Abbiamo
appreso solo in questi giorni con viva commozione e dispiacere della scomparsa
di Alberto Cesare Ambesi avvenuta sul finire del 2014. Ne dava notizia
Sandro Consolato sul sito internet della rivista di studi tradizionali “La
Cittadella” il 10 febbraio u.s. (*) Pur non avendo mai incontrato o
conosciuto Ambesi, ne abbiamo sempre apprezzato l’intelligenza, la cultura,
la saggezza e l’innata signorilità. Vogliamo ricordarlo ora con un’interessante e
molto ben documentato articolo sul tema controverso delle origini della Divina
Commedia dantesca, apparso sempre sulla rivista summenzionata nel n. 12 del
2003 e sul web alla pagina
(*) http://www.lacittadella-web.com/forum/viewtopic.php?f=30&t=2649
L’amore (eccessivo?) per la cultura musulmana ha più volte indotto lo storico Franco Cardini a sostenere che sarebbe oramai comprovata e indiscutibile una diretta influenza del Corano sulla struttura della Commedia dantesca. Mi sia però consentito di non condividere.
Già, perché per trovare le vere prefigurazioni della massima opera di Dante occorre risalire a orizzonti che nulla hanno a che spartire con il testo “trasmesso” a Muhammad e che, per converso, avevano più volte illuminato i primi frutti poetici arabo-islamici indicati dallo stesso Cardini come ulteriori fonti dell’ispirazione dantesca. Basti pensare, innanzi tutto, al poema mazdaico (zoroastriano) Ardai Wiraz Namag (“Il libro di Ardai Viraz”) redatto intorno alla seconda metà del VI sec. d.C., ma di certo raccogliendo ed elaborando tematiche o spunti anteriori. E che si tratti di un’anticipazione di non poco rilievo è provato da diverse concordanze, dottrinali e poematiche, già rilevate dal dotto parsi Jvanji Jamsedi Modi nel contesto del volume Dante papers (Bombay, 1914).
Triplice è infatti, in entrambi i poemi, la ripartizione dei mondi ultraterreni (nel testo mazdaico la successione risulta la seguente: Purgatorio, concepito come “Luogo intermedio”, Paradiso, Inferno e ritorno al cospetto di Dio) e parimenti comune è il concetto che a ogni genere di colpa debba corrispondere una pena altrettanto caratteristica. Da rilevarsi, altresì, che anche ad Ardai Viraz è dato d’incontrare delle “guide” spirituali, anzi una coppia di maestri di sapere, con compiti di ammaestramento analoghi a quelli che saranno assolti, al fianco di Dante, da Virgilio, Beatrice e San Bernardo; nel caso in esame: gli arcangeli Atar, Figlio del Sommo Iddio e come tale custode del “Sacro Fuoco” della Vita, e Sraosha (“l’Obbedienza”), entità mediatrice tra il “Saggio Signore” (Ahura Mazda, ovviamente) e gli uomini tutti.
Ma vi è di più. Molto di più. Si trova, per esempio, nel testo iraniano l’incontro e il dialogo con il “Primo Uomo”, Gayomard, così come in Dante il colloquio con Adamo (canto XXVI del Paradiso), nonché, in entrambi, la presenza di incandescenti modulazioni volte a cantare la Luce, quale manifestazione ed essenza, a un tempo, della Regione Suprema (la “Casa della Lode”, secondo la definizione iranica). Non per nulla, fiammeggiano in Ardai Viraz strofe quali le seguenti: Vidi l’Estrema Luce fra le superne luci / Vidi i Beati sopra i troni d’oro / in lucenti vesti dorate / e con fulgore pari a quello del sole. Certo, a questo punto si potrebbe anche invocare l’universalità di talune immagini archetipali, per spiegare le concordanze che ho voluto sottolineare. Tuttavia, pur non escludendo il contributo di un simile fattore, desidero ancora rilevare che le tesi di Modi erano state anticipate di qualche anno da C. S. Boswell nel saggio Irish Precursors of Dante e accolte con vivo interesse dall’indianista Carlo Formichi (1871-1943).
