“Una
bugia fa in tempo a viaggiare per mezzo mondo mentre la verità si sta ancora
mettendo le scarpe.”
Mark Twain
Strana storia,
quella di Ulisse. Possibile che il re di Itaca se ne
stia lontano per vent’anni, struggendosi
dal desiderio di rivedere la sua
patria, abbandoni una bellissima
ninfa che vorrebbe renderlo immortale
per tornare da una moglie non più giovane, rientri a casa dopo una pericolosissima
traversata in solitaria, nessuno lo
riconosca, neanche il padre o la moglie stessa, ne ammazzi tutti i pretendenti
rischiando di provocare una
sanguinosa rivoluzione, e
finalmente, quando avrebbe tutto
il diritto di starsene un po’ tranquillo, decida
di ripartire di nascosto lasciando tutti con un palmo di naso? D’accordo, è un racconto mitologico, però, insomma, non
è molto... logico!
E se
Ulisse non fosse stato... Ulisse? Già in molti hanno avuto una intuizione simile, ma il suggerimento di
una possibile ricostruzione realistica
della vicenda ci arriva dal formidabile e controverso “Omero nel Baltico”,
saggio sulla geografia omerica di
Felice Vinci, di cui potete
trovare un’ampia analisi critica nella seconda parte di questo volume. Quasi di
sfuggita, tra le pieghe del discorso, Vinci ipotizza che il
figlio di Ulisse, Telemaco, abbia
ingaggiato un mercenario per
interpretare Ulisse e fare strage
dei Proci, i pretendenti alla mano della madre Penelope.
Lo
stesso Telemaco avrebbe poi scritturato un
poeta per raccontare una fantasiosa storia che potesse giustificare tutti gli anni di assenza del padre; oggi forse un
avversario politico invidioso definirebbe quel poeta un "pennivendolo di
regime" (esistevano già allora, a quanto pare!). Tutto ciò allo scopo di
liberare la reggia dai
pretendenti che gli stavano
mangiando tutte le sostanze; si aggiunga poi che se qualcuno
ne avesse sposato la madre, Telemaco
avrebbe perso il diritto alla
successione e al regno; era lei infatti di stirpe nobile, essendo figlia
del potentissimo re Icario, mentre Ulisse era
un “parvenu” che si era arricchito con l’arte dei
commerci, della pirateria e del
saccheggio, attività fra le quali a quei tempi i confini erano piuttosto
labili. I pretendenti stessi, poi, stavano tramando per toglierlo di mezzo, e
quindi bisognava anticiparli al più presto.
Stavo
rimuginando sulla faccenda, quando
improvvisamente una possibile soluzione
ha attraversato la mia mente come un lampo. "Oh perbacco, io so chi era quel mercenario!". Riuscite a
immaginarlo? Provate a
pensarci...eppure ce lo suggerisce
Ulisse stesso...quando si trova
nella terra dei Feaci. Ulisse afferma di essere il migliore degli Achei nel
tiro con l’arco, subito dopo Filottete!
Filottete,
chi era costui? Qualcuno forse si ricorda di lui grazie al simpatico cartone
animato “Hercules”, prodotto dalla Disney nel 1997, tuttavia in quel caso gli
sceneggiatori si sono fatti prendere un po’ troppo la mano dalla necessità di
inventare una storia divertente, modificando le vicende e i ruoli dei vari
personaggi mitologici, per cui sarà meglio riferirci alle fonti classiche.
L’Iliade ci narra che egli era a
capo di un contingente degli Achei che
andavano alla guerra di Troia. Ma era stato morso ad un piede da
un serpente che gli aveva causato una
grave ferita. La lesione si era infettata tanto da costringere i compagni ad
abbandonarlo sull’isola di Lemno. La tradizione
mitica, ripresa da Sofocle in una
sua opera teatrale, racconta che, secondo una profezia, Troia sarebbe
caduta solo con l’aiuto delle armi di
Ercole. Filottete era stato allievo di
Ercole e ne aveva
ereditato l’arco e le frecce,
per cui venne recuperato sull’isola e curato dal
medico acheo Macaone; poi, proprio Filottete
avrebbe ucciso Paride, dando un contributo determinante alla sconfitta
dei Troiani.
