Esce oggi per
Piemme 'Il tempo e la storia. Il senso del nostro viaggio', una raccolta di
testi degli Anni 70 di Joseph Ratzinger inediti in Italia, precedenti alla
nomina episcopale del Papa emerito che il 16 aprile compirà 90 anni.
(Joseph Ratzinger) Oggi cresce di nuovo l'angoscia che sembrava scomparsa nel momento ottimistico del dopoguerra. Quando gli uomini posero per la prima volta il piede sulla luna, nessuno poté sottrarsi all' entusiasmo, alla fierezza, alla gioia per la grande impresa che l'essere umano era riuscito a compiere in quel momento. [...] Tuttavia, nel momento della gioia si intrecciavano i motivi di una profonda tristezza, perché lo stesso uomo che aveva compiuto una tale inaudita impresa non è in grado di impedire che anno dopo anno migliaia e perfino milioni di persone muoiano di fame, perché non è in grado di dare a milioni di esseri umani, suoi fratelli, un' esistenza degna dell' uomo, perché non è in grado di porre fine alla guerra e di arrestare l' ondata crescente di violenza. Il potere tecnico non è necessariamente un potere umanitario. [...]
Non c'è assolutamente bisogno che parliamo degli ultimi orrori, delle armi atomiche, delle armi biologiche, delle armi chimiche, anche se la provvista di queste cose terribili non può non rappresentare un potenziale terroristico, capace di agire in qualche modo nella coscienza sotto forma di angoscia nascosta. Dobbiamo guardare solo alla «città dell'uomo»: una crescente pianificazione significa anche sempre una pianificazione peggiore dell' uomo. Io penso che le eruzioni che scuotono la nostra società moderna siano anche un' insurrezione inconscia contro la totale pianificazione della nostra esistenza, che produce un senso di soffocamento da cui ci vorremmo difendere, anche se non è possibile. Noi sentiamo sempre più avversa la sorte delle nostre opere: aria, acqua, terra, che sono sempre gli elementi di cui viviamo, minacciano di decomporsi nell' alito velenoso della nostra tecnica. [...] È stato detto che il nostro secolo sarà caratterizzato da un fenomeno del tutto nuovo: l'incapacità, da parte dell' uomo, di conoscere il Signore. Lo sviluppo sociale e spirituale ha portato alla formazione di un tipo di essere umano al quale ormai manca ogni disposizione alla conoscenza dell'Altissimo. Sia questo vero o falso, dobbiamo però riconoscere che la lontananza di Dio, il buio interiore, il dubbio circa la sua esistenza sono oggi più profondi che mai; anzi, anche noi che tentiamo con fatica di credere spesso abbiamo l'impressione che la sua realtà ci sfugga. Non ci chiediamo forse di frequente: «Dove se ne sta l'Onnipotente in mezzo al silenzio di questo mondo?». [...] Da questa considerazione ne consegue un' altra. Credo che oggi la tentazione cui siamo soggetti noi cristiani non consista tanto nel dubbio teoretico circa l'esistenza di Dio o in quello della sua unità e trinità, e neppure in quello della divinità e umanità di Cristo. Ciò che oggi veramente ci opprime e tenta è piuttosto la constatazione dell' inefficacia del cristianesimo. Dopo duemila anni di storia cristiana non vediamo nulla di ciò che dovrebbe costituire la nuova realtà del mondo, ma troviamo invece gli stessi orrori, angosce e speranze di prima e di sempre. Come risulta evidente, il mondo della pianificazione e della ricerca, del calcolo esatto e della sperimentazione da solo non basta. In fondo ce ne vogliamo liberare, così come ci vogliamo sbarazzare della vecchia fede, il cui contrasto con il sapere moderno la fa diventare un peso opprimente. Quella, però, non potrebbe essere un peso se non ci sentissimo toccati sul vivo da lei, se non ci fosse qualche cosa che ci impone di cercare oltre. Dobbiamo soffermarci sulla strana situazione dell' uomo moderno. Al presente l'esistenza umana è caratterizzata dal disagio non solo nei confronti della fede, ma anche del mondo dominato dalla scienza. Solo descrivendo questa duplice difficoltà è possibile, oggi, fornire una descrizione in qualche modo esatta dei presupposti del problema relativo al credere e al sapere. È questa la stranezza del nostro tempo: proprio nel momento in cui il sistema del pensiero moderno è giunto al suo termine, diventa palese la sua insufficienza, cosicché dobbiamo necessariamente arrenderci alla relativizzazione.
