale, proprio per non rischiare quelle derive gnosticheggianti e pseudo-esoteriche di cui anche lei è giustamente preoccupato.
RispondiEliminaLa ringrazio per gli auguri che ricambio di cuore.