Ma certo! Il mercenario era Filottete! Persino
il suo nome già significa "colui che ama possedere". Questo spiega
molte cose: conosceva da tempo
Ulisse, e quindi si prestava bene ad
interpretarlo, inoltre era “amico di famiglia”, e dunque poteva essere disposto a rischiare la
pelle in una impresa così pericolosa;
era poi un abilissimo arciere, evidentemente abituato
a un “numero da circo” come
quello di attraversare con una
freccia gli anelli di dodici
scuri allineate, il che presuppone anche
un certo allenamento, cosa che Ulisse non poteva più avere dopo tanti anni per mare. Ammesso poi che fosse realmente dotato di questa
abilità, visto che in tutta l’Iliade, poema che è molto più
realistico dell’Odissea, lo stesso
Ulisse non usa mai l’arco, neanche
durante i giochi in onore di Patroclo, nei quali vince invece le gare di lotta
e di corsa. Da notare inoltre che Omero non dice che Filottete fu abbandonato a
Lemno per ordine di Ulisse: questa è un’elucubrazione dei mitografi successivi,
poi ripresa anche da Sofocle, che ha rielaborato i vecchi miti per costruirci
sopra il suo racconto, non molto diversamente da quanto hanno fatto gli autori
della Disney! Quindi non c’è motivo per pensare che Filottete dovesse covare
del risentimento nei confronti di Ulisse o dei suoi familiari.
Logicamente,
i giovani di Itaca non conoscevano Filottete, ma
certo qualche anziano avrebbe
potuto riconoscerlo, per cui
sarebbe stato necessario eclissarsi al più presto a missione compiuta. Come
abbiamo detto, egli era stato ferito gravemente al piede dal serpente, il che doveva avergli lasciato una
evidente zoppìa. E infatti Omero, pur
senza dirlo apertamente, fa di tutto per farci capire che il misterioso
straniero zoppica: infatti cammina lentamente, appoggiandosi a un bastone,
viene paragonato al dio Efesto, zoppo pure lui, si parla insistentemente e
senza motivo apparente dei "piedi", fino alla trovata davvero geniale
della vecchia nutrice che riconosce “Ulisse” dalla ferita al ginocchio
causata da un cinghiale
(cosa che non viene mai accennata né nell’Iliade né nel resto
dell’Odissea, in cui le gambe del corridore Ulisse sono assolutamente
perfette). Il riconoscimento avviene proprio mentre gli lava i piedi, quindi
ciò può significare che il problema era nel piede, e non nel ginocchio!
Però Filottete non si accontentava
di una cospicua ricompensa, ma ambiva anche alla gloria
eterna! E siccome non si
poteva rivelare l’inganno, ecco
l’idea di cantarlo come
“il migliore degli arcieri achei”,
a detta addirittura del
grande Ulisse. Ma vi pare che lo
stesso Ulisse, che si potrebbe definire quasi un “miles gloriosus” ante litteram, avrebbe ammesso, nel poema a lui
dedicato, che c’era qualcuno più bravo di lui?? La sua frase, più che un lapsus freudiano è un vero e proprio
“messaggio in bottiglia” lanciato ai posteri, come a dire “chi ha orecchie per intendere, intenda!”. E Omero ha lasciato una miriade di
messaggi simili in tutto il poema, utili per farci intuire il reale svolgimento
della vicenda.
