11/02/17

Passeggiando tra le rovine





di Aldo La Fata

L’ultimo libro di Carlo Gambescia  “Passeggiare tra le rovine” (Edizioni Il Foglio, Piombino, Novembre 2016) che porta come sottotitolo “sociologia della decadenza” è un saggio estremamente interessante e godibile su una materia vastissima e conturbante, ma trattata, fortunatamente, con leggerezza di penna e chiarezza espositiva. L’Autore ha voluto confrontarsi con la decadenza nel nome di un “realismo non magico” (p. 50) e idealmente immedesimandosi con il calmo e lento passeggiare di un visitatore che prende semplicemente atto di ciò che vede e cerca di capire le cose per quello che sono, “quale memoria di una grandezza che non c’è più (pessimismo) e che pure c’è stata (ottimismo)” (p. 50).  Al lettore poi il difficile compito di tirare le somme che preferisce. D’altronde le idee presentate sono molte, molti i rimandi bibliografici e moltissime le letture affrontate. Si tratta intanto di coglierle nel loro insieme e in seguito di utilizzarle per un percorso di studi ad hoc. 
Gli studenti e gli studiosi di sociologia apprezzeranno, ma anche tutti quelli che credono nel valore della ricerca e nel pluralismo culturale. Un po’ meno forse i lettori che, aderendo alle idee dei “filosofi della crisi”, non sono facilmente disponibili a un cambio di paradigma, pur se temporaneo. Per questi ultimi il libro di Gambescia potrebbe essere un pugno nello stomaco o una pietra d’inciampo, oppure rivelarsi come una buona occasione per ampliare i propri orizzonti e costringere a ripensare in maniera più rigorosa le proprie idee e convinzioni senza dovervi rinunciare, semplicemente cominciando a vederle con maggiore chiarezza e con quella necessaria distanza che mette in salvo la mente da ossessioni e pensieri fissi che possono derivarne, anticamera di più gravi patologie mentali e comportamentali. Cosa che in certi ambienti ad alto indice di ideologizzazione, tanto a destra come a sinistra, si fa fatica a comprendere.
Da qui la necessità di prendere in esame tutto con occhio freddo e distaccato prima di aderire a una qualsivoglia idea. Certo, la controparte di un simile atteggiamento è il neutralismo (lo smettere di prendere parte a qualsiasi cosa) e forse persino l’omologazione, ma è un rischio da correre se si vuole entrare nell’agone della competizione culturale dove a vincere sono sempre i più intelligenti e preparati. Gambescia è senza dubbio tra questi ultimi, ma è uno che non sembra aver rinunciato per niente alle proprie idee. La sua posizione, come ho già detto, è quella di un realista, cioè di uno che pensa, giudica e agisce con concretezza e pragmatismo e che ragiona di conseguenza, con stretta aderenza alla realtà fattuale.
Per passare a qualche osservazione sui contenuti del libro in esame, direi subito che è soprattutto in conseguenza delle due guerre mondiali e relative devastazioni che molte teste pensanti si sono lasciate catturare dalla forza attrattiva del pessimismo storico finendo col generare una sterminata e variopinta produzione letteraria non solo saggistica sull’argomento. Infatti, i romanzi di intrattenimento su apocalissi, catastrofi, estinzioni di massa e simili, abbondano. Per non parlare della produzione cinematografica che ha fatto di questi argomenti un tema ricorrente, un evergreen dalle molteplici sfaccettature e chiavi di lettura.
Gambescia da par suo ha delimitato il campo al solo fenomeno della “decadenza” nel più ristretto orizzonte (si fa per dire, perché questo orizzonte è comunque vastissimo) della letteratura storica e sociologica. La tesi di fondo è che un tale studio possa essere utile se condotto in modo empirico e scientificamente distaccato, senza lasciarsi coinvolgere emotivamente. Il concetto stesso di “decadenza”, come anche il suo omologo arcaico “declino”, rimandano da una parte a una percezione soggettiva della realtà e dall’altra all’effettiva oggettività di un cambiamento che sta nell’ordine delle cose. Soggettivamente si può essere convinti di un reale processo di graduale deterioramento del mondo nel quale si vive, mentre nella realtà le cose possono stare diversamente e possono darsi anche percezioni in positivo dei cambiamenti in atto. Ciò significa che la decadenza o la sua idea non è per nulla un fatto certo e assodato, ma una semplice  “credenza sociale”, diciamo l’equivalente di un’ideologia e come tale suscettibile di essere condivisa o respinta a seconda dei punti di vista che si assumono. Chi la rifiuta ad esempio, vede nella decadenza il suo esatto opposto, e cioè un progresso. C’è naturalmente anche la possibilità che si valutino diversamente i processi di cambiamento e di trasformazione in atto e che si guardi ad essi con maggiore realismo e senza far intervenire giudizi di valore. Una tale varietà di posizioni ha suggerito a Gambescia l’opportunità di una classificazione dei diversi tipi umani in relazione ai rispettivi punti di vista. Ne è venuto fuori un geniale quadro d’insieme, assai efficace per la sua schematica semplicità. Per cui Nietzsche, De Maistre, Donoso Cortés, De Bonald sarebbero dei Neofobici; Marx, Engels, Schumpeter, Weber, Sombart delle Cassandre; De Gobineau, Gumplowcz, Evola degli Etnofobici; Chaunu un Demosociografo; Bouthoul un Demopolemografo; Huntington, Naess, Heidegger dei Tecnofobici; Guénon, Berdjaev, Maritain, Del Noce dei Devoti; Spengler, Sorel, Adorno, Horkheimer, Sorokin, Toynbee, Schweitzer, Ortega y Gasset dei Cultural-declinisti; Ferrero, Mosca, Pareto, Michels, Schmitt, Freund, von Hayek dei Realisti. Da buon sociologo e storico delle idee, Gambescia è riuscito con un semplice aggettivo a indicare la linea di pensiero di questi autori in rapporto al solo problema della “decadenza”. 

