Marius Schneider (1903-1982)
I
tratti più rilevanti della ricezione dell’opera schneideriana in Italia possono
essere distinti in sette campi disciplinari, in ciascuno dei quali i sette
relatori al convegno Marius
Schneider. Musica, Arte e Conoscenza, svoltosi a Roma l’8 aprile 2017 presso
l’Associazione Simmetria, mostrano una realizzazione compiuta delle valenze del
Nostro.
1.Etnomusicologia
Marius Schneider
nei dizionari ed enciclopedie dove compare il suo nome è definito innanzitutto
“etnomusicologo”, dunque in tale campo disciplinare ci si sarebbe dovuto
aspettare un’attenzione particolare. Nulla
di tutto questo. Ma seguiamo con ordine i due padri dell’etnomusicologia
italiana: Roberto Leydi e Diego
Carpitella. Il primo si occupa del nostro nel 1959 con un interesse di
carattere “tecnico”, che esula dall’opzione di fondo, del resto non ancora del
tutto matura nell’opera schneideriana presa in esame: “È a Marius Schneider che
va il merito principale di aver aperto la strada a una rinnovata comprensione
del concetto formale e storico di polifonia. Egli infatti afferma che il famoso "organum" non dovrebbe
mai venir inteso, come invece comunemente avviene, quale stadio embrionale di
musica "sinfonica" ma piuttosto come il momento del suo maggior
sviluppo. Lo Schneider fonda questo suo giudizio su un ampio studio comparato
della musica dei popoli cosiddetti "primitivi" dell’America
meridionale, dell’Africa, dell’Asia e delle terre oceaniche”.
Il secondo, invece, nel recensire, oltre un
decennio dopo, l’antologia Il significato della musica parla sarcasticamente
di “una turbolençia metodologica” la quale genera “una costruzione sottilmente
intellettualistica che manipola i dati, trovando nessi suggestivi ma non
altrettanto suffragabili”, al servizio di una “traccia romantica della musica
come «essenza» del mondo (alias significato) che, forse per un pessimismo della
ragione, sembra non aver avuto possibilità di affermazione in questa vecchia
Europa e che pertanto, con ingredienti esoterici magico-alchemici [...]
bisognerà rincorrere tra i meridiani d’Oriente”. È vero, Carpitella si mantiene in coordinate
linguistiche “moderate” rispetto al suo amico etnomusicologo Alan Lomax, ma elude totalmente un vero
confronto con l’opera recensita.
Finché, dopo anni
di silenzio e di damnatio memoriae,
mentre qualcuno dei più prestigiosi esponenti dell’etnomusicologia
internazionale con ammirazione dedica spazio
a far conoscere l’opera del Nostro, ecco una caduta, anzi un vero e
proprio tonfo dell’etnomusicologia italiana da parte di un suo autorevole
esponente, Febo Guizzi che, dedicando
un saggio alla figura dell’etno-organologo don
Giovanni Dore, in un paragrafo dove discute la passione del sacerdote per
l’opera schneideriana (Giovanni Dore e la spiritualità della musica: dipendenza
e indipendenza da Marius Schneider)
riassume tutti, ma proprio tutti i luoghi comuni verso una presunta “etnomusicologia
oscurantista”, ovvero “lo spiritualismo anti-illuministico, la
metafisica pan-filosofica, il sincretismo esoterico, l’irrazionalismo mistico
di Marius Schneider”, stigmatizzando
poi in particolare quella diffusione, che noi abbiamo chiamato “lenta crescita”,
del suo pensiero nel nostro Paese: “La lettura di Il significato
della musica e poi del volumetto pubblicato successivamente più insinuante,
più affascinante ancora, cioè Pietre cha cantano, fu il tramite
per l’ingresso nella nostra cultura di un’esplosiva quanto irrealistica rappresentazione
della profondità, della radicalità, dell’assoluta soverchiante forza
culturale della presenza del suono nel mondo che ha avuto la capacità di
eccitare e indirizzare pulsioni probabilmente già latenti in certe
propaggini del nostro mondo culturale o artistico-musicale. Si è
trattato cioè di conferire legittimazione “scientifica” a una certa
esaltazione dell’idea di suono quale presenza allo stesso tempo
“invisibile” e sperimentabile, onnipresente e direttamente gestibile da
chiunque di noi, “sovrannaturale” e contemporaneamente “naturalissima”,
che Schneider proponeva come principio stesso del cosmo, come elemento
generatore dell’universo”. E ci fermiamo qui! Anche perché sarebbe davvero un
peccato infierire su uno dei, sotto altri aspetti, più validi studiosi italiani
dell’etnomusicologia, purtroppo prematuramente scomparso.