Quanto
ad Ulisse, probabilmente
doveva essere morto da tempo, ucciso in battaglia o annegato sulla via
del ritorno. Lo si può dedurre dal fatto che, in tutta l’Odissea, l’idea che l’eroe sia
ormai defunto viene ripetuta più volte in modo deciso, mentre
l’ipotesi che possa essere ancora vivo
viene avanzata in modo dubitativo. La
stessa dea Atena, sotto l’aspetto del mercante Mente, si contraddice in modo palese, quando afferma di
non essere un indovino, ma che vuole
ugualmente formulare una profezia, per annunciare che Ulisse tornerà. Ma Mente... mente!
Ed
anzi esorta Telemaco a pensare egli stesso a come cacciare i Proci, essendo
ormai diventato adulto, per cui il figlio di Ulisse parte a cercare notizie del
padre proprio dai suoi migliori alleati. Che dire poi del fatto che Ulisse ad
un certo punto discende nel mondo dei
morti? O che nell’episodio di Polifemo
dichiara di chiamarsi Nessuno, per cui il ciclope
ripeterà che Nessuno lo acceca,
Nessuno lo uccide? Altri messaggi in bottiglia, che... nessuno, finora, aveva
preso alla lettera! E ancora, non appare
molto sospetta la straordinaria coincidenza temporale, per cui Ulisse
tornerebbe ad Itaca dopo vent’anni, e
dopo poche ore suo figlio sbarcherebbe sulla stessa spiaggia, situata dalla
parte opposta rispetto al porto principale? E
poi, cosa dovremmo dedurre dalle tradizionali biografie, secondo le
quali Omero era cieco??
Vediamo
di ricostruire con ordine la vicenda,
come potrebbe essersi svolta nella realtà. C'è un vuoto di potere a Itaca, il
re Ulisse è partito da vent'anni per la guerra e non è più tornato. Il principe
Telemaco, tipico adolescente “problematico”,
soffre a Itaca per l'assenza della figura paterna e sta meditando il modo di liberarsi dai
Proci, prima che loro si liberino di lui, e gli soffino eredità e potere. E’
arrivato a corte un vecchio cantore
cieco o quasi, affetto da cataratta oppure
vittima di una ferita, che ai
tempi della guerra aveva
assistito agli avvenimenti. Magari è
stato chiamato, ironia della
sorte, dai Proci stessi per il proprio
divertimento. Telemaco ascolta la storia dell’Iliade e gli viene in mente un piano diabolico:
partire con la nave e andare a cercare un arciere abilissimo, killer infallibile, per eliminare la concorrenza.
Che poi passi dalla reggia di Nestore,
sapendo di trovarlo lì, che l’idea gli venga
dallo stesso Nestore o da Menelao, oppure si rechi direttamente da
Filottete, e inventi una storia per
motivare la sua partenza improvvisa,
questo non è dato sapere, ma ha poca importanza.
Durante
il viaggio di ritorno, Filottete e Telemaco
perfezionano il piano: ordineranno al poeta di corte di mettere assieme
una serie di racconti e leggende di marinai, ambientati in terre
lontane, per giustificare la lunga assenza di Ulisse. E così, Filottete viene
sbarcato nottetempo in un angolo di
Itaca, assieme alla sua ricompensa in oro e oggetti preziosi (fatta
passare come dono dei Feaci ad Ulisse); anche Telemaco sbarca sulla stessa
spiaggia con la scusa di andare a visitare le sue proprietà, e tornare in città
a piedi, mentre la nave fa il giro e
arriva in porto (per questo i Proci in agguato non la
vedono transitare). Filottete-Ulisse non
viene riconosciuto da nessuno,
tranne che dal cane (che non
può “testimoniare”, anche perché
muore subito), dalla vecchia nutrice, e in seguito dal padre Laerte, tutti
destinati a morire da lì a poco senza
potere smentire la loro testimonianza. Così moriranno pure tutti gli avversari
di Telemaco, come tutti i Proci e una dozzina di ancelle loro compagne. Gli altri servi fedeli, come
il porcaro Eumeo e il mandriano Filezio, si preoccupano di comunicarci che
riceveranno in premio una bella moglie, una casa e un podere. Mentre un altro
amico di Telemaco, l'araldo Medonte, guarda caso porta lo stesso nome del
"vice" di Filottete, che aveva preso il comando della spedizione a
Troia quando questi era stato lasciato a Lemno.