Un altro aspetto importante preso in considerazione dall’Autore è quello della manipolazione e strumentalizzazione dell’idea di decadenza (o di progresso) in chiave politica, ma anche dell’impatto psicologico e di quella gamma di sentimenti che vanno dalla paura all’ansia, dal disagio all’angoscia, dall’insicurezza alla paranoia che inevitabilmente vengono suscitati principalmente in chi ha scarso senso critico, oppure in chi ha serie problematiche psicologiche ed esistenziali. Le reazioni poi si diversificheranno in base ai soggetti, a quello in cui credono, al contesto in cui vivono, ecc. ecc. E’ quest’ultimo un aspetto di solito non messo a fuoco a sufficienza, ma rilevantissimo e assai attuale. Si pensi al catastrofismo ecologista o eco-catastrofismo e al modo in cui viene usato per scopi politici, imprenditoriali e commerciali, e dunque tutt’altro che disinteressati; o a quella critica della modernità senza speranza che paralizza qualsiasi umana iniziativa e dispone l’individuo a perdere progressivamente fiducia negli altri e in se stesso, con casi che sconfinano nella patologia psichica. A questo genere di condizionamenti non sfuggono neppure elementi della cosiddetta “destra culturale” (vecchia e nuova), compresi certi “tradizionalisti” vittime del “mito incapacitante” della “fine del ciclo” annunciato con profondità di dottrina dal metafisico francese René Guénon e ripreso con diverso vigore e furore ideologico da un Julius Evola. Su questo punto, Gambescia fa notare che un certo pensiero della decadenza ha fatto confondere gli Eterni che dovrebbero riguardare l’Aldilà, con il Mondano che invece riguarda l’Aldiquà. Ma questo è un punto difficile e controverso. Bisognerebbe comprendere bene cosa siano Dio, l’Anima, il Tempo e quella che chiamiamo Storia,  per esprimere un giudizio conclusivo. Stiamo parlando di realtà di cui, nonostante molti secoli di approfondimenti e riflessioni, abbiamo a mala pena imparato a balbettare qualcosa.
Gambescia onestamente preferisce non discettare su cose di cui persino gli addetti ai lavori (i “credenti”, per dirla sociologicamente) fanno fatica a comprendere. Il suo sguardo, ripeto, è quello dell’osservatore disincantato che ammira il passato senza nostalgie e guarda al futuro con sguardo sereno, vichianamente consapevole  dei “corsi e ricorsi storici” e del frequente ripetersi dell’uguale. Un modello interpretativo che il Nostro è andato chiarendo sempre meglio negli ultimi anni e che ha scelto di definire “metapolitico”. Ma attenzione, non nel senso di una “metafisica della politica” (Panunzio), e cioè di una dimensione dell’Eterno calata nella realtà storica e sociale della Polis, bensì in quello delle “costanti e regolarità”, ovvero dell’immutabile temporale della politica (quello che Tacito definiva “arcana impèrii”).
Leggiamo a pagina 132: “La decadenza, dal punto di vista analitico, rientra in pieno nello studio del ciclo politico e sociologico e perciò delle regolarità o costanti dell’agire politico e sociale. C’è un inizio e c’è una fine di tutte le cose non in senso teologico o filosofico (o non solo), ma in chiave sociologica di processi finiti all’interno di processi infiniti (o comunque non definiti), dei quali si ignora l’esito. Per conoscere ogni esito si dovrebbe inventare e possedere una macchina del tempo in grado di trasportare il suo equipaggio alla fine della storia umana”.
L’indeterminatezza dell’esito però non esclude che si possano anche azzardare precise previsioni. Ad esempio, osserva Gambescia, non c’è dubbio che i processi di caduta e decadenza di solito abbiano tempi lunghi:   la transizione verso un nuovo ordine sociale non può durare meno di 200 anni; mentre per un intero processo di caduta possono volerci anche 500 anni.
Con queste cifre risulta evidente, per parafrasare un Henri-Iréné Marrou pure citato da Gambescia, che la fine di questo mondo e di questa civiltà non  arriveranno di certo domani. Una conclusione quest’ultima, solo parzialmente condivisibile, a voler considerare la possibilità che imponderabili fattori extra-sociali intervengano ad accelerarne il processo. Il sociologo può senz’altro non tenerne conto, ma a prezzo di una riduzione importante della sua capacità predittiva. Al momento infatti, è assai difficile prevedere cosa ne sarà della civiltà occidentale e se essa sia destinata ad avere ancora un lungo tragitto davanti a sé o, al contrario, un breve torno di tempo. I normali processi storici possono avere battute di arresto che non dipendono né dall’uomo, né dalle sue consuete attività. Ad esempio, proprio considerando la storia dell’Impero romano analizzata da Gambescia come archetipo della “caduta” di una civiltà, dovremmo chiederci come sarebbe andata senza l’avvento del cristianesimo. Evento, quest’ultimo, assolutamente imprevedibile e giudicato al suo sorgere come irrilevante. Per quanto riguarda fenomeni non ascrivibili all’azione umana capaci non solo di deviare il corso della storia e imprimergli una diversa direzione,  qui si potrebbero ricordare  gli eventi catastrofici della preistoria, ma anche quelli più recenti e di cui in qualche modo è rimasta memoria, come il famoso e biblico Diluvio e altri.
Tempo fa il noto archeofuturista Guillaume Faye ci ricordava che una semplice tempesta solare può distruggere tutta la nostra tecnologia nel giro di poche ore e che un evento catastrofico di origine astronomica può devastare il pianeta e, nella più ottimistica previsione, ripiombarlo nell’età della pietra.  L’irruzione nel nostro mondo di una civiltà extraterrestre (un tema fino a ieri trattato dalla sola fantascienza, ma ultimamente, e forse con qualche ragione, anche da scienziati seri e qualificati) farebbe implodere dal di dentro la nostra società, azzerando di colpo tutte le attuali credenze e certezze. E teniamo volutamente fuori da questo scenario la possibilità, per così dire, di un’“iniziativa divina” che né la storia né la scienza vogliono includere nel loro orizzonte valutativo. Tuttavia, se è vero quel che scrive Robert K. Merton, anche lui citato da Gambescia, a proposito del fatto che è sufficiente definire certe situazioni come reali perché poi lo diventino veramente, almeno nelle loro conseguenze (le profezie che si autoadempiono: la diceria del fallimento di una banca legato al passaggio della cometa di Halley, influì sul suo effettivo fallimento), è altrettanto vero che certe profezie si verificano senza che i diretti interessati ne siano stati minimamente informati. Tanto per fare un esempio, è noto che i tre protagonisti degli avvenimenti di Fatima riferirono che la Madonna aveva detto loro che un grande segno nel cielo notturno (“una notte illuminata da una luce sconosciuta” furono esattamente le sue parole) avrebbe preceduto una seconda guerra mondiale. Il 25 gennaio 1938 ci fu effettivamente un aurora boreale visibile in tutto l’emisfero settentrionale, compresa l’Europa e il Nord Africa, che così Albert Speer descriveva nelle sue “Memorie del Terzo Reich”: «Quella notte ci intrattenemmo con Hitler sulla terrazza del Berghof ad ammirare un raro fenomeno celeste: per un’ora circa, un’intensa aurora boreale illuminò di luce rossa il leggendario Untersberg che ci stava di fronte, mentre la volta del cielo era una tavolozza di tutti i colori dell’arcobaleno […]. Lo spettacolo produsse nelle nostre menti una profonda inquietudine”. Ora, è un fatto che Hitler nulla sapesse dei veggenti e di quella profezia e anche se ciò non è sufficiente a dimostrarne l’autenticità, ci suggerisce prudenzialmente di includerla tra quelle variabili, remote quanto si vuole, in grado di squadernarne i processi storici ordinari. Come a dire che tra gli “attori politici” si dovrebbero includere anche gli dèi immortali (su questo punto la metapolitica di Silvano Panunzio che crede, per così dire, in un “Dio interventista” si discosta notevolmente dalla metapolitica di Carlo Gambescia che occupandosi delle sole “regolarità sociali”, lascia Dio alla teologia o alla metafisica riducendolo sostanzialmente a un “inoperante”, almeno sul piano storico). E’ un punto questo assolutamente dirimente, in quanto uno scienziato che escluda Dio dal suo orizzonte, di fatto limita le sue stesse possibilità di comprensione. E se pure è vero che per ogni materia è bene, con Aristotele, utilizzare “lo strumento adeguato”, è altrettanto vero che uno strumento che venga privato del suo fondamento più intimo rischi per ciò stesso di essere inadeguato. Difficile, molto difficile, trovare un punto di sintesi.
Naturalmente, le considerazioni che precedono nulla tolgono al valore di questo libro, scritto (come tutti gli altri di Gambescia) con liberalità, intelligenza, cultura e apertura mentale.   Credo che si tratti del modo giusto di scrivere un libro, con l’idea cioè che chi ne entrerà in possesso e ne affronti la lettura, trovi in esso dei motivi non già per fermarsi, ma per andare avanti e oltre.  


