Manzoni non
ha mai elevato odi all’Imperatore Napoleone quando questi è al colmo della sua
gloria né tanto meno lo ha denigrato quando cade nella polvere. Solo quando gli
giunge nella villa di Brusuglio, quaranta giorni più tardi, la notizia della
morte di Napoleone, in tre giorni lo scrittore lombardo «scioglie all’urna un
cantico che forse non morrà»: «Il 5 maggio».
Manzoni è
colpito dalla scomparsa di un personaggio così grande, che ha posto ordine tra
due età, tra Illuminismo e Romanticismo, un personaggio che ha dato il nome
alla sua epoca, definita per l’appunto napoleonica, un uomo in cui, come
direbbe Hegel, si è incarnato lo spirito della storia. Ma ancor più che dalla
morte, Manzoni è colpito dalla notizia che Napoleone, che ha sempre assunto un
atteggiamento fortemente anticlericale e anticattolico, si sia convertito prima
di morire: «Mai più superba altezza si è inchinata al disonore del Golgota».
Quando
scrive «Il 5 maggio» Manzoni non ha evidentemente potuto leggere le
trascrizioni (pubblicate più tardi) delle conversazioni tenute dall'Imperatore con generali e medici, francesi e inglesi,
credenti e miscredenti, che lo assistono durante i sei anni di esilio.
Nel 1840,
meno di vent’anni dopo la morte, Robert-Antoine de Beauterne dà alle stampe la
trascrizione dei discorsi sotto il titolo Sentiment de Napoléon sur le
cristianisme, Conversations religieuses. Per curare il testo De Beauterne
«entra in corrispondenza e si procura documenti e dichiarazioni dai testimoni
privilegiati degli anni in esilio, primo tra tutti il generale de Montholon,
poi gli altri due generali Bertrand e Goucard, i due medici O’ Meara e Antonmarchi,
facendo anche uso del celebre Memoriale di Sant’Elena scritto da Las
Cases nel 1823». Il testo riscuote subito un grande successo, tanto che segue
un’altra edizione nel 1841 e una successiva nel 1843. L’autenticità dei
documenti è comprovata dalla modalità di recupero e controllo delle
affermazioni oltre che dal fatto che tutti i testimoni erano ancora in vita
quando uscì il testo e avrebbero, quindi, potuto smentire affermazioni false.
Inoltre, molti dei testimoni sono atei e materialisti, non certo cristiani e si
mostrano in disaccordo con Napoleone.
In Italia il
testo, tradotto dal dott. Vito Patella, è stato pubblicato nel 2013 dalle
Edizioni Studio Domenicano. È stata omessa la parte narrativa di de Beauterne a
vantaggio dei discorsi pronunciati da Napoleone riportati sempre tra
virgolette.
Le
conversazioni di Napoleone sono un’occasione unica per vedere in maniera
diversa l’immagine tradizionale del grande Imperatore e comandante francese,
per guardare all’interno del suo cuore, scoprire un personaggio decisamente
diverso da quello della vulgata tradizionale. Nella Lettera sulle tre unità
di tempo, spazio e azione del 1820 Manzoni aveva distinto la storia dalla
poesia riconoscendo alla prima il fine di ricostruire i fatti e la azioni dei
grandi personaggi senza scavare nel cuore dell’uomo, sulle sue motivazioni più
profonde, sui suoi pensieri più intimi, compito sostanzialmente affidato alla
poesia. Per questo l’anno successivo Manzoni dedicava l’ode «Il 5 maggio» alla
morte di Napoleone in cui descriveva l’intimità del rapporto personale del
grande generale francese con Dio, i giorni del fallimento personale e della
conversione. Ora le Conversazioni sul cristianesimo sono un testo unico,
che si trovano al crocevia tra la definizione di storia e di poesia che ha dato
Manzoni: sono un documento storico, una fonte quindi attendibile sui sei anni
trascorsi da Napoleone sull’Isola di Sant’Elena, che permettono, però, di
scoprire l’animo di un uomo che ha lasciato le sue impronte impresse nella
storia. Sarebbe più corretto affermare che in questo testo viene meno la
distinzione manzoniana tra storia e poesia.