Quanto
a Penelope, difficile che non ne sapesse niente fin dall’inizio, visto che è
proprio lei in persona a indire la gara di tiro con l’arco da cui prenderà
avvio il massacro dei pretendenti, e comunque non sarà certo lei a denunciare
il figlio. Ma Telemaco non può compiere un golpe sanguinoso e farla franca, per
cui fa raccontare al poeta di corte una lunga storia in cui il legittimo
sovrano è tornato con l'aiuto degli dei per punire gli usurpatori. Compiuta
la strage, anche il falso Ulisse non può
restare lì come se niente fosse, perché qualcuno prima o poi lo riconoscerebbe,
per cui provvede ad autoesiliarsi, lasciando Telemaco unico erede al
trono. E infine Omero viene incaricato di mettere in bella copia
la storia dell’Odissea, e magari di
aggiungere qualcosina (raccontata
dalla viva voce
di “Ulisse”) all’Iliade. Ma il poeta
inserisce tutta una copiosa serie di indizi per fare capire come si sono svolti
realmente i fatti. E se qualcuno avesse avuto di che eccepire, il
poeta sarebbe sempre stato in grado di discolparsi: “Sono
cieco, come potevo riconoscere
Filottete? Nulla vidi, tutto sentii!”. L'Odissea è dunque un poema
celebrativo, nato per legittimare la presa del potere da parte di Telemaco
attraverso la nobiltà delle sue origini, confermata non solo dal “miracoloso” e
vendicativo ritorno del titolare Ulisse, ma anche dalla volontà divina.
Ma c’è
un altro “messaggio in bottiglia”, che vale la pena di notare: durante il viaggio di ritorno dalla reggia di Nestore ad
Itaca, Telemaco porta con sé un certo
Teoclimeno, in fuga per avere assassinato un uomo. Teoclimeno viene presentato
a corte, dichiara di essere un indovino
e profetizza che Ulisse è già in
patria. Ci si aspetterebbe che Teoclimeno, se non altro per
gratitudine verso Telemaco che lo
ha accolto togliendolo dai guai, si offrisse di dare una mano nel momento
cruciale della strage dei Proci. Invece
niente, sul più bello sparisce
dalla narrazione e non si fa più vedere!
Già, ma sarà semplicemente un caso che
“Teoclimeno” sembri quasi, come vedremo, un approssimativo anagramma di “Filottete”?
Ma torniamo
ad Omero, il cui nome può significare
anche “ostaggio”: è possibile che fosse un Troiano, finito
prigioniero degli Achei.
Questo spiegherebbe il motivo per
cui si avverte che fa il tifo per i
Troiani, e che conosce troppe cose accadute
entro le mura di Troia; se
fosse stato un cronista acheo, gli sarebbe stato
difficile ricostruire gli avvenimenti
troiani dopo la caduta della città. Ciò potrebbe forse spiegare anche le
differenze stilistiche tra Iliade ed Odissea;
per quanto simili, Achei e Troiani dovevano avere delle
piccole diversità di lingua e di religione, e dopo
essere vissuto per vent’anni tra gli Achei, lo stile
del poeta potrebbe essersi adattato alle usanze
della nuova patria.
Invece il
buon Telemaco doveva essere
un contaballe di prima
categoria, ma che a sua discolpa
poteva esclamare “tale il padre,
tale il figlio!”. Per dare un’idea di che bel tipo fosse,
basta leggere la scena in cui
strangola con gusto le
ancelle infedeli. E comunque, era
tutt’altro che un ragazzino
spaurito, ma una specie di piccolo
Stalin che liquidava ogni
oppositore, e modificava pure la storia a suo uso e consumo! Da Omero ad Orwell
c’è davvero poca differenza!