38 commenti:

  1. Intellettuale liberale,laico e razionalista. Bravo ma incapace di lasciarti nulla al termine della lettura dei suoi libri, se non un' impressione poco dirimente di impossibilità ad agire per correggere la decadenza. Che solo lui ha diritto di definire tale,altrimenti se ci si cimenta in tal senso si è tradizionalisti o mentalmente tarati.Al termine della sua panoramica che reclama asettica oggettività ci si trova come alla fine di un dettagliato testo sui funghi,con annesse le stesse emozioni; quelle di chi è grato all'autore di cotanta opera di informazione.
    Naturalmente ognuno è libero di leggere ciò che più gli aggrada,ci mancherebbe.

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  2. "Realista, cioè uno che giudica, pensa e agisce con concretezza e pragmatismo e ragiona di conseguenza,con stretta aderenza alla realtà fattuale".
    Questo viene detto circa il contenuto della sua opera.
    Cosa che in realtà a mio avviso corrisponde al più profondo e radicato dei pregiudizi, quello che esista una realtà oggettiva in quella che qualcuno chiamò la superstizione dei fatti.
    Essere liberali, avendo così la facoltà di sparare (e dico: giustamente!)a destra e a sinistra, visto che nessuno ti può rimproverare niente,perché di fatto il liberalismo non è mai storicamente corrisposto a nulla; una vera invenzione dei poeti. Al massimo una aspirazione ideale senza Dio né Tradizione, dunque prodotta dalla stessa decadenza che si vorrebbe monitorare oggettivamente.
    Un Eco di destra o uno Spengler di sinistra; il quale mi è capitato di leggere nel suo blog in passato. E come tutti i presunti liberali trattiene a fatica l'impulso a stigmatizzare chi la pensa diversamente da lui, tanto per ostentare il proprio liberalismo di contro ai fanatici, ma tradendo la propria natura umana....che mai sarà realmente liberale, perché naturalmente insofferente verso le posizioni che confliggono con la propria.
    Certamente uno scrittore colto, meglio di tanti altri, a volte arguto e profondo e con le carte in regola per mostrare la sua opera nei migliori salotti che contano.
    Spero nessuno se ne senta offeso.

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  3. Cari Amici, attenzione alle trappole dei pregiudizi. Gambescia è un sociologo e il suo libro è principalmente un testo per addetti ai lavori. Significa che non lo si può leggere con la lente deformata dal pregiudizio ideologico. Io pur non essendo un sociologo, l’ho letto con molto profitto, trovandolo di grandissimo interesse, pieno di idee e di spunti notevoli di riflessione. Se poi invece, uno se la vuol pigliare con l’Autore semplicemente perché è un liberale e si professa “un realista”, faccia pure, ma così rischia di non cogliere nel segno e soprattutto di andare fuori tema. Comunque, giacché credo che non abbiate letto il libro, ma solo la mia recensione, non posso che invitarvi a farlo e solo dopo magari a formulare un giudizio meno impressionistico.

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  4. Se Lei leggesse l'articolo di Gambescia, dal titolo "la scommessa di Trump", ne ricaverebbe temo la stessa irreversibile impressione negativa che ne ho ricavato io.
    Egli pensa che Trump, mettendo il veto all'ingresso degli islamici di sette paesi, lotti contro il terrorismo "sedendosi al tavolo della storia a differenza dell'Europa". Non conosce evidentemente il contributo decisivo che gli Usa hanno dato alla creazione di questo stesso terrorismo, grazie al sodalizio con i monarchi corrotti sauditi; che tale terrorismo alimentano a suon di denaro.
    E mille altre cose potrebbero essere dette su questa stessa falsa riga.Chi pontifica sulle apparenze come un Mentana qualsiasi non attira di certo il mio interesse.
    Comunque non c'erano iraniani, iracheni o siriani tra i presunti autori dell'attentato alle torri gemelle. Ci sono però oltre 60.000 bambini morti nella guerra saudita allo yemen con appoggio Usa che Trump sta confermando nei fatti. E questo Gambescia sarebbe uno che si attiene ai fatti? Sarebbe lo scrutatore oggettivo della realtà?
    Finché insulta Grillo e difende Renzi sono affari suoi. Quando di esibisce con la superficialità a cui si è fatto cenno non merita che l'oblio. Più che altro perché non si butti via tempo prezioso inseguendo le lucciole (mediatiche) scambiate per lanterne.
    Per tornare al libro, sospendo senz'altro il giudizio. Ma in una delle tante recensioni che ho letto si parlava dell'autore che smonterebbe la tesi della decadenza relegandola al ruolo di un punto di vista. Il che mi fa pensare ad una elaborata,dotta e sofisticatissima presa per i fondelli. Ma magari mi sbaglio.