(Joseph Ratzinger) Oggi cresce di nuovo l'angoscia che sembrava scomparsa nel momento ottimistico del dopoguerra. Quando gli uomini posero per la prima volta il piede sulla luna, nessuno poté sottrarsi all' entusiasmo, alla fierezza, alla gioia per la grande impresa che l'essere umano era riuscito a compiere in quel momento. [...] Tuttavia, nel momento della gioia si intrecciavano i motivi di una profonda tristezza, perché lo stesso uomo che aveva compiuto una tale inaudita impresa non è in grado di impedire che anno dopo anno migliaia e perfino milioni di persone muoiano di fame, perché non è in grado di dare a milioni di esseri umani, suoi fratelli, un' esistenza degna dell' uomo, perché non è in grado di porre fine alla guerra e di arrestare l' ondata crescente di violenza. Il potere tecnico non è necessariamente un potere umanitario. [...]
Non c'è assolutamente bisogno che parliamo degli ultimi orrori, delle armi atomiche, delle armi biologiche, delle armi chimiche, anche se la provvista di queste cose terribili non può non rappresentare un potenziale terroristico, capace di agire in qualche modo nella coscienza sotto forma di angoscia nascosta. Dobbiamo guardare solo alla «città dell'uomo»: una crescente pianificazione significa anche sempre una pianificazione peggiore dell' uomo. Io penso che le eruzioni che scuotono la nostra società moderna siano anche un' insurrezione inconscia contro la totale pianificazione della nostra esistenza, che produce un senso di soffocamento da cui ci vorremmo difendere, anche se non è possibile. Noi sentiamo sempre più avversa la sorte delle nostre opere: aria, acqua, terra, che sono sempre gli elementi di cui viviamo, minacciano di decomporsi nell' alito velenoso della nostra tecnica. [...] È stato detto che il nostro secolo sarà caratterizzato da un fenomeno del tutto nuovo: l'incapacità, da parte dell' uomo, di conoscere il Signore. Lo sviluppo sociale e spirituale ha portato alla formazione di un tipo di essere umano al quale ormai manca ogni disposizione alla conoscenza dell'Altissimo. Sia questo vero o falso, dobbiamo però riconoscere che la lontananza di Dio, il buio interiore, il dubbio circa la sua esistenza sono oggi più profondi che mai; anzi, anche noi che tentiamo con fatica di credere spesso abbiamo l'impressione che la sua realtà ci sfugga. Non ci chiediamo forse di frequente: «Dove se ne sta l'Onnipotente in mezzo al silenzio di questo mondo?». [...] Da questa considerazione ne consegue un' altra. Credo che oggi la tentazione cui siamo soggetti noi cristiani non consista tanto nel dubbio teoretico circa l'esistenza di Dio o in quello della sua unità e trinità, e neppure in quello della divinità e umanità di Cristo. Ciò che oggi veramente ci opprime e tenta è piuttosto la constatazione dell' inefficacia del cristianesimo. Dopo duemila anni di storia cristiana non vediamo nulla di ciò che dovrebbe costituire la nuova realtà del mondo, ma troviamo invece gli stessi orrori, angosce e speranze di prima e di sempre. Come risulta evidente, il mondo della pianificazione e della ricerca, del calcolo esatto e della sperimentazione da solo non basta. In fondo ce ne vogliamo liberare, così come ci vogliamo sbarazzare della vecchia fede, il cui contrasto con il sapere moderno la fa diventare un peso opprimente. Quella, però, non potrebbe essere un peso se non ci sentissimo toccati sul vivo da lei, se non ci fosse qualche cosa che ci impone di cercare oltre. Dobbiamo soffermarci sulla strana situazione dell' uomo moderno. Al presente l'esistenza umana è caratterizzata dal disagio non solo nei confronti della fede, ma anche del mondo dominato dalla scienza. Solo descrivendo questa duplice difficoltà è possibile, oggi, fornire una descrizione in qualche modo esatta dei presupposti del problema relativo al credere e al sapere. È questa la stranezza del nostro tempo: proprio nel momento in cui il sistema del pensiero moderno è giunto al suo termine, diventa palese la sua insufficienza, cosicché dobbiamo necessariamente arrenderci alla relativizzazione.