Che ne
pensate? Mandiamo questa storia
a Sherlock Holmes oppure al tenente
Colombo? Per concludere, devo aggiungere
che per me questo è stato un “serio
divertimento”, anche se non vorrei che questo concetto inducesse a pensare che
non ci sia stato un grande lavoro di studio e di verifica alla base; qui tutto
è rigorosamente documentato (e anzi, a dire il vero, non c'è cosa più seria del
divertimento). Qualcuno ha superficialmente bollato il mio lavoro come una
"fantasiosa ricostruzione", mentre in realtà andrebbero considerate
fantasiose le complicatissime interpretazioni pesantemente elaborate in miriadi
di studi letterari, che non hanno risolto la questione, ma anzi l'hanno resa
ancor più intricata; oppure potrei controbattere con il gustoso commento del matematico David
Hilbert, al quale era stato riferito che un suo allievo aveva abbandonato
l'università per diventare un poeta: "Non mi stupisce, non aveva
abbastanza immaginazione per fare il matematico.". In questa seconda edizione mi sembra di
aver dato risposte esaurienti alle
critiche, non sempre informate e in buona fede, che mi sono giunte da più
parti, in particolare quella di non essere un “esperto” di letteratura greca.
Però... però ho sottoposto la mia
ipotesi ad alcuni grecisti, che dopo
essere sobbalzati sulla
sedia ed avere strabuzzato
gli occhi, hanno balbettato
qualcosa come “Mah, sì, è possibile...,
ma non racconti in giro che glielo ho detto io!”.
Nelle
prossime pagine vedremo come il poema omerico, letto in questa chiave, senza
perdere nulla del suo immenso valore letterario, assuma improvvisamente una
unitarietà e una logica che nessuno prima d’ora aveva mai neanche sospettato, e
come la soluzione arrivi proprio esaminando il racconto da tutti i punti di
vista, non solo da quello dei letterati. L’Odissea non è semplicemente una
bella favola per bambini troppo cresciuti, ma un intricatissimo labirinto ricco
di continui ingegnosi riferimenti, che sfuggono inevitabilmente a chi non ha una solida preparazione
scientifica sul groppone.
“Quandoque bonus dormitat Homerus”, ogni tanto
dorme anche il buon Omero, proclamava
Orazio... ma forse Omero era molto più sveglio di quanto abbiamo sempre
creduto! Ora si capisce perché continuava a lodare l’arte dell’astuzia e
dell’inganno!
Dall'Introduzione a "L'ASTUTO OMERO - Ulisse, Nessuno, Filottete e il
geniale inganno dell'Odissea"
Salve. Stimandola, vorrei sapere cosa ne pensa di questo:
RispondiEliminahttp://chiesaepostconcilio.blogspot.it/2017/04/gesu-non-si-e-fatto-peccato-ne-diavolo.html
"Gesù si è fatto diavolo". A me pare una bestemmia. Altrò è dire serpente, ma diavolo...
Può rispondere nel merito?
Caro G. ovvero M. ovvero M.T.,
RispondiEliminacapisco l’urgenza di trattare l’attualità, ma cosa c’entra questo argomento con il tema del post? Non è che si possa passare la vita a commentare tutto quello che il papa dice o fà. Per questo ci sono i vaticanisti, gli Antonio Socci, gli amici sedevacantisti e tutti i siti dei cattolici controrivoluzionari. Comunque, vorrei tranquillizzarla: questo papa quando non legge i foglietti che gli ammanniscono, dice sempre quello che pensa o che gli passa per la mente in quel momento. Il problema vero è che non sempre pensa a quello che dice. Se ha bestemmiato, come Lei sostiene, se la vedrà con il suo confessore, ma non ne farei una questione di Stato.