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  5. Condivido tutti i commenti sopra, tranne quello di Aldo: che, vedo, tende a giustificare un po' tutto quel che passa il convento (convento che nel frattempo è deflagrato). Gambescia è uno che è passato all'altra sponda, e che non ha vissuto l'abisso che è toccato alla generazione successiva alla sua: per questo pontifica, credendo pure di essere intelligente. Le cose che lui elabora io le avrei potute scrivere alle elementari. Maschera la propria superficialità, per non dire altro, con una presunta oggettività, però liberale: già il termine mostra la pochezza, intellettuale e morale, della proposta. A lui però è concesso: gli altri sono solo nostalgici, poveri scemi reazionari. Un po' poco, francamente: soprattutto se, in questi libercoli, si pretende di attaccare un pensiero profondamente radicato nell'ethos europeo, con qualche banalità buttata qua e là. Il fatto che il tizio in questione appoggi Renzi, se è vero, lo qualifica nel modo migliore, per quel che è. Molto peggio dei veri comunisti, che meritano rispetto. Cosa che il Gambescia non merita, se dice pure che il MSI non ha dato alcun contributo storico (lui invece, sociologo liberale, sicuramente sì): come disse M. Fini in un memorabile intervento, riferito ai neocon --che per Gambescia saranno certamente grandi benefattori--: "fate tutte le guerre che volete, ma non prendeteci per il culo".

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  6. su Giano Accame: l’unico grande intellettuale della destra neofascista.

    Gambescia continua con le sue tesi esilaranti. Non sa niente. Gli abbiamo dedicato pure troppo tempo: merita l'oblio.

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  7. A Marco:
    di grazia, quale sarebbe “il pensiero profondamente radicato nell’ethos europeo”? Ma per favore!
    I veri comunisti meritano rispetto? E i veri Nazisti, no?

    Massimo Fini è senza dubbio un discreto giornalista e un buon polemista, ma non è né un grande studioso, né un grande intellettuale, né un grande storico.

    Su Giano Accame Gambescia ha ragione da vendere, se ci si riferisce come lui fa correttamente alla “destra neofascista”. Se tu puoi dirci quali sarebbero gli altri nomi che reggono il confronto, siamo tutte orecchie!

    Circa Gambescia, mi spiace ma veramente non sai di cosa parli. Se avessi letto ad esempio “A Destra per caso” non avresti mai detto che “è passato all’altra sponda”. Succede quando si vuol giudicare ciò che non si conosce. Sei dunque tu che pontifichi e non il nostro Autore che quanto a stile, generosità, signorilità, preparazione, intelligenza e ironia ti supera di molte lunghezza (scusa la franchezza, ma anche tu non ci risparmi mai la tua).

    Sul contributo storico del MSI si può discutere e anch’io posso non convenire con Gambescia, ma poi allora bisogna argomentare e non limitarsi a dire che non si condivide la sua conclusione. Cosa però non facile e te lo dice uno che il MSI l’ha vissuto e conosciuto dal di dentro.

    In conclusione, caro Marco, penso sinceramente che sia il tuo commento a meritare l’oblio.

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  8. Scrive Marco:
    “Cerchiamo di mantenere la calma: io tentavo solo di vivacizzare la discussione, con tono polemico ma in fondo affettuoso. Se non è stata colta la mia intenzione, sono addolorato, ma non offeso.

    di grazia, quale sarebbe “il pensiero profondamente radicato nell’ethos europeo”?

    Il "tradizionalismo", che mi pare Gambescia, il nostro amico liberale, degrada a "filosofia della crisi". Forse per lui la crisi non c'è mai stata: lui ha l'occhio oggettivo del liberale, più scaltro rispetto a quello incartapecorito dei tradizionalisti. Fondamentalmente, io rispetto tutti quelli che non tradiscono.

    Su Giano Accame Gambescia ha ragione da vendere, se ci si riferisce come lui fa correttamente alla “destra neofascista”. Se tu puoi dirci quali sarebbero gli altri nomi che reggono il confronto, siamo tutte orecchie!

    Potrei enumerarne a decine. De Turris, Romualdi, Rauti, Freda, Mutti (il più colto di tutti) sono i primi nomi che mi vengono in mente, paragonabili a Accame; anche Erra non era male. Spero li conosciate, non limitandovi al geniale ma postmodernisticamente confusionario Panunzio.

    Sul contributo storico del MSI si può discutere e anch’io posso non convenire con Gambescia, ma poi allora bisogna argomentare e non limitarsi a dire che non si condivide la sua conclusione. Cosa però non facile e te lo dice uno che il MSI l’ha vissuto e conosciuto dal di dentro.

    La prossima volta scrivo un trattato sul MSI e poi lo posto.

    In conclusione, caro Marco, penso sinceramente che sia il tuo commento a meritare l’oblio.

    Io sono già nell'oblio: non devo scendere da alcun palco, nè ritirarmi, dopo essermi esibito, nelle quinte di alcun circo.

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  9. Scrive il sig. Armando:
    La Fata M. Fini è una figura notevole non sminuirlo. E poi siamo stufi delle solite diatribe fra La Fata e M. Toti. Fra l' altro il lato assurdo è che tutti o quasi in questo Blog stanno dalla parte di Toti quindi forse è il caso che l' algido Aldous si faccia una volta per ritenuto Buon esame di coscienza. Adieu Armand

