05/03/15

Carl Schmitt aveva ragione



Dopo la chia­mata alle armi con­tro lo Stato isla­mico e la con­se­guente defi­ni­zione di «guer­riero cro­ciato» rife­rita al nostro mini­stro degli Affari Esteri (e della coo­pe­ra­zione), e con­se­guen­te­mente di nazione nemica rife­rita all’Italia, gli ana­li­sti nazio­nali por­ta­voce degli inte­ressi supe­riori dell’economia si sono sca­te­nati in una ridda di arti­coli che ten­dono a ricon­fi­gu­rare le prio­rità della poli­tica estera euro­pea, e nazio­nale, nei ter­mini di una rin­no­vata «guerra glo­bale con­tro il terrorismo».
L’idea di fondo, comune alla grande stampa main­stream, è quella che l’Europa deve «ripen­sare la guerra»; dopo più di set­tanta anni di pace, infatti, que­sta pro­se­cu­zione della poli­tica con altri mezzi, come diceva Clau­sewitz, si pre­senta ora­mai come una alter­na­tiva con­creta alle incon­si­stenti mano­vre diplo­ma­ti­che fina­liz­zate a cir­co­scri­vere le varie crisi in atto, in par­ti­co­lare quelle ine­renti il fon­da­men­ta­li­smo isla­mico. E allora sarebbe utile, per que­sti appren­di­sti stre­goni, ricor­dare loro le rifles­sioni di Carl Sch­mitt con­te­nute nel suo Nomos della terra, un testo fon­da­men­tale per chi voglia capire, dalla parte di un pen­siero con­ser­va­tore, se non fran­ca­mente rea­zio­na­rio, e dun­que in linea con quello attuale e pre­va­lente, l’evoluzione, o meglio l’involuzione, di que­sto stru­mento geopolitico.
La rifles­sione si apre con il 2 aprile 1917, l’entrata in degli Usa nella Prima Guerra Mon­diale. Sono le moti­va­zioni «uma­ni­ta­rie» quelle che col­pi­scono di più l’autore tede­sco; infatti, Wil­son impe­gna gli Stati uniti con­tro «la guerra navale tede­sca, con­dotta con­tro tutte le nazioni del mondo, ovvero con­tro l’umanità». Que­sta è la moti­va­zione morale che spinge il Pre­si­dente ame­ri­cano ad impe­gnare la sua nazione per «garan­tire atti­va­mente la libertà dei popoli e la pace mondiale».
A par­tire da que­sta ana­lisi, dove sono già con­te­nuti tutti gli ele­menti por­tanti della fase geo­po­li­tica che stiamo vivendo – denun­cia di una guerra di una parte con­tro tutta l’umanità, il rela­tivo giu­di­zio morale, la volontà di por­tare libertà e pace a tutti i popoli della terra — la Ger­ma­nia veniva dichia­rata hostis gene­ris humani – espres­sione sino ad allora nor­mal­mente usata per la cri­mi­na­lità orga­niz­zata inter­na­zio­nale come la pira­te­ria – e dun­que con­si­de­rata un nemico nei con­fronti del quale «la neu­tra­lità non è né moral­mente legit­tima né pra­ti­ca­bile». Oltre­tutto, con quelle moti­va­zioni, gli Stati uniti si erano attri­buito il potere di deci­dere su scala inter­na­zio­nale quale parte bel­li­ge­rante avesse ragione e quale torto.
La con­clu­sione di Sch­mitt è che la Prima Guerra mon­diale, dopo l’entrata in gioco degli Usa sulla base di que­ste moti­va­zioni, aveva ces­sato di essere una clas­sica guerra inter­sta­tale, e si era tra­sfor­mata in una «guerra civile mon­diale» (Welt­bür­ger­krieg), secondo un modello desti­nato ad affer­marsi e a coin­vol­gere l’intera uma­nità. Le rifles­sioni di Sch­mitt si com­pon­gono in una finale, abis­sale, pro­fe­zia: l’avvento di una «guerra totale asim­me­trica e di annien­ta­mento», con­dotta da grandi potenze dotate di mezzi di distru­zione di massa, in pri­mis dalle potenze capi­ta­li­sti­che e libe­rali anglosassoni.
Que­ste rifles­sioni deli­neano già la realtà odierna che è pro­prio quella della guerra negata dal punto di vista giu­ri­dico, se non come forma di poli­zia inter­na­zio­nale in capo alle Nazioni Unite, e della sua sim­me­trica tra­sfor­ma­zione e «glo­ba­liz­za­zione» in forme irri­du­ci­bili a qua­lun­que defi­ni­zione coerente.
Venendo più in spe­ci­fico alle «guerre uma­ni­ta­rie»: «Wer Men­sch­heit sagt, will betrü­gen»: chi dice uma­nità cerca di ingan­narti. Que­sta è la mas­sima che Sch­mitt pro­pone già nel 1927 in Begriff des Poli­ti­schen per espri­mere la sua dif­fi­denza nei con­fronti dell’idea di uno Stato mon­diale che com­prenda tutta l’umanità, annulli il plu­ri­verso (Plu­ri­ver­sum) dei popoli e degli Stati e sop­prima la dimen­sione stessa del loro poli­tico. E a mag­gior ragione Sch­mitt si oppone al ten­ta­tivo di una grande potenza – l’ovvio rife­ri­mento è agli Stati uniti – di pre­sen­tare le pro­prie guerre come guerre con­dotte in nome e a van­tag­gio dell’intera umanità.