Fortunatamente
questo passato di etnomusicologia nostrana, essa sì davvero “oscurantista” ed
ignorante (nel senso buddhista di avidyā),
è destinato a tramontare di fronte a nuovi studi, come quello del musicista ed
etnomusicologo Pierpaolo De Giorgi,
che, oltre a tradurre e curare la pubblicazione in Italia di uno dei testi più
importanti di Schneider, ha finalmente riletto il fenomeno del tarantismo,
facendo tesoro della lezione schneideriana, che l’etnologo Ernesto De Martino, pur conoscendola, o forse proprio conoscendola,
ha volutamente lasciato in ombra. E non sarà privo di interesse ricordare che
lo scritto forse più arcaico, dedicato da Zolla
in modo specifico all’amico etnomusicologo prendeva
l’avvio dalla pubblicazione nel 1961 del volume La terra del rimorso di Ernesto De Martino, di cui però non parlava,
spostando l’attenzione su Schneider.
Ecco l’abbrivio: “Miglior partito sembra invece richiamare l’attenzione sulle
idee di uno studioso tedesco cui De Martino spesso rinvia: Marius Schneider,
non ancora noto tra noi.
La sua ricerca, condotta in Spagna
[…] e poi proseguita nell’Istituto di musicologia dell’università di Colonia,
si fonda su una premessa importante: vi accenno in poche parole. Nei tempi
primitivi la musica è sempre rituale, i modi musicali sono emblemi non solo
della gamma dei sentimenti, ma dei miti che li esprimono, ed essi a loro volta
sono rappresentati da certi simboli: come non supporre che questa associazione
possa rappresentare anche una modalità di trascrizione musicale? Questa è
l’ipotesi su cui ha lavorato Schneider”.
E
così, dopo quasi mezzo secolo dall’indicazione zolliana, Pierpaolo De Giorgi ha
realizzato le valenze etnomusicologiche di Marius Schneider.
2.Musicologia
Se
dal campo disciplinare etnomusicologico ci spostiamo verso quello usualmente
definito “musicologico” (per quanto i confini si vanno sempre più ridefinendo), troviamo un’”attenzione rispettosa” ,
un’”attenzione ammirata” e, infine, una vera e propria “manducazione della
parola” schneideriana.
L’”attenzione
rispettosa” è, ad esempio, quella di Gino
Stefani, un acuto e brillante outsider
della musicologia italiana, autore di una lunga recensione a Il significato della musica, nella quale, pur prendendo le distanze da
alcune opzioni di fondo (tuttavia definite correttamente “metafisiche”,
“pre-scientifiche” alla maniera di Athanasius
Kircher e Robert Fludd, nonché
“simboliche”), non esita a parlare di “notazioni sapienziali che basterebbero
da sole a rivelare nello Schneider la vocazione e la statura di un vero
maestro”. Non possiamo in questa sede dilungarci sull’analisi condotta, ma un
paio di passaggi finali particolarmente simpatetici meritano considerazione. Il
primo: “Particolarmente suggestiva, anzi profetica, ci sembra poi l’insistenza
di Schneider nell’invitare a vivere i ritmi asimmetrici, ben più
"naturali" dei poveri schemi usuali della nostra musica tonale.
Più in generale si può osservare come certe classificazioni schneideriane dei
comportamenti della musica primitiva costituiscono dei patterns informazionali applicabili ad amplissimi ventagli di
realtà. E se le ricerche antropologiche di un Marcel Jousse su ritmi binari umani hanno già influito sulla
pedagogia musicale, quelle più complesse di un Leroi-Gourhan (sui rapporti gesto-parola) potranno sostanziare più
di un’intuizione del nostro etnomusicologo”. Il secondo: “Dove però la proposta
della filosofia musicale simbolica appare più fascinosa e tentante è
probabilmente là dove si propone di annodare segrete relazioni tra la musica
cosmica e la forma musicale. Un miraggio? Certo, uno fra i massimi problemi
delle poetiche musicali contemporanee”.
Dall’”attenzione
rispettosa” si passa a quella “ammirata” e infine alla “manducazione della
parola” schneideriana” nel caso di due importanti musicologi come Mario Bortolotto e Quirino Principe.