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  10. Ho riporto sopra, ma solo parzialmente, il nuovo intervento di Marco e quello di Armando. Mi scuso con i due interlocutori per le censure, ma vorrei evitare che si continuasse con gli insulti che risultano sgradevoli e soprattutto nulla aggiungono alla discussione. Discussione in realtà mai veramente iniziata, perché si è partiti lancia in resta con aggressioni verbali nei miei confronti e nei confronti di Gambescia, ritenuti entrambi paladini e difensori del libero pensiero del più vieto conformismo politico e culturale. Con queste premesse da Bar dello Sport è ben difficile intavolare una discussione e viene solo voglia di chiuderla con una semplice alzata di spalle. Dove sono le tematiche affrontate nella mia recensione? E soprattutto: dov’è il libro di Gambescia? L’unica cosa che interessava, evidentemente, era cogliere l’occasione per infangare l’onorabilità mia e dell’autore del libro e In nome di che cosa poi? Di sua divina grazia “la Tradizione” e di sua eccellenza reverendissima “la Destra fascista missina e post-missina”. Sarebbe interessante discutere a fondo di queste due entità sacre e inviolabili e non è detto che prima o poi io stesso non tenti un’escursione in tal senso. Vedremo.
    Vendendo brevemente ai due ultimi interventi. A Marco: nessuno degli intellettuali che citi è a rigore di termini un “neofascista”. Non lo è De Turris il cui contributo più importante è stato quello di far conoscere Evola e sponsorizzarne l’opera. Scrittore scrupoloso e pignolo con un discreto background di letture, eccellente operatore culturale, ma lontano dalla politica attiva. Non mi risulta sia mai stato un punto di riferimento sul piano intellettuale per i militanti politici del “neofascismo”. Romualdi ha scritto talmente poco che non ha fatto in tempo a diventare niente. Purtroppo era solo una giovane promessa prematuramente scomparsa e, come il suo maestro Evola, più austriacante e germanofilo che italianamente fascista. Rauti è stato senza dubbio un “maestro” per molti missini e neofascisti, ma viene ricordato solo per il suo “Le idee che mossero il mondo”. Ieri rappresentava l’altra anima del MSI in contrapposizione ad Almirante e poi a Fini (Gianfranco), oggi, letteralmente, non se lo fila più nessuno e sembra quasi che il suo pensiero non abbia lasciato traccia. Freda tutto è fuorché un “neofascista” (solo i carabinieri, la procura e qualche giornalista ignorante lo consideravano e lo considerano tale). Quanto a Mutti che tu giudichi “il più colto di tutti” (può essere, non nego, ma la cultura non consiste solo nella pura erudizione e specializzazione, ma, per così dire, in una prontezza di spirito e a un tipo superiore di umanità che diffonde luce spirituale e conoscenza; e qui, a mio modo di vedere almeno, cascano tutti gli asini eruditi, anche il buon Mutti) più che un “neofascista” è più corretto definirlo un “neo-nazista” (senza offesa, s’intende), come d’altronde lo è in parte anche Freda. Su Erra invece, posso convenire: un intellettuale di gran pregio e dei nomi che hai fatto forse l’unico vero “intellettuale neofascista”.
    Al caro sig. Armando che ha ben donde nel dirsi stanco dei battibecchi tra me e Marco (ma le assicuro che ha molti non dispiacciono affatto e che anzi qualcuno ci si diverte pure), vorrei timidamente far notare che i lettori del Blog per fortuna non sono solo quelli che intervengono e prendono posizione, ma sono molti di più. Come lo so? Mi scrivono in privato e sovente si dicono d’accordo con me. Libero Lei di non crederci. Per quanto riguarda Fini (Massimo), non lo sottovaluto affatto, ma il suo presenzialismo televisivo (una volta, adesso assai meno), mi ha sempre lasciato perplesso. Preferisco i pensatori che si tengono lontani dalle telecamere. Non gliene faccio certo una colpa, ma a me non piace. Circa il suo coraggio, mi permetto di dire che è ben calcolato. Per quanto riguarda le cose da lui scritte, anche i libri storici, non credo siano letture imprescindibili.

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  11. Bene così allora. Ma il.fini più interessante è quello che critica e analizza i vizi oscuri dell' occidente e interpreta in modo sopraffino nietzsche. Fini non appare più purtroppo per una grave malattia agli occhi . Ce ne fossero intelletterali come lun nel deserto di idee innocui viviamo.. Armando

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  12. In questo brulicare di interventi, polemiche e diatribe...il tutto inteso ed interpretato in chiave positiva...ho finito per cedere alle corrispondenti suggestioni e mi sono deciso finalmente a prendere in mano un testo che ha un titolo simile a quello di Gambescia, ma che non avevo mai letto essendo io poco appassionato di politica; libro che avevo acquistato molti anni fa dal titolo "Gli uomini e le rovine", di J. Evola e che è l'unico testo dell'autore romano che non avevo mai letto.
    Tra l'altro letture dello stesso genere ma di segno non del tutto simile mi avevano spinto ad evitare di completare il "giro" di tutte le opere evoliane le cui tesi di fondo non condivido più del tutto sia perché sono ora in grado di eludere le inutili adesioni emotive, sia perché sento che la semplice "drittura interiore" non possa sostituire la "Tradizione vivente" né farla rivivere.
    Circa Gambescia, non nego di essere vittima del pregiudizio,ma preferisco quasi un comunista serio e rigoroso che un fumoso liberale che, parandosi magari sotto l'ombrello di una figura mitizzata come Croce, si ponga nella posizione di poter sparare a destra e a manca, senza una proposta seria costruttiva che non può avere chi aderisce di fatto al mondo verso il quale rivolge il proprio sguardo "imparziale".Visione certamente "impressionista"; che tra l'altro non esclude la possibilità di leggerlo davvero questo testo, visto che di Lei certamente mi fido, Aldous.Non credo avrebbe mai presentato un libro senza avere la convinzione sincera del suo valore o almeno della sua utilità.
    Parafrasando il sig Nibbio Angelo,se mi è permesso, direi che da un' opera non all'altezza ci si possa sempre riprendere, ma da un'indigestione di funghi....

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  13. Come già scritto, non volevo tanto insultare, ma elevare il livello dello scontro dialettico, vivacizzarlo con ipotesi spericolate, ardite, trascendentali. Ho utilizzato l'espressione "neofascista" in senso lato; confermo il mio parere su Panunzio, geniale, intemerato "trickster" dell'astrologia italica ed amico personale di Roncalli.

    dov’è il libro di Gambescia?

    Non ne ho idea. Ma ne ha scritto veramente uno?

    Cari saluti a tutti, con affetto.