Un ricordo – quello di Formichi – che sopraggiunge quanto mai opportuno, giacché egli fu tra i pochi, intorno agli anni quaranta dello scorso secolo, ad accogliere senza remore le ardite ipotesi espresse da Gabriele Rossetti (1783-1854) nella densa opera Il Mistero dell’amore platonico del Medioevo, nel cui contesto, e in specie nel 1° dei cinque volumi, non mancavano neppure i riferimenti alle dottrine manichee, come fonti ispirative della poesia dei “Fedeli d’Amore” e della poetica dantesca. E, a proposito del manicheismo, mi sia concesso di esporre il seguente quesito: “Franco Cardini ha mai avuto la possibilità di leggere il breve saggio Mani. Rapporti con Bardesane – S. Agostino – Dante (Vita e Pensiero Editrice, Milano, 1932) di Leone Tondelli e gli studi, molto più recenti e di tutt’altro orientamento, di Margarete Lochbrunner, pubblicati in diversi numeri di “Conoscenza religiosa” (si vedano le annate dal 1973 al 1977)?”.
In caso affermativo, perché mai ha sottaciuto le acquisizioni storico-dottrinarie espresse in quelle pagine e in base alle quali può dirsi indiscutibile l’influenza di tutta la sapienza persiana pre-islamica non solo su Dante e sulla cultura medievale occidentale, ma altresì sull’ismailismo (lo shi’ismo settimano), sul nusairismo, nonché sulle più alte espressioni del sufismo iranico? Se poi si aggiunge, come qui aggiungo, che, a sostegno di questa tesi, si inserisce l’opera omnia di uno studioso della statura di Henry Corbin (1903-1978), ritengo che si possa e si debba manifestare più di una perplessità di fronte al silenzio assunto dallo storico fiorentino. Tanto più che troppo spesso si è dimenticato di ricordare che la civiltà musulmana non avrebbe mai raggiunto i livelli, che è doveroso riconoscerle, senza i ricorrenti apporti, matematici e scientifici, provenienti dall’India e dalla Cina.
Ma questo è discorso da svilupparsi in altra occasione, magari ricordando anche che l’Islam, dopo un breve periodo di tolleranza nei riguardi dei filosofi neoplatonici, dei mandei e dei cristiani nestoriani, perché chiamati a fungere da “maestri” nella nascente società musulmana, non tardò a rivelarsi come un feroce persecutore di sabei, zoroastriani e manichei, oltre che matrigna, nei confronti di diversi dei suoi mistici o iniziati: da Abû ’Abdillah Hallâj (857-922), messo a morte a seguito di una condanna (fatwâ) del solito collegio di giuristi e con la complicità di talune cerchie di sufi, a Shihâboddin Sohrawardî (1155-1191), pensatore di valore universale e fatto uccidere da quel Salâhaddîn (Saladino) che Cardini, se non ricordo male, ha mostrato più volte di ammirare senza riserve; da Nizar b. Ma’add (?-1095), gentilmente murato vivo ad Alessandria, al mite ’Ali Muhammad di Shiraz, il Bab (“La Porta”), fucilato nel 1850, all’età di trent’anni, per avere proclamato la necessità di superare il Corano, così come il Corano era andato oltre, a suo giudizio, i precetti formulati dalla Bibbia.
E per il momento basti. Il mio discorso sulla necessità di riscoprire e rivalutare l’antica sapienza persiana, sia sotto il profilo storico sia alla luce del futuro che ci facciamo venire incontro, verrà comunque ripreso, ampliato e approfondito quanto prima. Qui e altrove.
Alberto Cesare Ambesi
L’amore (eccessivo?) per la cultura musulmana ha più volte indotto lo storico Franco Cardini a sostenere che sarebbe oramai comprovata e indiscutibile una diretta influenza del Corano sulla struttura della Commedia dantesca. Mi sia però consentito di non condividere.
Già, perché per trovare le vere prefigurazioni della massima opera di Dante occorre risalire a orizzonti che nulla hanno a che spartire con il testo “trasmesso” a Muhammad e che, per converso, avevano più volte illuminato i primi frutti poetici arabo-islamici indicati dallo stesso Cardini come ulteriori fonti dell’ispirazione dantesca. Basti pensare, innanzi tutto, al poema mazdaico (zoroastriano) Ardai Wiraz Namag (“Il libro di Ardai Viraz”) redatto intorno alla seconda metà del VI sec. d.C., ma di certo raccogliendo ed elaborando tematiche o spunti anteriori. E che si tratti di un’anticipazione di non poco rilievo è provato da diverse concordanze, dottrinali e poematiche, già rilevate dal dotto parsi Jvanji Jamsedi Modi nel contesto del volume Dante papers (Bombay, 1914).