Il
primo utilizza Schneider addirittura per la sua interpretazione della Nuova
Musica (indicazione raccolta poi, come abbiamo visto, anche da Gino Stefani):
“Come nella filosofia dei primitivi, musica torna ad essere accostata a canto
delle sfere, ad armonia pitagorica: e qui la speculazione della Nuova Musica
s’incontra, anche contro l’interdizione cosciente degli autori, con l’orfismo
di Marius Schneider”. Interpretazione discutibile, a nostro parere, non per il condivisibile
nesso fra Schneider e la musica del Novecento, come vedremo al termine di
questa rassegna, ma per la scelta di campo operata.
Quanto
al secondo, è autore dell’eccellente presentazione di una edizione di Il significato della musica (purtroppo
soppressa in edizioni posteriori) dove esordisce scrivendo: “Ciò che sorprende, nel momento in cui
questo libro di Marius Schneider viene ripresentato ai lettori italiani, è il
fatto che tutti i problemi aperti nel 1970, anno della sua prima apparizione
(in assoluto, non soltanto in Italia, essendo questo un libro originale),
restano ancora tali nella musicologia italiana. Ventisei anni fa, Schneider era
un mito presso i rari uomini di cultura abituati a incamminarsi in direzioni
diverse da quelle imposte dall'industria culturale, dalle parole d'ordine
ideologiche, da una professione intellettuale ridotta a mestiere e a bassa
politica, com'era («è»?) quella delle università e dei conservatori di musica”.
Il cuore della presentazione merita di essere riproposto interamente: “Sia
chiaro: Schneider ha dato all'etnomusicologia contributi di altissimo valore
scientifico, percorrendo il mondo con modesti mezzi personali - alla
vecchia maniera! - per studiare e definire la presenza della polifonia
non come fenomeno stilistico puramente occidentale, ma planetario, e la sua
monumentale Geschichte der Mehrstimmigkeit, rimasta incompiuta, ne fa
fede. Non sappiamo quanti, fra i pochi e certo valenti etnomusicologi attivi in
Italia, abbiano come Schneider rielaborato dati e nozioni dopo averli appresi
non da documenti scritti o magari da libri e articoli altrui, ma dall'indagine
sul campo, in loco, e con le orecchie bene aperte. Ma egli non si
riduce a questo: l'apertura planetaria del suo settore di ricerca ha rilievo
non ai fini dell'estensione quantitativa delle conoscenze, bensì della "verticalità" di un pensiero musicologico che s'infiltra nel
profondo e svetta verso altezze invisibili da quaggiù, così com'era invisibile
la cima della scala di Giacobbe. Quei primi cinque capitoli sono
raccolti in una sezione, il cui titolo generale e inevitabile è L'essenza della
musica. Appunto: l'essenza, al di là dell'esistenza. Più che un
etnomusicologo, più che un semiologo (Schneider è anche questo, naturalmente,
là dove egli si occupa di forme simboliche archetipiche spesso fondate sul
numero, come avviene in Singende Steine e nell'Origen musical),
più di tutto questo, lo studioso alsaziano è un filosofo della musica, o
meglio, un filosofo tout court, un filosofo moderno che della
modernità ha l'acribia filologica e metodologica nonché la vocazione
all'indagine sperimentale, ma che nello stesso tempo ragiona e compie le sue
sintesi alla maniera dei filosofi antichi. Su questo punto, Il significato
della musica è ancora un libro insuperato, e lo diciamo con rammarico,
poiché vorremmo poterlo considerare, dall'alto di una visione culturale
affermata, un libro «storico». Esso resta un'opera pionieristica, e per gli
studiosi italiani (forse, non ci stanchiamo di ripeterlo, non soltanto
italiani) più che mai un'arma di combattimento culturale o un affilato coltello
con cui l'esploratore si fa strada tra l'intricato fogliame della foresta
tropicale”. La conclusione non può che essere netta e risoluta: “Perciò anche
la terza sezione del Significato della musica, libro nato non come
edizione italiana di un'opera in altra lingua ma come unità in sé ideata da un
editore italiano, scavalca le curiose avventure intellettuali che in questi
anni abbiamo visto, con gioia, diffondersi fra i giovani strumentisti usciti
dai conservatori: indagini storiche per gli strumenti rispettivamente suonati,
avvicinamenti graduali alla loro radice culturale e alla loro origine
simbolica. Tutto resta irrelato, poiché in Italia, nella cultura musicale,
sopravvive il pauroso iato tra studio musicologico universitario, carente di
pratica strumentale ed esecutiva (talora, anche, di conoscenze armoniche e
contrappuntistiche di base) e studi di conservatorio ignari di latino e di greco,
di etnologia o semplicemente di storia e di letteratura. A sua volta, la
seconda sezione del libro, culminante nel prodigioso capitolo sull'armonia
platonica delle sfere, è una rivelazione ancora oggi abbagliante in una cultura
nella quale i giovani non apprendono nulla dell'antica musica ellenica né dal
conservatorio né dall'università. La lettura di Schneider è obbligatoria, dopo
che la sonda spaziale Voyager 2 registrò nell'estate 1981 l'arcano
accordo musicale trasmesso dai rotanti anelli di Saturno”.
