L’utopia degli “slavi
uniti” naufragò di fronte al protagonismo russo che,
dopo aver rifiutato il ruolo di motore dell’emancipazione dei popoli slavi dal
dominio ottomano e tedesco, fece proprio il ruolo di nazione guida
malcelando le ambizioni egemoniche che, nella liberazione degli slavi,
trovava giustificazione delle proprie mire espansionistiche. A
supporto di tali ambizioni c’era una corrente di pensiero destinata a lasciare
il segno in Russia, quella degli slavofili. Il nome è fin da
subito un inganno poiché più che “amici degli slavi”
erano nazionalisti russi che volgevano lo sguardo al ruolo messianico
e metafisico della Russia nel mondo e nella storia.
Opposta a quella
degli slavofili era la corrente dei cosiddetti “occidentalisti”
che prendevano le mosse dalla lezione di Pietro il Grande,
l’imperatore che fondò San Pietroburgo e aprì la Russia all’Europa e alle sue
influenze culturali e politiche. Entrambi i gruppi si chiedevano che
cosa costituisse l’essenza della Russia, quale fosse la sua legge
storica, quale il suo destino, e pur dandosi risposte differenti partivano
dalla stessa ansia di scuotere la Russia e rifarla nuova. Così non deve
sembrare assurdo che il principale esponente degli slavofili, Ivan
Kireevskij, abbia iniziato la sua carriera fondando una rivista di
segno opposto dal titolo, parlante, di “L’Europeo” e viceversa che gli
occidentalisti erano fortemente attratti dalla “anima russa”, eterna, profonda
e contadina.
Il comune amore
per la Russia si declinò però in opposte idee sul suo sviluppo che cominciarono
a distinguersi nettamente nel 1836 quando Petr Caadaev
pubblicò la famosa Lettera filosofica in cui proponeva un
occidentalismo intransigente che passasse per l’adozione del cattolicesimo.
Caadaev, riflettendo sulla non integrazione della Russia con l’Europa scrisse:
“Solitari nel mondo, non gli abbiamo dato nulla e non ne abbiamo appreso nulla.
Non abbiamo contribuito in nulla al progresso dello spirito umano e quanto ci è
venuto da questo progresso lo abbiamo sfigurato”. La Lettera fu
scritta in francese che era, all’epoca, la lingua degli
intellettuali e dell’aristocrazia, e il cui uso fu stigmatizzato durante le
guerre napoleoniche quando al patriottismo russo ogni cosa andava sacrificata.
Caadaev attribuiva al “giogo bizantino” la colpa del ritardo russo,
ovvero a quel carattere di “paralisi contemplativa di fronte alla perfezione”
che la Russia avrebbe ereditato tramite la cultura greco-ortodossa.
Al contrario Kireevskij
riteneva che l’apporto bizantino fosse costitutivo dell’essenza russa
e quindi andava esaltato, non già rifiutato, poiché aveva dato alla Russia una
cultura artistica e una scuola di pensiero libera dal legalismo e dal
razionalismo della civiltà cattolico-latina. L’accento sull’irrazionalismo
della cultura russa caratterizzerà tutti gli slavofili che ne faranno,
ovviamente, un motivo di vanto: per loro il razionalismo europeo era
una perversione che allontanava dai veri valori della patria e della religione,
che soffocava l’uomo e svuotava la capacità di astrazione in nome della logica.
Una logica a cui l’Europa sacrificava la morale. Essi vedevano quindi
nell’ortodossia, da un lato, e nel mondo rurale i due aspetti fondamentali
dell’identità russa. Per Kireevskij l’uomo europeo è uno schizofrenico in cui
“pulsa il sentimento religioso” e al contempo “premono le energie della
ragione”. L’uomo russo non è così, è unico e tondo, crede nella fede e non
nella ragione, è paziente e pronto al sacrificio, compassionevole e legato alla
morale tradizionale. Il simbolo di questa morale è il contadino che da secoli
vive sempre nello stesso modo, chiuso nelle comunità rurali del mir e
dell’artel.
Lo stato
autoritario degli zar era quindi, per gli slavofili, una proiezione
terrena della verticalità celeste. Lo zarismo incarnava la spiritualità russa e
diventava il veicolo attraverso cui la nazione avrebbe compiuto la propria
missione nel mondo. Di idee opposte erano gli occidentalisti che invocavano
l’introduzione di elementi del pensiero liberare e costituzionale europeo.
L’erede degli
slavofili fu Solzenicyn, noto in Europa per la sua opposizione
all’Unione Sovietica. Egli non era però un campione del liberalismo occidentale
ma vedeva nello scientismo marxista un’espressione della perversione
europea. Non a caso gli scrittori sovietici faranno del contadino il
simbolo dell’egoismo, del denaro, dell’ambizione alla proprietà.