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  14. Caro Arvo,
    Gambescia non è affatto “fumoso” e i suoi pensieri e ragionamenti sono sempre chiari e distinti. Basta però leggerlo sul serio e non per procura o in pillole. Non essendo né un guru né un politico né un ideologo ma uno “scienziato sociale”, non propone e non indica strade da percorrere, limitandosi a studiare le pratiche e le tecniche dell’agire politico e dell’esercizio del potere alla luce delle “costanti e regolarità”. I suoi “giudizi politici” possono pure non essere condivisi, ma stanno tutti nel solco di una tradizione illustre – quella liberale – che ha autori di grandissimo pregio che un serio pensiero conservatore non può permettersi di trascurare o peggio ignorare. Pena il commettere gravi errori di interpretazione della realtà sociale e politica e cadere più facilmente vittima di politicanti azzeccagarbugli, demagoghi da quattro soldi, furbetti del quartierino e maître à penser non del tutto disinteressati.

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  15. Caro Marco,
    Peace, peace, Marco-Mercutio, peace!
    Thou talk’st of nothing. Thou talk’st of nothing. E a proposito di ipotesi ardite, non sarà che sotto sotto nascondi un amore segreto per Gambescia? Come spiegare altrimenti tutto questo astio malcelato da innamorato respinto? Per quanto riguarda il nostro Panunzio che amava anche i matti (e non sto dicendo che tu lo sia, ma anche se lo fossi non dovresti sentirti offeso: a questo mondo nessuno è perfetto!), sono sicuro che ti avrebbe accolto e voluto bene, ma allo stesso tempo che non ti avrebbe risparmiato anche qualche scappellotto ben assestato.
    Chiedo scusa all’amico Armando per averti dato corda anche stavolta e ti saluto sine ira et studio

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  16. Conosco Gambescia dal web ed ho pure intrattenuto con lui dialoghi e scontri interessanti. Sugli scienziati sociali, come amano definirsi, nutro più di un dubbio. Son quasi tutti affetti da riduzionismo, anche se poi trattano spesso di macrosistemi. Ho letto il libro in esame e l'ho trovato ottimo come carrellata antologica del pensiero cosiddetto decadente o pessimistico degli autori qui trattati. Però ho pure notato una malcelata ostilità di fondo, quasi a mettere alla berlina il pensiero magico, o metafisico in alcuni casi di chi legge o, meglio, "vede" la storia come uno scontro di forze ultraterrene, per cui il mondo non può che scendere la china, non può che deflagrare, cadere verso la dissoluzione. Cristo ha previsto la fine di un mondo quando ritornerà, già questo, mi pare, sia sufficiente per far saltare ogni sociologia e propendere per coloro i quali, in forme e contenuti differenti, hanno sostenuto il tramonto dell'umanità tutta. La sociologia risente ovviamente del razionalismo scientista, e può diventare più fideista dell'umanesimo filosofico. Pretendere di costruire algoritmi sugli stati nascenti, sui movimenti di massa, sull'uomo, è come credere di poter racchiudere il mare in un pozzo. Gambescia è troppo intelligente per cedere a tali tentazioni, ma il rischio è dietro l'angolo.

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  17. Grazie Angelo per l'intervento pacato che se non altro solleva dei problemi reali in cui da anni mi dibatto anch'io. Più che di razionalismo scientista o scientifico, nel caso di Gambescia, parlerei di una forma di aristotelico razionalismo critico. E’ il primo ad essere pernicioso e a poter avere esiti totalitari e violenti, mentre il secondo non solo è innocuo ma è anche un valido contrappeso all'irrazionalismo a-critico che è l’altra faccia della medaglia del razionalismo scientista. Nel “pensiero magico e metafisico” purtroppo non è tutto oro quello che luccica e senza il soccorso del pensiero critico si rischia di deragliare verso forme di fanatismo “religioso” di cui anche ai giorni nostri vediamo le devastanti conseguenze. D'altra parte viviamo in un mondo assai complesso e variegato e cercare di far prevalere un punto di vista sull'altro è un modo come un altro per aumentare il caos e i conflitti sociali.

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  18. Caro Marco,
    siccome il mio blog è tra i link preferiti del blog di Gambescia devo supporre che il Nostro ci legga eccome. Tra l’altro voglio ricordare che in passato ho curato personalmente un’intervista all’Autore che è apparsa sul Corriere metapolitico e ho recensito, se la memoria non mi inganna, almeno altri suoi tre libri e curato la prefazione e traduzione di un volume di Dalmacio Negro inserito nella stessa collana del Foglio di Piombino che ora ha pubblicato “Passeggiare tra le rovine”. Gambescia ha dunque non solo la mia stima e amicizia, ma anche quella di molti lettori del Corriere. Quindi, caro Marco, come al solito non sai di cosa parli, ma vuoi dare l’impressione di saperlo benissimo. Una pessima cosa per chi ha passato la sua pur breve vita curvo sui libri e si è pure laureato con buoni risultati.
    p.s. Poiché non intendo proseguire l’inutile polemica con te e per evitare che il buon Armando mi tolga il saluto, sono costretto a censurarti. Se poi vuoi dire qualcosa che contribuisca ed elevare il dibattito, sei il benvenuto, ma evitaci ti prego il tuo sarcasmo che tra l’altro mi pari non sia proprio una evangelica virtù.

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  19. Bene, grazie infinite per le dure ma belle parole.

    Una pessima cosa per chi ha passato la sua pur breve vita curvo sui libri e si è pure laureato con buoni risultati.

    No, non ho passato tutta la vita curvo sui libri. Proprio oggi cercavo di raddrizzare la schiena, sentendomi autentico uomo tra le rovine: ma, anche se mi piace passeggiare, non sono certo un flaneur.
    Altro che laurea! Ho mille altri titoli, tutti importanti ed altrettanto inutili.
    Il sarcasmo è una prova dissimulata di amicizia.

    Un cordiale saluto.

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  20. Per chiudere vorrei correggere il tiro, avendo finito per dire cosa diversa da quella che volevo.
    La "fumosità" non sta certo nell' autore che conosco solo per il suo blog,ma nel pensiero "liberale" in sé, essendo quest'ultimo la causa storica del pensiero " libero da Dio". Lo stesso moto che fu alla radice del movimento di emancipazione umana dal vincolo del Sacro.
    Poi se il trattato sociologico di Gambescia è per specialisti del settore è a questi che Lei si dovrebbe rivolgere,senza dolersi troppo se qualcuno si sente poco appagato dalla materia. E cerca invece per altra via una soluzione che risolva il male in corso. Non dubito che ciò che avete proposto si presenti nel migliore dei modi.
    Infine direi che noi tradizionalisti ( per quanto le etichette lascino il tempo che trovano )non siamo più sconfitti dalla storia di quanto non lo siano i liberali. Certamente lei appartiene a questi ultimi e in questo non trovo niente di male. Spero che la cosa sia reciproca.