Gli scritti di Ratzinger sono sempre cibo prelibato per la mente e per l'anima PMF
RispondiEliminaPerfettamente d'accordo!
RispondiEliminaTemi che si leggono a livello di scuole medie.Odifreddi fa ragionamenti meno scontati.Che si manifesti, ogni tanto, anche la "banalità del bene"?
RispondiEliminaSpero per lui che il resto del libro sia un po' più intrigante.A me non sembrano riflessioni così interessanti. Se non si sapesse chi le ha scritte passerebbero forse inosservate.
RispondiEliminaCari Amici,
RispondiEliminaimmagino che entrambi non abbiate mai letto nulla di Ratzinger, altrimenti ben diverso sarebbe stato il vostro giudizio. Tutto quello che Ratzinger scrive non è mai né scontato né banale, ma bisogna leggerlo prima di arrivare a questa conclusione. Pensate a quanto sono banali i libri del Dalai Lama e quanto potrebbe apparire banale e puerile persino un Vangelo dopo aver letto gli Evola e i Guénon. Eppure dietro quell’apparente banalità c’è più saggezza, cultura, dottrina e spirito di quanto non ce ne siano in tutti i libri delle Mediterranee e della Atanor messi insieme (per tacere di altre super esoteriche-iniziatiche case editrici). Sul tema specifico Ratzinger partiva da Heidegger e dalla sua avversione nei confronti della tecnologia (e di rimando da Spengler). Autori banali e scontati anche costoro? Ma come si può pensare sul serio che uno studioso autorevole e di alto livello come Ratzinger possa aver scritto o detto delle banalità? Suvvia ragazzi, un po’ di senso delle proporzioni!
Quando gli uomini posero per la prima volta il piede sulla luna
RispondiEliminaRatzinger dà per scontato ciò che non è assolutamente certo.
Immagino sia una boutade, una frase buttata là per sorprendere e far sorridere; oppure è un modo idiota per buttarla "in caciara"? Purtroppo temo che sia vera la seconda ipotesi.
RispondiEliminaNè l'una né l'altra: è la verità. Ci sono dei testi che smentiscono la vulgata sul presunto sbarco. Ne faccia un post. Ne discuteremo insieme.
RispondiEliminaGentile Sig. M.,
RispondiEliminasi informi meglio. Pare che sulla luna, prima degli americani, siano sbarcati i russi. Ancora prima ci andarono gli abitanti dell’antica India a bordo dei Vimana; poi Astolfo a recuperare il senno di Orlando e girano voci che ci siano andati persino i tibetani a bordo del mitico durakhapalam. E non finisce qui! Pensi che gli Egizi addirittura colonizzarono Marte e vi costruirono le tre grandi piramidi con tanto di Sfinge. Non ha visto le foto apparse anni fa su tutti i giornali del mondo? Quindi, credo che la questione dello sbarco degli americani sulla Luna, rispetto a tutto questo, sia davvero irrilevante, non crede?
