13/02/13

Stemma del Pontefice uscente

Il cardinale Joseph Alois Ratzinger (nato a Markt am Inn, Baviera, Germania 16 aprile 1927), è stato eletto 263° papa il 19 aprile 2005. Nel 1977 arcivescovo metropolita della Diocesi di München-Freising e quindi Prefetto dell’Istituto per la Dottrina della Fede.
Ha adottato uno stemma che, in parte, contraddice le forme canoniche precedenti ma con un preciso intento simbolico e che risulta così blasonabile:
“Di rosso, cappato d’oro alla conchiglia dello stesso; la cappa destra alla testa di moro al naturale, vestita, labbrata, coronata di rosso; la cappa sinistra all’orso bruno al naturale, levato lampassato e caricato d’un basto di rosso, legato di nero. Accollato alle chiavi pontificie. Timbrato da una mitra d’argento, portante tre fasce d’oro collegate verticalmente dello stesso. Uscente dal margine inferiore della punta un pallio al naturale, con un’estremità visibile di nero, caricato di tre crocette patenti rosse” (1).
La forma della partizione dello scudo è detta a “cappa”: è stata messa in relazione ai simboli “di religione” e farebbe riferimento alla spiritualità monastica (in questo caso probabilmente benedettina o agostiniana).
La conchiglia è simbolo del pellegrino e legata in particolare al Pellegrinaggio di Santiago di Compostela (è detta anche conchiglia di San Giacomo), ma ricorda anche una leggenda legata a Sant’Agostino (2). Si racconta infatti che un giorno, il santo vescovo di Ippona, mentre stava meditando sull’imperscrutabilità della Trinità, incontrò un bambino intento a versare acqua di mare in una buca; Agostino gli chiese cosa stesse facendo e il bambino candidamente rispose “sto versano il mare in questa buca”: questo fece riflettere il santo su quanto fosse impossibile per la mente umana comprendere il mistero dell’infinità di Dio. Nello stemma cardinalizio di Ratzinger la conchiglia era in effetti rappresentata pescante dal mare.
La stessa conchiglia è anche arma principale dell’Abbazia “degli Scozzesi” (Schotten Abtei) di Ratisbona (Regensburg), dove Ratzinger fu insegnante dal 1967 al 1977.
Vuole ricordare come il nostro stato sia quello di “pellegrini sulla terra” alla continua ricerca di Dio “pur con i nostri mezzi inadeguati”, nonché il “pellegrinante popolo di Dio” del quale Benedetto XVI si riconosce pastore.
Il “ moro ” è il tradizionale simbolo della Diocesi di Frisinga (Freising) risalente all’ VIII secolo e adottato intorno al 1316 all’epoca dell’erezione del Principato Vescovile; secondo la tradizione rappresenterebbe San Maurizio (3), il cui nome ha fatto ipotizzare una sua origine dalla Mauritania o dalla Numidia (Sudan), che fu “Primicerio” (ufficiale maggiore) della Legione Tebea (formata da legionari cristiani), durante la spedizione contro i Galli rifiutò con i suoi soldati di sacrificare agli dei per propiziare la vittoria: perciò l’imperatore Massimiano Erculeo li fece uccidere tutti presso Agaunum (l’odierna Saint Maurice, presso Martigny, nel Vallese) nel 287 (la corona è un antico simbolo di martirio per la fede). Figura molto diffusa nell’araldica germanica è anche il patrono delle Guardie Svizzere nonché “contitolare” dell’Ordine Cavalleresco dei Santi Maurizio e Lazzaro (detto Ordine Mauriziano).
Nel 1818 (con il Concordato tra Pio VII e re Massimiliano Giuseppe di Baviera) venne creata l’Arcidiocesi di Monaco-Frisinga, con sede a Monaco.
L’ orso carico del basto è simbolo di San Corbiniano, evangelizzatore della Baviera, primo vescovo e patrono di Frisinga (nato nel 680 a Chartres e morto l’8 settembre 730). Sempre secondo la tradizione la mula sulla quale Corbiniano stava viaggiando verso Roma fu sbranata da un orso durante l’attraversamento della Alpi; il santo allora lo redarguì aspramente e lo costrinse a portare la soma e ad accompagnarlo lungo il cammino, per poi lasciarlo nuovamente libero al ritorno. L’orso compare anche in un commento di Sant’Agostino del salmo 72: “…sono divenuto per te una bestia da soma, e così io sono in tutto e per sempre vicino a te”.