Triplice è infatti, in entrambi i poemi, la ripartizione dei mondi ultraterreni (nel testo mazdaico la successione risulta la seguente: Purgatorio, concepito come “Luogo intermedio”, Paradiso, Inferno e ritorno al cospetto di Dio) e parimenti comune è il concetto che a ogni genere di colpa debba corrispondere una pena altrettanto caratteristica. Da rilevarsi, altresì, che anche ad Ardai Viraz è dato d’incontrare delle “guide” spirituali, anzi una coppia di maestri di sapere, con compiti di ammaestramento analoghi a quelli che saranno assolti, al fianco di Dante, da Virgilio, Beatrice e San Bernardo; nel caso in esame: gli arcangeli Atar, Figlio del Sommo Iddio e come tale custode del “Sacro Fuoco” della Vita, e Sraosha (“l’Obbedienza”), entità mediatrice tra il “Saggio Signore” (Ahura Mazda, ovviamente) e gli uomini tutti.
Ma vi è di più. Molto di più. Si trova, per esempio, nel testo iraniano l’incontro e il dialogo con il “Primo Uomo”, Gayomard, così come in Dante il colloquio con Adamo (canto XXVI del Paradiso), nonché, in entrambi, la presenza di incandescenti modulazioni volte a cantare la Luce, quale manifestazione ed essenza, a un tempo, della Regione Suprema (la “Casa della Lode”, secondo la definizione iranica). Non per nulla, fiammeggiano in Ardai Viraz strofe quali le seguenti: Vidi l’Estrema Luce fra le superne luci / Vidi i Beati sopra i troni d’oro / in lucenti vesti dorate / e con fulgore pari a quello del sole. Certo, a questo punto si potrebbe anche invocare l’universalità di talune immagini archetipali, per spiegare le concordanze che ho voluto sottolineare. Tuttavia, pur non escludendo il contributo di un simile fattore, desidero ancora rilevare che le tesi di Modi erano state anticipate di qualche anno da C. S. Boswell nel saggio Irish Precursors of Dante e accolte con vivo interesse dall’indianista Carlo Formichi (1871-1943).
Un ricordo – quello di Formichi – che sopraggiunge quanto mai opportuno, giacché egli fu tra i pochi, intorno agli anni quaranta dello scorso secolo, ad accogliere senza remore le ardite ipotesi espresse da Gabriele Rossetti (1783-1854) nella densa opera Il Mistero dell’amore platonico del Medioevo, nel cui contesto, e in specie nel 1° dei cinque volumi, non mancavano neppure i riferimenti alle dottrine manichee, come fonti ispirative della poesia dei “Fedeli d’Amore” e della poetica dantesca. E, a proposito del manicheismo, mi sia concesso di esporre il seguente quesito: “Franco Cardini ha mai avuto la possibilità di leggere il breve saggio Mani. Rapporti con Bardesane – S. Agostino – Dante (Vita e Pensiero Editrice, Milano, 1932) di Leone Tondelli e gli studi, molto più recenti e di tutt’altro orientamento, di Margarete Lochbrunner, pubblicati in diversi numeri di “Conoscenza religiosa” (si vedano le annate dal 1973 al 1977)?”.
In caso affermativo, perché mai ha sottaciuto le acquisizioni storico-dottrinarie espresse in quelle pagine e in base alle quali può dirsi indiscutibile l’influenza di tutta la sapienza persiana pre-islamica non solo su Dante e sulla cultura medievale occidentale, ma altresì sull’ismailismo (lo shi’ismo settimano), sul nusairismo, nonché sulle più alte espressioni del sufismo iranico? Se poi si aggiunge, come qui aggiungo, che, a sostegno di questa tesi, si inserisce l’opera omnia di uno studioso della statura di Henry Corbin (1903-1978), ritengo che si possa e si debba manifestare più di una perplessità di fronte al silenzio assunto dallo storico fiorentino. Tanto più che troppo spesso si è dimenticato di ricordare che la civiltà musulmana non avrebbe mai raggiunto i livelli, che è doveroso riconoscerle, senza i ricorrenti apporti, matematici e scientifici, provenienti dall’India e dalla Cina.