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  21. Ringrazio Marco per la leggerezza del suo ultimo intervento che rende giustizia alla sua intelligenza.
    Ad Arvo vorrei solo dire che pur se è vero che il libro di Gambescia è scritto per “addetti ai lavori” (sociologi e studenti di sociologia), nondimeno i suoi contenuti come illustrati dal sommario che ho appena aggiunto al post, possono utilmente arricchire il punto di vista di qualsiasi lettore. Non bisogna infatti solo “insistere e persistere” nel proprio punto di vista, ma anche confrontarlo con altri diversi e sottoporlo a verifiche continue. E’ solo da un continuo ripensamento delle proprie idee che queste si migliorano e si perfezionano.

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  22. Diceva Mark Twain che la democrazia è possibile a tre condizioni: che ci sia la libertà di parola, la libertà di coscienza, e la saggezza di non farne uso. Direi che è vero anche per la democrazia del dibattito sul web.
    Il libro di Gambescia l'ho letto anche io, e l'ho ritrovato nella recensione, molto equilibrata, del padron di casa. Non ci sono "risposte", se per "risposte" si intende soluzioni del quiz "ce la farà la nostra cara civiltà europea a ritrovare il suo splendore?" A parer mio, non è che la soluzione manchi perchè a Gambescia non interessa, o perchè non sia legato affettivamente all'Europa e alla sua civiltà. La soluzione manca perchè Gambescia si impone, da stoico più ancor che da liberale, l'imparzialità scientifica, e dunque il rispetto rigoroso dei limiti della sua disciplina. Il realismo sociologico è sforzarsi di vedere quel che sociologicamente c'è (cosa non facile). Se il sociologo parla della presenza di Dio nella storia, parlerà delle istituzioni religiose, delle credenze, etc., ma non farà una lettura "presentista" dell'Apocalissi di Giovanni, cercando di individuare il personaggio contemporaneo indicato dal numero della Bestia.

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  23. Ringrazio il "mitico" Buffagni che mi pare chiarisca assai bene la posizione dell'Autore del libro e nello stesso tempo risponda anche alla questione sollevata dall'amico Arvo.

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    1. Grazie a Lei, anche del "mitico" (però, non lo sapevo di essere mitico...)

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  24. Non so se l'economista Jacques Turgot alla corte di Luigi XVI,sostenuto dagli illuministi, possa essere considerato un ispiratore della sociologia moderna. Ma in ogni caso per ciò che mi riguarda ogni diffidenza è d'obbligo,anche perché se non vado errato a lui è stato attribuito l'atto di svilire l'attitudine umana precedente a collegare Dio (inteso non necessariamente secondo i canoni ordinariamente cristiani) alla storia dell'uomo stesso e del suo pensiero. Da li in avanti la sociologia, se la mia interpretazione è corretta, ha assunto tutti i crismi della scienza così come è giunta fino ai tempi nostri. Dunque, sia pur in maniera imperfetta e perfettibile, temo di sapere a grandi linee cosa sia la sociologia e quali purtroppo i suoi limiti; che sono quelli di ogni materia specialistica con pretese scientifiche.
    E'stato un piacere leggere l' intervento precedente del sig Buffagni ( che ha peraltro un nome simpaticissimo che ho già sentito da qualche parte),che ringrazio per le considerazioni che ha esposto.
    Il mio errore è stato certamente non tenere conto della prospettiva particolare in cui si pone un testo come quello in discussione, che non può certo andare incontro ad un certo inveterato bisogno di "causalità" che andrebbe soddisfatto percorrendo altre vie.Per trovare un pò di pace, intendo....
    Saluti a tutti.
    Roberto.

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    1. Grazie a Lei per la replica cortese. Se ha sentito il mio simpaticissimo nome a proposito di un celebre locale notturno della Riviera romagnola, sono purtroppo costretto a dirle che il proprietario non sono io ma un mio omonimo...

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    2. In verità si è trattato di una battuta mal riuscita, avendo voluto alludere al nome proprio, che condividiamo con poche migliaia d'altre persone, dalla Riviera agli immediati dintorni.
      Roberto....appunto.
      Bene, adesso non vedo l'ora di finire l'introduzione di Alain de Benoist per entrare nel vivo "delle rovine". Che per il momento non sembrano somigliare a quelle delle quali abbiamo parlato finora.

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  25. He leído con sorpresa alguno de los comentarios al libro de Gambescia. Tal vez habría que decir, como en el lenguaje del código penal, "presuntos comentarios", pues desde luego me resulta imposible reconocer en los mismos "Passeggiare tras le rovine", libro que tengo no sólo leído, sino también estudiado, como otros diez libros anteriores del mismo Gambescia. Me hubiera extrañado encontrarme en estas páginas una escatología o una futurología. Esas disciplinas de la inteligencia, muy respetables, nunca las ha cultivado el autor al autor. Gambescia conoce los límites de su disciplina, la sociología. Este libro concretamente, como el anterior sobre el liberalismo triste -cuya traducción ha alcanzado notable repercusión enEspaña-, es un tipo de libro que "se interroga, por encima de las circunstancias, sobre las constantes que permiten agrupar la diversidad de experiencias particulares en cuadros de pensamiento significativo". Tomo la cita del Apéndice de Julien Freund a la reedición de L'essence du politique de 1985. Miglio y el propio Gambescia llaman a eso REGOLARITÀ. En ese plano se mueve esta sociología de la decadencia.

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  26. Ho letto tutti i commenti e anche il libro (per ben quattro volte, ma non perché non l'abbia capito la prima).
    Concordo con la conclusione di Roberto Buffagni e con la recensione "generosa" del padron di casa.
    Scrivere un libro del genere – su tale spinosa materia – è già un atto di coraggio in sé, e per questo merita il rispetto di chi abbia voglia di leggerlo senza soffermarsi troppo (o addirittura fermarsi) non dico al titolo, non dico alla quarta di copertina, ma addirittura al nome dell'autore.
    Per evitare disarmanti "fuoripista" occorrerebbe fare come durante la consegna dell'elaborato all'esame da giornalista: il nome dell'esaminando deve (dovrebbe ;) ) essere consegnato in busta sigillata e siglata da inserire nella busta principale per evitare favoritismi o stroncature preventive da parte della commissione.
    Detto questo – a mio modesto giudizio – il libro di Carlo Gambescia non è classificabile in una categoria predefinita.
    È un testo che spazia dalla "manualistica" (ovvero fornisce consigli e strumenti di lettura, ma non li impone) al saggio, senza però sconfinare nel Manifesto dei Liberali tout court: seppur indicando una via nelle conclusioni, comunque lasciate ampiamente al lettore.
    Insomma, mi par di vedere nel testo più argomentazione che soliloquio, più descrizione che opinione.
    E poi decidiamoci una volta per tutte: se si scrivono cose nuove si contesta l'iniziativa, se si divulgano idee classiche o vecchie è plagio: così non se ne esce…
    Un libro può essere ottimo o pessimo, ma non dipende sempre dall'autore, spesso dipende da chi lo legge (se lo ha letto).