Per Dostojevskij
l’uomo russo era impregnato di spiritualità e questo lo rendeva
superiore all’uomo europeo che, nei suoi romanzi, è sempre descritto
come immorale e doppio. Il popolo russo, in virtù di questa superiorità, aveva
il compito di liberare l’umanità dall’opprimente influsso
dell’occidente a partire proprio dai popoli slavi. La Russia zarista
sarebbe allora dovuta essere quel “giustiziere” descritto dal poeta Tjucev
che scrisse: “Si capisce dunque perché la Polonia ha dovuto perire. Non la
razza polacca, grazie a Dio, ma la falsa civiltà, la falsa nazionalità che le
erano state ascritte”. I polacchi insomma sarebbero slavi che sbagliano.
Questa idea servì da base all’imperialismo russo e ne giustificò l’aggressività
nei confronti degli altri popoli slavi costretti a entrare nel grembo della
“madre Russia”. Più che slavofili erano, con buona evidenza, russofili
o russocentrici.
Le opposte idee di
occidentalisti e slavofili avrebbero condizionato la riflessione politica russa
ancora per molto tempo, attraversando l’epoca sovietica e giungendo fino ai
giorni nostri. Il nazionalismo russo, lo stato autoritario e
verticale, il ruolo messianico della Russia nel mondo e il suo essere
antemurale contro l’avanzata della barbarie occidentale e del suo
carico di perversione e immoralità, è ancora oggi ben presente
nelle dichiarazioni e nell'agire politico dell’attuale inquilino del Cremlino, il
presidente Putin. Gli occidentalisti hanno perso
la battaglia ma nella società russa queste due anime convivono. Sono le due
teste dell’aquila russa, che guardano in direzioni opposte pur avendo un solo
cuore. Forse in ogni russo abitano un Kireevskij e un Caadaev e
anche per colpa loro oggi i russi sono un po’ più schizofrenici, come dire…
europei.
Autore: Matteo Zola
Ringrazio Aldo per l'interessante suggerimento. Certo che l'anima del popolo russo è un bel mistero per noi occidentali, e forse per questo prediligo gli slavofili (che almeno conservino i loro caratteri nazionali, loro che possono, politicamente). Anche se immagino che esistano posizioni molto più sfumate fra questi due estremi. Penso ad esempio a Soloviev, che si convertì al cattolicesimo ma difficilmente avrebbe condiviso le posizioni degli occidentalisti. O ancora a Gogol', che amava la civiltà italiana e nella novella "Roma" la pone in contrapposizione a quella più moderna francese e che nonostante la sua iniziale critica allo zarismo, si fece promotore dei metodi più autoritari dello Zar contro la decadenza occidentale. E chissà quanti altri autori che non conosciamo, o che conosciamo solo superficialmente..
RispondiEliminasaluti
Paolo C.
è scritto bene e molto interessante, ma l'unità della madre Russia è ben differente a livello qualitativo dalla pseudo unità della parodia europea. Volgiamo lo sguardo ad Est e seguiamo l'aquila forte e pura della Madre Russia che ci porta via dal degrado morale e spirituale di questa finta e ipocrita europa.
RispondiEliminaVlad
Intanto ringrazio Paolo e Vlad per i commenti. Personalmente mi sono fatto l’idea che oggi l’opposizione tra occidentalisti e slavofili sia diventata un falso problema, credo in parte favorito dalla propaganda e dagli interessi USA con il solito e collaudato sistema del “divide et impera”. E’ poi una sonora sciocchezza spostare l’asse geopolitico della Russia verso l’Asia come vorrebbero Dughin e compagni. Ma per fortuna ho l’impressione che Putin sia abbastanza insensibile a questo progetto. E a ragion veduta.
RispondiEliminaCondivido anch'io il commento di Aldo su Putin. Oltre ad aver messo in sesto la Russia come potenza mondiale, ha il merito di aver saputo cogliere la continuità del carattere russo durante l'epoca zarista e sovietica. Un'operazione simile occorrerebbe anche alla nostra Italia. Tanto più necessaria, quanto più difficile, purtroppo.
RispondiEliminaPaolo C.
Grazie ad Aldo per questo interessantissimo articolo. Tra i tanti articoli del prof. Panunzio, non scordiamoci quelli sulla Russia, in particolare "Russia e Santa Russia".
RispondiEliminaUn'Europa senza gli Slavi, in particolare senza i Russi è una mezza Europa (ora non ricordo come la definiva Panunzio); se consideriamo che ora la Cristianità è più viva in Russia che nell'Europa occidentale, forse si può dire che solo la Russia può far rinascere la Cristianità-Europa.
Grazie Roberto per aver rievocato il saggio di ben 35 pagine di Panunzio uscito in prima battuta nel 1976 sulla rivista "Metapolitica" e poi inserito nel secondo volume di "Metapolitica, la Roma eterna e la nuova Gerusalemme" (Il Babuino, 1979). L'attuale "intesa spirituale" tra Europa e Russia ex sovietica potrebbe essere la premessa di futuri accordi politici e strategici, ma dubito fortemente che gli USA staranno a guardare.
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