Ma questo è discorso da svilupparsi in altra occasione, magari ricordando anche che l’Islam, dopo un breve periodo di tolleranza nei riguardi dei filosofi neoplatonici, dei mandei e dei cristiani nestoriani, perché chiamati a fungere da “maestri” nella nascente società musulmana, non tardò a rivelarsi come un feroce persecutore di sabei, zoroastriani e manichei, oltre che matrigna, nei confronti di diversi dei suoi mistici o iniziati: da Abû ’Abdillah Hallâj (857-922), messo a morte a seguito di una condanna (fatwâ) del solito collegio di giuristi e con la complicità di talune cerchie di sufi, a Shihâboddin Sohrawardî (1155-1191), pensatore di valore universale e fatto uccidere da quel Salâhaddîn (Saladino) che Cardini, se non ricordo male, ha mostrato più volte di ammirare senza riserve; da Nizar b. Ma’add (?-1095), gentilmente murato vivo ad Alessandria, al mite ’Ali Muhammad di Shiraz, il Bab (“La Porta”), fucilato nel 1850, all’età di trent’anni, per avere proclamato la necessità di superare il Corano, così come il Corano era andato oltre, a suo giudizio, i precetti formulati dalla Bibbia.
E per il momento basti. Il mio discorso sulla necessità di riscoprire e rivalutare l’antica sapienza persiana, sia sotto il profilo storico sia alla luce del futuro che ci facciamo venire incontro, verrà comunque ripreso, ampliato e approfondito quanto prima. Qui e altrove.
Alberto Cesare Ambesi
BREVE NOTA BIOGRAFICA
Alberto
Cesare Ambesi è nato a Torino nel 1931. A Milano, ha insegnato storia dell’arte
e semiotica all’ “ International College of Sciences and Arts” e allo “Istituto
Europeo del Design (Dipartimento di Comunicazione)”. E’ autore di estesi
contributi, nell’ambito delle discipline del folklore e dell’esoterismo, nel
Dizionario Enciclopedico della UTET, di voci dedicate alle arti
oceaniane, amerindiane e africane sull’Enciclopedia dell’Arte della
Garzanti.
In tempi diversi ha collaborato ai
supplementi, o alle pagine culturali, dei quotidiani La Stampa ( prime serie
di: “Tuttolibri” e “ Tuttoscienze”), Il Giornale e La Regione Ticino di
Bellinzona, oltre che a diversi periodici culturali. Titolare di rubrica sul
mensile Sphera (già “Hera”), dal mese di settembre 2008 fino al 2013 è stato
direttore editoriale di “Atrium”, trimestrale di studi metafisici e umanistici
del Cenacolo Umanistico Adytum. E’collaboratore dell’autorevole mensile “
“Civiltà” e iscritto all’ Ordine dei Giornalisti, elenco pubblicisti,
dall’ottobre 1959.
Fra i suoi volumi, si ricordano qui:”
Oceanic Art” (Hamlyn House, Middlesex, 1970), “Dante, il poeta che immaginò
l’Eterno” (Peruzzo Editore, Milano,1985/1988), “L’enigma dei Rosacroce”
(Edizioni Mediterranee, Roma, 1990), “Atlantide e Le Società esoteriche” (due
monografie edite da Xenia, Milano, 1994), “I maestri del Tempio” (Asefi
–Terziaria, Milano 1995), “Il panteismo” (Xenia, Milano, 2000), l’edizione
ampliata e rinnovata di “Scienze, Arti e Alchimia” (Hermatena, Riola, 2007) e i
nuovi saggi “Nella luce di Mani” (Cenacolo Umanistico Adytum, Trento, 2007) e “Il
Labirinto” (Edizioni Età dell’Acquario, Torino, 2008).
E’ stato il curatore dell’ edizione
italiana della monumentale opera, “L’Europa misteriosa” (Selezione dal Reader’s
Digest, Milano,1986) dove viene citata -
per la prima volta in un volume a diffusione mondiale - l’Alleanza Tradizionale Michele Arcangelo e
dei volumi: “La Massoneria-Storia e Iniziazione di Ch. Jaq” (4^ ediz., Milano
2005) e “Il Mazdeismo universale di Michele Moramarco” (Bastogi Editore,
Foggia, 2010).
Grazie per la segnalazione. Non conoscevo Ambesi, nè conosco i suoi scritti, ma a giudicare dal brano riportato si tratta sicuramente di uno studioso esigente e coraggioso.
RispondiEliminaChe riposi in pace.
Paolo C.
Grazie a Lei Paolo per il commento e l'auspicio soprannaturale.
RispondiEliminaGrazie Aldo. Interessantissimo l'articolo sulle fonti della Divina Commedia
RispondiEliminaGrazie a te Giuseppe. Eterniamo la memoria di chi di memoria fu degno. Un caro saluto
RispondiEliminaLo conoscevo di persona. Era distinto e molto gentile, come sua moglie del resto. R.I.P.