Ma le novità
che scopriamo alla lettura sono molteplici. Si è sempre scritto che Napoleone
probabilmente si convertì in fin di vita. Dalle conversazioni risulta in realtà
che Napoleone si è sempre considerato cristiano cattolico. Al medico personale
O’Meara che vide Napoleone leggere il Nuovo Testamento e gli faceva notare che
«correva voce che fosse miscredente» il generale replicò: «Non è vero, non sono
mai stato ateo. Quando ero a capo del governo, appena ho potuto, ho tentato di
ristabilire la religione, che è una grande consolazione per il credente, soprattutto
negli ultimi istanti della sua vita». E nel 1817, quando il medico informava
Napoleone che si era diffusa la voce che Napoleone fosse un cattolico romano,
il generale replicava: «È vero, io credo ciò che crede la chiesa». Il dottor
Antonmarchi ricorda nelle sue Memorie che Napoleone gli disse: «Io non
sono né medico, né filosofo; io credo in Dio; sono un cristiano, cattolico,
romano». Al contempo, rivolto all’abate Vignali, Napoleone disse: «Sono nato
nella religione cattolica, voglio adempiere ai doveri che me ne derivano, e
ricevere i conforti che essa fornisce ai suoi figli. Lei celebrerà tutti i
giorni la santa Messa nella stanza accanto, ed esporrà il Santissimo Sacramento
durante le quarantore. Dopo la mia morte, lei porrà l’altare dalla parte della
mia testa, nella camera ardente, continuando a celebrare la Messa e tutte le
cerimonie del rito cattolico, che lei terminerà solo quando sarò sepolto».
Nell’Isola
di Sant’Elena si assiste ad un percorso di maturazione religiosa e di presa di
consapevolezza della genialità del cristianesimo. Al generale Bertrand che gli
chiede se abbia mai visto Dio Napoleone replica che anche il genio umano non si
vede direttamente, ma si vede l’effetto «e da questo si risale alla causa, e si
crede che questa causa esista, insomma che essa sia reale». Come quando nel
folto della battaglia la situazione si volge al peggio e il generale Bertrand
cerca consiglio nello sguardo dell’Imperatore per capire come agire, allo
stesso modo tutto grida nel petto dell’uomo, c’è un istinto, una fede, una
certezza, un grido che esce dal cuore. Napoleone arriva ad esclamare: «Io credo
in Dio, a causa di ciò che vedo, e di ciò che sento». E ancora Napoleone chiede
al generale Bertrand da dove vengano il genio, la creatività, l’intuito che
tanto ammiriamo negli uomini: «Se ci sono tante differenze tra gli uomini,
Qualcuno ha creato queste differenze, e questo Qualcuno non è né lei, né io
[…]. C’è un Essere Infinito in confronto al quale lei non è che un atomo; in
confronto al quale anch’io Napoleone, con tutto il mio genio, sono niente […].
Io lo sento, questo Dio, … ne ho bisogno… credo in Lui». La concezione che
l’uomo ha di Dio nasconde la visione che si ha dell’uomo stesso: «Cosa vuole
che io abbia in comune con un uomo che non crede all’esistenza dell’anima, e
che crede che l’uomo sia un mucchio di fango?».
Bellissime
sono le conversazioni di Napoleone sull’evidenza e sulla realtà della divinità
del Cristo. Il generale Bertrand non riusciva a credere che un uomo come
Napoleone potesse davvero essere convinto della divinità del Cristo. Questi
poteva forse essere il cuore più nobile, il legislatore più attento, ma non un
Dio che si è fatto carne. Allora Napoleone gli confidò: «Io conosco gli uomini
e le dico che Gesù non era un uomo. Gli spiriti superficiali vedono una
somiglianza tra il Cristo e i fondatori di imperi, i conquistatori e le
divinità delle altre religioni. Questa somiglianza non c’è: tra il
cristianesimo e qualsivoglia altra religione c’è la distanza dell’infinito […].
Lei, generale Bertrand, parla di Confucio, Zoroastro, Giove e Maometto. Ebbene,
la differenza tra loro e Cristo è che tutto ciò che riguarda Cristo denuncia la
natura divina, mentre tutto ciò che riguarda tutti gli altri denuncia la natura
terrena […]. Cristo affida tutto il proprio messaggio alla propria morte: come
può essere ciò l’invenzione di un uomo? Infatti, non lo è, ma è bensì un segno
strano, una fiducia sovrumana, una realtà misteriosa. […] Ma l’impero di Cesare
quanti anni è durato? Per quanto tempo Alessandro si è sostenuto
sull’entusiasmo dei propri soldati? […] I popoli passano, i troni crollano ma
la Chiesa resta. Allora, qual è la forza che tiene in piedi questa Chiesa
assalita dall’oceano furioso della collera e del disprezzo del mondo? […] Il mio
esercito ha già dimenticato me, mentre sono ancora in vita (…). Ecco qual è il
potere di noi grandi uomini! Una sola sconfitta ci disintegra e le avversità si
portano via tutti i nostri amici».
Napoleone
ricorda ancora come il cristianesimo non si sia diffuso con la forza delle armi
e dello sterminio; anzi, dopo San Pietro i primi 32 vescovi di Roma furono
tutti martirizzati, senza alcuna eccezione. Diventare vescovo di Roma non
significava assumere un potere particolare, ma testimoniare fino alla morte
(martire) la buona novella.
Giovanni Fighera
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