Se in origine, quindi, la figura dell’orso “addomesticato” voleva indicare come il cristianesimo ammansì il paganesimo, in seguito finì per simboleggiare l’onere del ministero episcopale (4).
La mitra d’argento, novità nello stemma del pontefice, ricorda però in molti particolari la precedente tiara (5): riporta anch’essa tre fasce d’oro, collegate però da un braccio verticale così da farle assomigliare ad una croce patriarcale: indicano che i tre poteri (Ordine Sacro, Giurisdizione, Magistero) sono collegati nelle stessa persona del papa.
Papa Benedetto XVI si è, da subito, definito come “vescovo di Roma” e mai come “Pastore della Chiesa Universale”: una definizione gravida di potenzialità ecumeniche soprattutto nei confronti della Chiesa Orientale, che ha sempre riconosciuto al papa di Roma un “primato” esclusivamente onorifico (analogamente alla relazione esistente tra i patriarchi orientali e il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli).
Altra novità è rappresentata dal pallio , che da sempre indica la dignità pontificia; secondo alcuni (Corsero Lanza di Montezemolo) in antico era una vera e propria pelle d’agnello poggiata sulla spalla, secondo altri (Heim) deriva dalla toga senatoria (6); in seguito venne sostituita da una lunga striscia di lana bianca tessuta con il vello di agnelli allevati tutt’oggi per questo scopo. La striscia è caricata con sei croci (nere o rosse).
È anche segno di dignità degli arcivescovi metropoliti: indica quindi la collegialità del ministero e della giurisdizione del papa con gli arcivescovi e, per mezzo di loro, con i vescovi suffraganei. Prima di essere indossati i pallii devono restare per un certo periodo nella Basilica di San Pietro, presso la tomba dell’apostolo.
La forma del pallio è mutata nel corso del tempo: papa Ratzinger ne ha adottato uno che ricalca quello ritrovato nel sepolcro di San Martino di Tours, lungo 260 centimetri , larga 8, risalente all’XI secolo è considerato l’esemplare più antico giunto fino a noi (7).
Note:
•  Blasonatura nostra
•  Joseph Ratzinger conseguì la laurea in Teologia, con una tesi dal titolo “Il popolo e la casa di Dio nell’insegnamento di Sant’Agostino sulla Chiesa”.
•  Se ne possono vedere richimi nell’arma civica di San Candido/Innichen (BZ) e di Saint Vincent (AO).
•  Vedi anche lo stemma del Comune di Caines/Kuens (BZ)
•  L’ultimo papa ad utilizzare effettivamente la tiara fu Paolo VI (gli era stata donata dall’Arcidiocesi di Milano della quale era stato metropolita) ma dopo l’incoronazione la mise in vendita, la comprò il cardinale Francis Spellman, arcivescovo di New York, e il ricavato utilizzato per le missioni africane. Ciononostante Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II continuarono ad usarla nella rappresentazione grafica dei loro stemmi, analogamente agli altri prelati che (pur non usandolo più) continuano a fregiare i loro scudi con il “galero” (cappello simile al copricapo da pellegrino) del colore di rango.
•  I metropoliti devono fare richiesta al papa del pallio ( “postulazione del pallio” ) entro tre mesi dalla data della loro nomina e non possono indossarlo al di fuori dei confini della loro Provincia Ecclesiastica; all’atto della rinuncia o abbandono della carica non ne perdono il possesso ma non possono più indossarlo, infine alla loro morte viene sepolto con loro.
•  Precedente, ma assai simile nella forma e nel significato, è l’ Omophorion della Chiesa Orientale. Una famosa rappresentazione del pallio è quella dell’arcivescovo Massimiano di Ravenna, nei celebri mosaici di San Vitale in quella città. Al pallio del papa sono anche aggiunti degli spilloni d’oro rappresentanti le piaghe di Cristo.
Testi di Massimo Ghirardi

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