    PS: parlare di democrazia per un libro è ridondante: se mi incuriosice, lo leggo; se mi lascia qualcosa lo recensisco positivamente; se non mi lascia nulla lo ignoro.
    La stroncatura è appannaggio dei critici di professione (magari prezzolati o di parte) o di chi cova un malcelato livore, spesso non nei confronti del libro, ma, come accennavo, del suo autore.

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  27. Un libro può essere ottimo o pessimo, ma non dipende sempre dall'autore, spesso dipende da chi lo legge (se lo ha letto).

    Insomma, se uno ammazza qualcuno la colpa è di quel fesso, magari pure astioso, che si è fatto ammazzare (se è morto davvero, altrimenti è doppiamente colpevole). Ragionamenti,se così vogliamo definirli, da fase terminale dell'età del lupo, con tutto il rispetto per il nostro amico Carlo da Pompei (posto troppo tradizionale, però: inseriamo tra i resti della città qualche avanguardistica opera di "street art" o una geniale idea delle archeostar pagata da noi, bisogna sapersi confrontare altrimenti si perde il contatto con la realtà).
    Io mi tengo i classici e i ripetitori. Il Leopardi minore varrà sempre infinitamente più che il miglior Piperno; una chiacchierata con Evola ubriaco che insulta la governante sarebbe stata mille volte più significativa che la lettura di un trattato di Severino o di Cacciari. Bisogna tracciare un limine, oltre il quale non si può andare, pena la scomunica "latae sententiae".
    Tra l'altro, a dimostrazione che non sto sempre curvo sui libri, ora mi devo preparare perché ho una partita di calcetto: nella squadra avversaria ci sono due lassisti, di cui uno anche solipsista, che pare abbia letto ben dieci volte Bukowski, non perché non lo avesse capito la prima, ma perché sostiene che la sua originalità, che ha vari livelli di lettura, meriterebbe il Nobel. D'altra parte, non gli si può dare del tutto torto: se l'hanno dato pure a Fo, lo potevano concedere pure a Bukowski, che almeno era simpatico.

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    1. Gentile Marco, ancora meglio: Carlo da “Bombey”, battuta in ambito Totò.
      Altri livelli. (Ovviamente Bombay, oggi Mumbai).

      In relazione a quanto afferma, nessuno è mai morto leggendo un libro, a meno che non l'abbia mal interpretato.
      Scrivendolo, invece, le responsabilità sono di gran lunga maggiori, vero, ma dipende dal carattere dello stesso.
      Mi perdoni la seguente metafora (non di livello), ma sei lei legge un manuale su come si preparano esplosivi e – non comprendendone le modalità di utilizzo – salta in aria, la colpa è di chi ha scritto il libro?

      Inoltre, se lei avesse in mano il libro di Gambescia, capirebbe perché l'ho letto 4 volte.

      Fa bene, credo che il calcetto, aiuti. Come i film di Totò.

      Cordialità

      Carlo Pompei

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  28. Fatemi capire.Perché lasciare la possibilità a tutti di commentare una recensione, quando poi gli si dice che parla senza aver letto il libro? Ho aperto i commenti dopo averlo letto. Il mio resta un pregiudizio,purtroppo, sulla prospettiva particolare della sociologia. Però nell'ambito di questa, l'opera in questione è formidabile.O quasi!Tutto dipende da ciò che uno vuole dalla vita, cari signori.
    Ho letto poi qua e là qualche articolo dell'autore direttamente sul suo blog, visto che qualcuno qui ne ha fatto cenno. Ebbene,dico solo che ....che...non c'è un argomento di riserva? Detto ciò, per me la questione è chiusa.Ognuno per la propria strada.

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  29. Dico sommessamente la mia. A me pare che chi sia legato alla Tradizione, nelle sue varie forme, dovrebbe essere il primo a prestare attenzione alla ricerca scientificamente imparziale delle regolarità storiche e sociologiche. Perchè, se il tradizionalismo non vuole essere un hobby o, peggio, un sogno consolatorio, deve essere amore e interesse per la realtà. La realtà certo comprende anche la realtà divina e la realtà dell'anima: e lo scienziato imparziale non lo negherà, anche se limiterà la sua ricerca alla realtà per così dire temporale. Ora, una caratteristica della realtà temporale è che è governata dal limite, e che NON è apocalittica, nè escatologica: dimensioni, queste, che certo esistono, ma che non vanno confuse con la storia. Altrimenti, il Tradizionalismo diventa una "visione del mondo", un punto di vista arbitrario, una ideologia, insomma il pretesto per non capire e non usare la ragione.

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  30. Mi spiace caro Roberto ma qui devo contraddirti. L' approccio scientifico o la sua valorizzazione, sorge secondo noi dal pregiudizio in base al quale esisterebbe un dominio profano opposto a quello sacro. Il primo resta a nostro avviso un punto di vista umano e fallace.
    Questo ragionamento non vincola voi e non dovrebbe darvi fastidio. Né lo dovrebbe il fatto che a volte scelgo autonomamente cosa leggere.
    Un saluto.

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  31. Aggiungo: senza contare che la Via è oggi più che mai difficile da percorrere. E certe propensioni scientiste,in accordo con la propria natura,sono spesso quello che ci vuole per capovolgere ogni aspirazione ad ALTRO. Mi assumo evidentemente la responsabilità che mi prendo in tal guisa.

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    1. Grazie per la replica cortese e attenta.

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    2. Grazie a Lei, è sempre un piacere leggerla. In ogni caso credo che se oggi è impossibile per chiunque driblare il confronto con scienza e modernità,i rischi di restare intrappolati nell'illusione mistico- letteraria è sempre in agguato. Tutto dipende da ciò che realmente si È.

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