Dopo queste
parole, i tempi sono finalmente maturi
affinché il giovane studioso italiano Leopoldo Siano, professore all’Università
di Colonia (la stessa dove insegnò in anni lontani Schneider), realizzi le
valenze musicologiche del Nostro.
3.Musicoterapia
Se alcune
indicazioni di Gino Stefani fossero state prese sul serio anche la
musicoterapia avrebbe potuto beneficiare ampiamente, e da tempo, dell’opera
schneideriana. Purtroppo ciò non arrise
neppure ad uno dei testi più significativi, che addirittura faceva tesoro del
pensiero pitagorico-armonicale, limitandosi a però a citare il Nostro solo come
fonte sulla musica primitiva.
Il lungo
silenzio è stato finalmente rotto negli ultimi anni dall’originale lavoro del
musicoterapista Giangiuseppe Bonardi,
attivo anche sul web, che già nel precedente numero dell’Almanacco Scientifico di Simmetria
ci ha preziosamente introdotti al tema.
4.Mitologia
e storia delle religioni
“Mitologo”
è un’altra, e a ben ragione, definizione dei dizionari ed enciclopedie dove
compare il nome di Marius Schneider, ma la ricerca in tale campo disciplinare
ci lascia a mani vuote. In verità, se si vuole, l’intera opera di un mitologo e
mitografo del nostro tempo, Roberto
Calasso, che del Nostro è stato anche editore, soprattutto da La rovina di Kasch in poi non sarebbe
concepibile senza la conoscenza profonda dell’opera di Schneider e soprattutto
la sua dottrina del sacrificio.
E
parimenti merita di essere ricordato un altro meno noto mitologo e mitografo
del nostro tempo, nonché editore, Alfredo
Cattabiani (1937-2003), i cui numerosi volumi dedicati al simbolismo
dialogano continuamente con Marius Schneider.
Eppure
la piena assunzione delle valenze mitologiche e storico-religiose del lascito
schneideriano appartiene a Nuccio d’Anna,
che giovane studente, ebbe la fortuna di incontrare e conoscere il Nostro ai
primi due convegni dell’Istituto Ticinese di Alti Studi a Lugano che, nei primi
anni Settanta del secolo scorso (1970-19739 , furono promossi e diretti da
Elémire Zolla. Il suo approccio alla disciplina storico-religiosa è rimasto
costantemente memore di Schneider.
5.Architettura
e Geometria Sacra
Ecco
un altro campo disciplinare che avrebbe potuto beneficiare ampiamente, e da
tempo, dell’opera schneideriana. Ma ciò non è avvenuto, o meglio è avvenuto
marginalmente. Infatti il titolo di una delle opere più famose di Schneider, Pietre
che cantano, è divenuto proverbiale, e lo hanno fatto proprio innumerevoli
manifestazioni culturali ed artistiche.
In tempi
recenti, però, c’è stato anche qualcuno che si è messo all’opera per verificare
con una ricerca sul campo se la celebre
scoperta compiuta sui capitelli di chiostri catalani potesse in qualche modo
trovare corrispondenze anche sul nostro territorio. L’assunto è esplicito: “Chi
scrive è convento della giustezza della
visione di Schneider; ed inoltre, sebbene non in ogni costruzione romanica e/o
gotica vi possano essere degli inni completi, come minimo vi sarà una nota o un
a serie di note coerenti […] Va qui precisato che chi scrive si basa sui
risultati di Schneider. In altre parole: quanto enunciato da Schneider è l’assunto
di base dal quale il presente lavoro prende inizio. Tale assunto non sarà,
dunque discusso, ma semplicemente assunto. Se, per una qualche ragione, non si
fosse d’accordo con tale visione, semplicemente si è sbagliato libro perché
tutto parte da qui”. Più chiari di così! Lasciamo al volonteroso lettore
l’interpretazione “schneideriana” di alcune chiese, da Caserta Vecchia a
Ravello, da Benevento a Sessa Aurunca ed Aversa. Al primo volume ne è seguito
un secondo, ma la ricerca è tutt’ora in corso.
Eppure
la piena assunzione delle valenze architettoniche e geometrico sacrali del lascito schneideriano appartiene in toto a Claudio Lanzi, autore di
innumerevoli studi sull’argomento, tra i quali basti citare l‘imponente
trilogia formata da Ritmi e riti.