RispondiEliminaGrazie per la testimonianza.Saluti
RispondiEliminanon lo conoscevo non mi interessa l'esoterismo occidentale....ma sul tema della Persia e Zarathustra se non si capisce che questo personaggio ebbe un peso e influenza sulla Bibbia corano islam esoterico e forse su aspetti del buddismo tibetano infine catari e eresie fino a Dante significa o essere ignoranti o malafede basta ricordare che molti testi non sono tradotti ancora in Italiano ...uno scandalo!
RispondiEliminadal basso della mia ignoranza concordo con la tesi dell'articolo contro Cardini che ammiro comunque su altri temi...R.I.P.
A parte Raffaele Pettazzoni, Gherardo Gnoli, Pio Filippani Ronconi e Arnaldo Alberti che ha tradotto nella nostra lingua l'Avesta, mi pare che pochi altri in Italia si siano occupati di Zarathustra. Forse che gli esponenti dei tre monoteismi temono di mettere in luce i debiti anche troppo importanti che hanno verso quella illustre tradizione?
RispondiEliminaha capito subito la questione ..e quindi i testi sacri dei 3 monoteismi non sono unici ispirati o dettati ma frutto anche di incontri storici con altri popoli 'infedeli' .....il dualismo persiano ha causato anche molti problemi in occidente.......i fanatici di destra che sognano di essere ariani disprezzando le religioni semite non sanno che la forma piena a realizzata della religione ariana di zarathustra è quella Cattolica-Ortodossa...ironia della storia......Il libro di Ardai Viraz non è tradotto e credo anche altri minori...L'avesta è rimasto solo una piccola parte dell'originale è di difficile datazione.....e anche le traduzioni è un impresa sempre approssimativa dicono.....
RispondiEliminaMi pare che ci troviamo d'accordo Sig. Costa, salvo analisi più dettagliate. L'angeologia ad esempio, come ci ricordava il buon Corbin, ha inserito nelle tre religioni monoteiste un elemento "politeista" e così via (è un modo di esprimersi che non amo, ma lo uso tanto per intenderci). Il problema della cosiddetta "destra neopagana" è che ragione come una religione monoteista rigidamente intesa. Paradossi della modernità.
RispondiEliminaoltre l'angeologia è passato il messianismo la resurrezione dei corpi ,giudizio finale la lotta tra angeli e demoni forse paradiso inferno e una sorta di purgatorio .....la cosa è dibattuta per via della mancata datazione certa...basti pensare che dopo l 'incontro con i persiani e Ciro chiamato messia dalla bibbia iniziano le 'influenze' il demoni che prima erano dei servi di Dio che li utilizzava come una sorta di spie incominciano ad essere visti in maniera ....insomma alla radio Maria .....
RispondiEliminaDiciamo che certi elementi vengono mutuati, ma che una volta assunti e fatti propri finiscono con l'avere una loro fisionomia e una loro precisa identità sempre più marcata e alla fine non più riducibile al modello originario. Da qui l'impossibilità del comparativismo e l'assurdità del sincretismo religioso.
RispondiEliminaconcordo ...di sicuro la Bibbia e il corano hanno cancellato il possibile dualismo platonico tra corpo e anima e valorizzato il sensibile e il creato e ridotto o cancellato il dualismo tra bene e male tipico delle religioni persiane.....dobbiamo ringraziare per questo e penso sia frutto della provvidenza che ha portato un equilibrio ............invece sui limiti e possibili errori delle religioni di Abramo e del Libro è un capitolo che rimandiamo ad altre discussioni.....
RispondiEliminaAlla prossima, caro Costa.
RispondiEliminaHo avuto la fortuna di conoscere e frequentare Alberto Cesare Ambesi e posso testimoniare che era un uomo di una grande cultura e una profonda apertura mentale con il quale era "piacevole" condividere serate, incontri e approfondire argomenti religiosi, mistici e esoterici. Una Grande perdita per la CULTURA Italiana e Mondiale. Buon viaggio A.C.A. da Alberto
RispondiEliminaGrazie davvero Alberto La Rosa per la Sua testimonianza. Qui sulla Terra sono ormai trascorsi quasi quattro anni dalla dipartita di Ambesi, ma speriamo che il suo tempo in Cielo si sia ormai eternato.
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