Se uno Stato com­batte il suo nemico in nome dell’umanità, la guerra che con­duce non è neces­sa­ria­mente una guerra dell’umanità. Quello Stato cerca sem­pli­ce­mente di impa­dro­nirsi di un con­cetto uni­ver­sale per potersi iden­ti­fi­care con esso a spese del nemico. Se ana­liz­ziamo con lo sguardo anti­ci­pa­tore di Sch­mitt la guerra all’Iraq, quella all’Afghanistan dopo l’11 set­tem­bre, la con­se­guente dichia­ra­zione della «guerra per­ma­nente glo­bale con­tro il ter­ro­ri­smo» e la clas­si­fi­ca­zione uni­la­te­rale degli Stati cana­glia, vediamo come tutte que­ste forme della guerra asim­me­trica con­tem­po­ra­nea, com­presi gli atti di ter­ro­ri­smo a fini poli­tici, siano stati ampia­mente pre­vi­sti e pre­ve­di­bili sin dal secolo scorso.
In pro­spet­tiva dun­que, pro­se­gue Sch­mitt, l’asimmetria del con­flitto avrebbe esa­spe­rato e dif­fuso le osti­lità: il più forte avrebbe trat­tato il nemico come un cri­mi­nale, men­tre chi si fosse tro­vato in con­di­zioni di irri­me­dia­bile infe­rio­rità sarebbe stato di fatto costretto ad usare i mezzi della guerra civile, al di fuori di ogni limi­ta­zione e di ogni regola, in una situa­zione di gene­rale anar­chia. E l’anarchia della «guerra civile mon­diale», se con­fron­tata con il nichi­li­smo di un potere impe­riale cen­tra­liz­zato, impe­gnato a domi­nare il mondo con l’uso dei mezzi di distru­zione di massa, avrebbe potuto alla fine «appa­rire all’umanità dispe­rata non solo come il male minore, ma anzi come il solo rime­dio efficace».
In una delle ultime pagine di Der Nomos der Erde Sch­mitt scrive: «Se le armi sono in modo evi­dente impari, allora decade il con­cetto di guerra sim­me­trica, nella quale i com­bat­tenti si col­lo­cano sullo stesso piano. È infatti pre­ro­ga­tiva della guerra sim­me­trica che entrambi i con­ten­denti abbiano una qual­che pos­si­bi­lità di vit­to­ria. Se que­sta pos­si­bi­lità viene meno, l’avversario più debole diventa sem­plice oggetto di coa­zione. Si acui­sce allora in misura cor­ri­spon­dente l’ostilità fra le parti in guerra. Chi si trova in stato di infe­rio­rità spo­sta la distin­zione fra potere e diritto nell’ambito del bel­lum inte­sti­num. Il più forte vede invece nella pro­pria supe­rio­rità mili­tare una prova della sua justa causa e tratta il nemico come un criminale.
La discri­mi­na­zione del nemico e la con­tem­po­ra­nea assun­zione a pro­prio favore della justa causa vanno di pari passo con il poten­zia­mento dei mezzi di annien­ta­mento e con lo sra­di­ca­mento spa­ziale del tea­tro di guerra. Si spa­lanca così l’abisso di una discri­mi­na­zione giu­ri­dica e morale altret­tanto distrut­tiva». La descri­zione della realtà attuale, dall’Iraq all’Afghanistan, dalla Siria al Libano, sem­bra essere rita­gliata esat­ta­mente su que­ste «pro­fe­zie» di Carl Sch­mitt che altro non dicono se non che il futuro deriva dal pas­sato. E dun­que, se così è, dob­biamo anche pen­sare che il nostro pre­sente di «guerre uma­ni­ta­rie» di inde­fi­nite «mis­sioni mili­tari di pace» di emer­genze uma­ni­ta­rie che altro non sono che situa­zioni di man­cato svi­luppo deli­be­ra­ta­mente lasciate incan­cre­nire al fine di farne, appunto, un casus belli uma­ni­ta­rio, vanno riflet­tute e ripen­sate all’interno di cor­nici radi­cal­mente diverse dalle attuali, pena la geo­me­trica ascesa della bar­ba­rie. Eppure, forse guar­dando ancora più avanti, con­sa­pe­vole delle sfide future e degli orrori pas­sati e pre­senti che, nell’estate del 1950, chiu­dendo la pre­fa­zione a Der Nomos der Erde, Sch­mitt scrive: «È ai costrut­tori di pace che è pro­messo il regno della terra. Anche l’idea di un nuovo Nomos della Terra si dischiu­derà solo a loro».

Autore: Raffaele K. Salinari


 

Nessun commento:

Posta un commento