Elementi di geometria e metafisica pitagorica , Misteri e simboli della croce, e Sedes sapientiae. L’universo simbolico delle cattedrali, tutti
editi da Simmetria Edizioni.
6.Filosofia
ed Estetica
Se
ricordiamo le parole Quirino Principe già riportate (“lo studioso alsaziano
è un filosofo della musica, o meglio, un filosofo tout court”) non parrà fuor di luogo cercare il Nostro nell’ambito
degli studi filosofici. Filosofia della musica?
Giovanni
Piana, autorevole filosofo italiano, ha sempre avuto un occhio di riguardo per
la musica, tenendo in gran conto anche alcuni degli autori definiti da Reynoso con dispregio
“oscurantisti”, fra i quali, oltre ad Alain
Daniélou, c’è anche Marius Schneider. Se di ciò gli va dato atto, l’analisi
condotta del pensiero schneideriano, che risparmiamo al lettore, non brilla
certo per particolare acume e si conclude banalmente: “Nello spirito delle
considerazioni di Schneider possiamo certamente dire: la musica è morta, molto
tempo fa. A noi resta soltanto l’arte dei suoni. In questa
opposizione e in questa formulazione conseguente, la musica di cui parla
Schneider si perde veramente nelle nebbie di un puro ideale filosofico. E
tuttavia, nonostante il fatto che proprio su questa conclusione intendiamo
riposare, c’è ancora qualcosa che fomenta la nostra inquietudine teorica: si
arriva qui a dire in negativo esattamente ciò che teorici e musicisti del
Novecento, guidati da orientamenti opposti, hanno detto e ridetto in positivo
come un’acquisizione importante e nuova: finalmente siamo arrivati a renderci conto
del fatto che la musica è niente altro che arte dei suoni”.
Si sa, i maestri fanno scuola comunque e un
discepolo di Piana, Carlo Serra,
malgrado pregevoli lavori in ambiti desueti, in un testo si limita a menzionare
il Nostro per definire il suo pensiero “filosofia del simbolico opaca, ma
affascinante”, e in un, sotto altri aspetti, notevole lavoro sulla voce neppure
lo menziona!
Filosofia
tout court? Qui la rassegna ci offre
finalmente delle piacevoli sorprese.
Il
primo autore che desideriamo menzionare è il filosofo cattolico e
“perennialista” Silvano Panunzio, un
outsider della cultura italiana del secondo dopoguerra del Novecento, che
aspetta ancora una seria presa in considerazione (1). Nella sua opera forse più
importante (2) c’è un confronto critico con il Nostro che, per quanto non da
noi condiviso, merita di essere riportato integralmente: “Il significato della musica di Marius Schneider non ci trova del
tutto consenzienti. L’autore ha svolto indagine interessanti sul mondo
primitivo, sui testi orientali e sulle concezioni indù: ma non per questo la
sua può considerarsi un’opera autenticamente "tradizionale". In
essa si cade nella solita confusione tra piano metafisico- al quale si dovrebbe
ascrivere la musica- e pian cosmico. Inoltre, una difettosa conoscenza
dell’Astrologia sacra suggerisce, all’Autore, delle tavole analogiche non
corrispondenti e non troppo chiare, nelle quali viene malamente coinvolto anche
il Pitagorismo. Circa il mitico primato della Musica, M. Schneider si dà la
zappa sui piedi allorché ricorre alla dottrina dei Centri sottili o "ruote"
della Tradizione indù. Se la Musica dipende dal Centro bucco-laringeo, è
evidentissimo che il Centro frontale della Visione silenziosa sia
gerarchicamente superiore al piano della Musica. Non si ripeterà mai abbastanza
che l’etere del semplice Suono musicale è inferiore all’etere della Parola che
è la chiave universale della Magia terrestre e celeste (e Schneider mostra di
sapere questo). Infatti, la Parola si riveste non solo dei Suoni della Vita ma
della forza sovrana della Verità. L’etere più alto è appunto quello della più
pura Luce ideale. Ancora un altro passo e gli Eteri e il Cosmo sono trascesi
nell’unitaria realtà metafisica della Divinità”. Un confronto molto critico, ma
serio e da meditare…
A
distanza di anni, però, un antico sodale e collaboratore di Panunzio, Giovanni D’Aloe, scrive un notevole
testo di filosofia simbolica del colore, dove fa di Schneider addirittura
l’autorevole conformatore della goethiana teoria dei colori: “L’armonia
cromatica ha dunque per Goethe lo stesso valore dell’armonia musicale: unendosi
così i due simboli originari in un unico inno al Creatore. Solo recentemente la "teoria" di Goethe ha ottenuto significative conferme: mentre lo "spettro" di Newton, nonostante la sua rigidità ed arbitrarietà,
è entrato a far parte dei luoghi comuni della nostra cultura […] Goethe
riteneva che tutti i colori fossero originati da una mescolanza tra la luce e
la tenebra: e che l’armonia cromatica avesse lo stesso valore dell’armonia
musicale, sia dal punto simbolico, sia per gli effetti psicologici. Marius
Schneider, nella sua opera più affascinante, Gli animali simbolici e la loro
origine musicale nella mitologia e nella scultura antiche, non solo conferma l’intuizione di Goethe,
ma ne fa derivare una teoria unitaria dei sensi incentrata sugli "insiemi ritmici” (3).