Senza contare i nazisti che ci hanno pure costruito una base a forma di svastica (ovviamente sono ironico) pmf
RispondiEliminaCerto! Quasi contemporaneamente ai Nazisti, i Fascisti raggiungevano Marte. Ci sono i filmati! Vedi il catalogo multimediale Rai, alla voce "Fascisti su Marte".
RispondiEliminaLa luna è uno dei paradisi della modernità e Ratzinger è uno di quelli che si sono prenotati il posto. Su di lui non ha tutti i torti il famigerato Marcovuyet,per quanto sia destinato a fare la fine di Arnaldo da Brescia.
RispondiEliminaMarco Vuyet è un esempio presente di mediocrità, mentre Arnaldo da Brescia, comunque la si pensi, è un esempio passato di grandezza. Su Ratzinger, caro Arvo, Lei non esprime un pensiero, un ragionamento, un’idea, ma una semplice opinione personale. Ma la Tradizione non insegna che “opinione è remoto dal Perfetto”?
RispondiEliminaSia su M. Vuyet che su Arnaldo Lei ha perfettamente ragione; mi pareva evidente la battuta, da inserire nel clima ridanciano da voi stessi generato.
RispondiEliminaPurtroppo con Ratzinger le cose si fanno più serie. Quando uno si innamora del personaggio e/o si apparta intellettualmente e spiritualmente nei vasti meandri del modernismo....nulla da dire. Ratzinger diviene allora un eroe e la sua figura sembra spiccare luminosa. E' certamente il vostro caso.Allora a poco serve il fatto di andare a leggere e rileggere 5 o 6 volte, nel dettaglio, quello che avete pubblicato, vale a dire l'estratto dal testo del teologo tedesco.Cosa che invece ho cercato di fare, avendo un'altrettanto legittimo punto di vista rispetto a quello che sempre manifestate voi nella sostanza. E allora vi leggo chiaramente l'ammiccamento ai miti illusori dello scientismo cultural popolare del nostro tempo; che il Nostro vorrebbe semplicemente correggere alla luce di un esistenzialismo elementare tutto modernista e altrettanto ignaro di ogni vera spiritualità. Non vi preoccupate, non sto (nelle mie vere intenzioni) bestemmiando, così come a voi certamente pare; cosa che invece cerco sempre di evitare. Questo semplicemente perché non attribuisco a Ratzinger l'autorità che invece siete legittimamente convinti di vedere voi. Insomma non direi queste cose se lo considerassi davvero un Papa; funzione incompatibile con quella di teologo modernista quale egli realmente è, sia adesso sia qualche anno fa.
Ammetto senz'altro il fatto di esprimere solo un'opinione personale, nessun dubbio.L'importante per voi è di relegarla tranquillamente nel cestino delle mediocrità alla Vuyet, consapevoli del fatto che ormai uno come il sottoscritto non si può più correggere.Non fateci troppo caso, così come io cerco di non fare troppo caso alle vostre celebrazioni in senso opposto.Delle quali semplicemente prendo atto.
Caro Arvo,
Eliminaperfettamente legittimo avere opinioni diverse, purché queste abbiano un certo grado di conformità con la realtà. Nessuna celebrazione da parte nostra, Le assicuro, solo stima e ammirazione per un uomo che ha passato l’intera sua esistenza a meditare e riflettere sui grandi temi dello Spirito. Consentirà che non è da tutti e che una simile esperienza non può essere rigettata in blocco solo perché in essa si intravedono “ammiccamenti ai miti illusori dello scientismo” o aperture moderniste. Non si può squalificare un pensiero e relativo pensatore con delle semplici parole d’ordine. Vale per lui, come vale per tutti. Lei approverebbe chi giudicasse l’opera complessiva di Evola semplicemente per i suoi “ammiccamenti” al nazional-socialismo? O chi facesse altrettanto nei confronti di Guénon per i suoi “ammiccamenti” al pensiero gnostico? Come può una semplice definizione, per quanto appropriata e prossima alla realtà, definire l’ampiezza e la complessità di un pensiero? Ci pensi.