Se, per così dire, ci muoviamo dalla “scuola” di
Panunzio a quella di Carlo Sini, troviamo un notevole saggio di cosmologia di Alessandro Carrera, che, analogamente a
quanto detto di Stefani sul versante musicologico, potremmo tornare a definire
di “attenzione rispettosa”, come annunciato nella Premessa: “Nonostante la sua
probabile metafisica, questo libro non è dedicato agli adoratori di maiuscole.
Le suggestioni che hanno influenzato la sua nascita sono state l’etnomusicologia
di Marius Schneider (di cui si è tenuto ben presente il fascino rischioso), le
riflessioni su filosofia e cosmologia di Carlo Sini […] All’autore non resta
che aggiungere che l’armonia delle sfere, ovviamente non è vera. L’universo
vive di ordine e disordine, e se gli uomini hanno inventato la musica è stato
forse per aiutarlo a mantenersi in equilibrio. Cercare di rendere più chiaro
questo pensiero un po’ oracolare è il compito delle pagine che seguono”.
Malgrado le mani messe avanti, il lettore non potrà
fare a meno di notare la prepotente fascinazione che l’autore subisce sia da
parte di Schneider (cui è per buona parte dedicato il saggio) che di altri
(compresi i neopitagorici del “pensiero armonicale”), e l’”attenzione
rispettosa” si muta in “attenzione ammirata”: “(Schneider) mitografo moderno della musica,
tessitore di un vero e proprio corpus mitologico edificato esteriormente
con materiali storicizzati ma nutrito in profondità di una metafisica personale
e plasmatrice che in altri tempi ne avrebbe fatto forse un ispirato conduttore
di misteri […] Non ci sarà, in queste pagine, una esposizione organica del
pensiero di Schneider: occorrerebbe un secondo volume. Schneider è un
intagliatore di mosaici, con crea pietra che non sia nulla senza l’intero e non
ha interi che non siano composti di minuti frammenti permutabili. Meglio
rimandare direttamente ai suoi testi: più che credere a Schneider bisogna
ascoltarlo. È uno dei pochi contemporanei, tra coloro apertamente inclini
all’esoterismo, per cui l’analogia tra macrocosmo e microcosmo non sia solo un
orpello buono per far quadrare ogni cerchio”.
Alcuni anni dopo è lo stesso co-ispiratore del
saggio di Carrera, Carlo Sini, a
prendere la parola su Schneider. Non possiamo in questa sede dilungarci
sull’analisi condotta intorno a Pietre
che cantano, ma almeno un passaggio merita. Dopo aver apprezzato la “bella”
prefazione di Zolla (si ricordi Guizzi che parlava invece di “infervorata
prefazione”!) e aver riportato varie parti introduttive dell’autore, Sini
elenca quelli che sono i suoi tre punti essenziali: “1. Per intendere davvero
il tratto più rivoluzionario della scoperta di Schneider bisogna partire da
quella fusione di udito e di vista che la cultura orientale e la mistica
medievale europea frequentavano come abituale. Era allora normale e
comprensibile parlare di "luce degli orecchi"; o di "musica degli occhi" ; 2. L’uomo moderno ha perso l’accesso a questo mondo
acustico e in generale al significato "cosmogonico"; del fenomeno
sonoro; 3. Queste tesi esigono pertanto una recettività adeguata, insita "nel modo di pensare e di sentire di una data epoca";. Cioè, io
direi, quella "ricettività" che è resa possibile da concrete
pratiche di vita; per esempio dalla pratica di vita benedettina in tutta la sua
complessità di operazioni e significati, in larga misura irriducibili alle
nostre forme di vita e alle nostre classificazioni ("ora et labora"). Sono le pratiche
di vita, di parola e scrittura che aprono la via alla "ricettività", non viceversa. Donde la comprensibile sfiducia di
Schneider nei confronti del lettore moderno, molto analitico e
intellettualista, imbevuto di cultura libresca e di naturalismo scientista.
Potremmo però chiederci: forse che le cose stanno cambiando? Forse che sta
nascendo un nuovo modo di intendere la lettura e la scrittura, e perciò un
nuovo senso della pratica culturale e dei suoi fini?”.
Qui
siamo ben oltre l’”attenzione ammirata”, siamo alla “manducazione della parola”
schneideriana!
Più
esattamente: al ritorno della “manducazione della parola schnedieriana” in
ambito filosofico.
Perché
tre decenni prima Grazia Marchianò,
che qualche anno dopo sarebbe divenuta la più importante studiosa di estetica
comparata nel nostro Paese, nonché, sul piano personale, la compagna di vita di
Elémire Zolla per un quarto di secolo (1977-2002, anno di scomparsa di Zolla),
aveva pubblicato un importante volume, la cui seconda parte (La chiave arcaica e i suoi custodi nella
tradizione) era tutta “informata” dal verbo del Nostro. La giusta
collocazione e interpretazione di Schneider all’interno della filosofia
comparata avrebbe poi trovato coronamento tre anni dopo in un esemplare volume,
concepito come una struttura speculativa che si può anche prospettare
diagrammaticamente come mandala. E
qui Schneider, oltre a “informare” via via le diverse pagine del testo, viene a
confermare l’autrice nel modo, nuovo e antico al tempo stesso, di intendere la
speculazione: “Nella vita religiosa, avverte Schneider, il canto ha una
funzione analoga a quella della parola spontanea con cui formuliamo e
confessiamo nella vita quotidiana una risoluzione silenziosamente elaborata. Cantare è rispondere ed acconsentire. Il
canto, infatti, ha un carattere vincolante.
All’atto di manifestarsi sonoramente, il pensiero si conferma e precisa. Il
canto ratifica il pensiero, perché questo diventa attuale allorché il canto si
formula. Cantare i propri pensieri, dopo la corrispettiva meditazione, vuol
dire abbandonare l’area dell’individualità, procedere all’azione e operare
nella collettività”. Un decennio dopo, in un suo ulteriore ed importante lavoro,
Grazia Marchianò ospiterà un intero e prestigioso saggio del Nostro, con il
quale l’assunzione di Schneider a preminente figura di filosofo della “Scienza
dei Simboli” è completata. Vi rimando allora alla sua relazione più avanti in
questi Atti.
7.Musica
sperimentale
Concludiamo
questa breve rassegna con un cenno ad un tema che ci sta particolarmente a
cuore,e su cui ci riserviamo di tornare
altrove in adeguata maniera: Schneider e la musica sperimentale. Può sembrare
una provocazione, ma forse, come altrove abbiamo visto nel caso di Elémire
Zolla, non è così. Non ci riferiamo
quindi ad alcuni noti cantanti italiani che recentemente hanno mostrato
ammirazione per Schneider (valgano per tutti i nomi di Angelo Branduardi, Roberto
Vecchioni, e ovviamente Franco
Battiato), ma la cui musica ben difficilmente potrebbe pretendere di avere
alcun rapporto con il Nostro, quanto piuttosto a riconosciuti Maestri della
sperimentazione musicale (non dell’avanguardia musicale o Nuova Musica, come ha
pretendeva Bortolotto).
E
qui troviamo innanzitutto l’“attenzione rispettosa: “Spesso studiosi seri
vengono letti male, in un’ottica inflazionata e deformata. Questo sembra essere
il caso di Marius Schneider, un autore che oggi tende ad essere letto in modo
superficiale ed acritico, ma che resta importante al di là di ragionevoli
dubbi. Che Schneider sia stato tradotto, sia in italiano che in inglese, in
modo del tutto disorganico ed episodico non aiuta certo la comprensione del suo
pensiero. Rimane il sospetto che una lettura a volte veramente faticosa
farraginosa possa dipendere dalle traduzioni, ma in parte anche dal pensiero
originale”.
Poi
troviamo l’”attenzione ammirata”.
E,
infine, la “manducazione della parola” schneideriana” di Franco Evangelisti: “Marius Schneider è stato un acuto osservatore
nel descrivere il valore e il significato della musica in rapporto allo
smarrimento dell’uomo di oggi che, di fronte ad alcuni aspetti poco
comprensibili o difficilmente razionalizzabili della realtà, assume a volte
atteggiamenti non molto intelligenti […] Da queste riflessioni ricaviamo tre
concetti fondamentali. Il primo lega il potente influsso che il messaggio
sonoro ha non soltanto sugli uomini ma anche sugli animali, come il serpente o
lo scorpione. Chi non ha visto un gatto arruffare il pelo o fare la gobba, o
sentire ululare o guaire un cane per una sonorità proveniente da una musica o
dall’uso diretto d’uno strumento? Di sicuro i termini incantare o disincantare indicano
il coinvolgimento in un atto magico mediante il canto; nel tempo, il valore
assegnato dall’uomo al messaggio acustico si evidenzia nel significato
originario di queste parole […] La seconda considerazione deriva dall’idea di
Schneider sulla musica
che congiunge perché porta a consuonare tutto ciò che è capace di vibrare o almeno lo fa oscillare;. Idea che quasi
sicuramente proviene dalle leggi di simpatia e contiguità a suo tempo formulate
da James Fraser per le pratiche
magiche. Anche queste leggi, e quelle fisiche e geometriche, dovrebbero essere
esaminate con serietà e verificate […] La terza considerazione riguarda il
comportamento dell’uomo odierno di fronte a manifestazioni vitali o a fenomeni
che non riesce a spiegare e a razionalizzare, inducendolo a posizioni lontane
da qualsiasi soluzione: scatta così lo scetticismo, una sorta di alienazione
che gli fa ignorare i fatti, quasi per paura di vedere […] Un’idea limitata nei
riguardi della cultura musicale può impedire in fatti una visione più vasta del
fenomeno musicale. Da una simile concezione "eurocentrica" si può
cadere nel pregiudizio che una cultura sia superiore a un’altra. Ora, se questo
è verificato, è stato però anche
chiarito grazie agli inteventi di etnomusicologi come von Hornbostel, Schaeffner,
Sachs, Carpitella e altri. Ciò
malgrado, persiste, a taluni livelli, una sorta di inconscio colonialismo
culturale che non aiuta”. E ci fermiano qui! Con questo richiamo
all’etnomusicologia da parte del compositore “sperimentale” Evangelisti, ma con
segno totalmente opposto a quello che abbiamo in precedenza riscontrato in Febo
Guizzi. ..
che congiunge perché porta a consuonare tutto ciò che è capace di vibrare o almeno lo fa oscillare
Schneider “sperimentale” suo malgrado? Forse…
Antonello Colimberti
(1) Vale segnalare
l’opera inesausta del suo allievo Aldo La Fata nel curare la ristampa,
diffusione e studio degli scritti del suo Maestro.
(2) Cfr. Silvano Panunzio, Contemplazione e simbolo (2 vol.), Simmetria Edizioni, Roma 2014.
(I ed. Volpe, Roma 1976).
(3) I colori simbolici, origini di un linguaggio
universale,
Il Segno dei Gabrielli Editore, Negarine di S. Pietro in Cariano (Verona) 2004.
Opere principali di Marius Schneider.
Opere principali di Marius Schneider.
- Il significato della musica, trad. di Aldo Audisio, Agostino Sanfratello e Bernardo Trevisano, introduzione di Elémire Zolla, Milano, Rusconi, 1970; Milano, SE, 2007
- Pietre che cantano : studi sul ritmo di tre chiostri catalani di stile romanico, trad. di Augusto Menduni, Milano, Archè, 1976; Parma, Guanda, 1982, prefazione di Elémire Zolla; Milano, SE, 2005
- Gli animali simbolici e la loro origine musicale nella mitologia e nella scultura antiche, trad. di Gaetano Chiappini, Milano, Rusconi, 1986
- La musica primitiva, trad. di Stefano Tolnay, Milano, Adelphi, 1992
- La danza delle spade e la tarantella : saggio musicologico, etnografico e archeologico sui riti di medicina, a cura di Pierpaolo De Giorgi, Lecce, Argo, 1999
N.B.
Il testo di Colimberti nell'originale è corredato di molte ricchissime note che per non appesantire il testo si è deciso in questa sede di omettere. Il testo completo si trova ora negli Atti del convegno pubblicato dall'editrice "Simmetria" di Roma con il titolo "Schneider musica, arte e conoscenza". Tra i relatori Grazia Marchianò, Leopoldo Siano, Nuccio D'Anna, Pierpaolo De Giorgi, Giangiuseppe Bonardi, Claudio Lanzi.
Eccellente intervento di Antonello. Grazie, l'ho letto con molto profitto. Come al solito, veramente notevole e intelligente.
RispondiEliminaOttima analisi dell'ottimo Colimberti. Rene'
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