“Il Corriere Metapolitico” compie un
anno
Parlare al
mondo senza essere del mondo
Crediamo
che “Il Corriere Metapolitico” rappresenti qualcosa di unico nel panorama
italiano delle riviste di alta cultura. Esageriamo? No. Per comprenderne
l’originalità dell’approccio e l’apertura metodologica riteniamo basti prestare
attenzione al suo sottotitolo: “Rivista escatologica di studi
universali”. Che ci ricorda - altra cosa importante - che la
metapolitica, piaccia o meno, ancora non ha conseguito lo status di
disciplina accademica. Ciò significa che essa resta libera (e
al sicuro) da specialismi e virtuosismi da concorsi a cattedra. Un clima
ancora avventuroso e di grandi speranze euristiche, di cui "Il
Corriere Metapolitico" approfitta magnificamente.
Il merito
dell'iniziativa editoriale, che ha un Direttore onorario nel valoroso
Primo Siena, crediamo però sia dell'instancabile Aldo La
Fata, uomo mite e coltissimo, che per certi aspetti, non solo
intellettuali, rinvia alle creative aperture caratteriali e
cognitive di un Giano Accame. Anche La Fata sembra animato da una
sana retorica della transigenza, come del resto prova il policromo,
intellettualmente policromo, ma non per questo decorativo, comitato di
redazione.
La Fata, giustamente, ritiene che una rivista di cultura, pur non essendo del mondo, nel senso di non riconoscersi in certo devastante nichilismo contemporaneo, debba tuttavia parlare al mondo, mettendosi innanzitutto in ascolto. E per fare ciò servono cultura, umiltà e coraggio, doti di cui La Fata non manca.
Attenzione, coraggio, non temerarietà: atteggiamento sbagliato, quest'ultimo, che rinvia alla sfrontatezza di coloro che di regola sono in torto. Ad esempio, di chi, nel quadro di una metafisica, cristiana e anti-cristiana insieme, metta in discussione, seguendo le orme di Lucifero, il potere di Dio: Quis ut Deus?, come recita il battagliero sottotitolo del fascicolo n. 5, appena uscito, che chiude il primo anno di vita della rivista. In fondo, il problema è quello di come confrontarsi con il ruolo del Male nel mondo. Anche per un laico. Nella Presentazione si legge, che
“di fronte a un quadro a dir poco sconfortante, non basta cullarsi nella speranza fideistica di una ricetta universale magari preconfezionata da qualche improbabile istituzione politica nazionale o sovranazionale, né abbandonarsi a lamentazioni o a bizzarre e nebulose fughe dalla realtà che tendono a risolversi in un rimedio peggiore del male. Occorre, al contrario, promuovere - in tutti i campi - una mobilitazione eccezionale delle coscienze. Di contro alla convenzionalità e alla massificazione dei comportamenti, opporre la coltivazione dell’intelligenza e del pensiero e la pratica della rettitudine e della virtù, rivendicando al tempo stesso e senza falsi pudori l’attualità e la perennità dello spirito”.
La Fata, giustamente, ritiene che una rivista di cultura, pur non essendo del mondo, nel senso di non riconoscersi in certo devastante nichilismo contemporaneo, debba tuttavia parlare al mondo, mettendosi innanzitutto in ascolto. E per fare ciò servono cultura, umiltà e coraggio, doti di cui La Fata non manca.
Attenzione, coraggio, non temerarietà: atteggiamento sbagliato, quest'ultimo, che rinvia alla sfrontatezza di coloro che di regola sono in torto. Ad esempio, di chi, nel quadro di una metafisica, cristiana e anti-cristiana insieme, metta in discussione, seguendo le orme di Lucifero, il potere di Dio: Quis ut Deus?, come recita il battagliero sottotitolo del fascicolo n. 5, appena uscito, che chiude il primo anno di vita della rivista. In fondo, il problema è quello di come confrontarsi con il ruolo del Male nel mondo. Anche per un laico. Nella Presentazione si legge, che
“di fronte a un quadro a dir poco sconfortante, non basta cullarsi nella speranza fideistica di una ricetta universale magari preconfezionata da qualche improbabile istituzione politica nazionale o sovranazionale, né abbandonarsi a lamentazioni o a bizzarre e nebulose fughe dalla realtà che tendono a risolversi in un rimedio peggiore del male. Occorre, al contrario, promuovere - in tutti i campi - una mobilitazione eccezionale delle coscienze. Di contro alla convenzionalità e alla massificazione dei comportamenti, opporre la coltivazione dell’intelligenza e del pensiero e la pratica della rettitudine e della virtù, rivendicando al tempo stesso e senza falsi pudori l’attualità e la perennità dello spirito”.
Come non essere d’accordo con La Fata? La prima rivoluzione, autentica, non può che iniziare dentro di noi, nel fondo delle nostre coscienze, liberando l’interiorità, per poi educarla meglio alla scuola della volontà.
Si dirà
formule, solo formule astratte… In realtà, un grande filosofo liberale,
come Benedetto Croce, parla della necessità di cogliere, dentro di
noi, l’elemento profondo di ogni filosofia, per poi educarlo alla
severa riflessione. Croce si riferisce a un processo di
introversione-estroversione, che riguarda il singolo e la sua
interiorità. L’éskatos è dentro di noi e al tempo
stesso fuori di noi. Un legame che non va mai spezzato, sicché ogni politica
non può non essere anche metapolitica, come studio delle cose ultime, ma anche
delle forme costanti della politica, o meglio del politico, del primum politico.
Insomma, l'éskatos, come sintesi di ciò che è dentro (il primo) e
fuori di noi (l'ultimo). E forse questo era ed è il senso profondo del
crociano "perché non possiamo non dirci cristiani".
In
definitiva, l’ascesa verticale, che ha un suo senso, imprescindibile,
non può d'altra parte ignorare lo studio dell’orizzontalità delle
forme politiche e viceversa. Qui, tuttavia, ci fermiamo, perché il
discorso si farebbe lungo.
Del
ricco sommario del fascicolo, ricordiamo
l’eccellente articolo di Nuccio D’Anna, su San Francesco fra mistica e
sufismo (pp. 7-12), accostamento a prima vista ardito, ma in realtà
congruo. Non meno curiose, ma non per questo meno interessanti, le
“riflessioni” della misteriosa “Dama del Lago” sull’ “enigma del tempo”
(pp. 28-48): un'affascinante galoppata tra storia, algoritmi,
teoria del caos: da l' I’Ching a Bush figlio, passando per Prigogine
e Chirac. Infine, miracoloso sotto il profilo della sintesi, il
ricordo del giurista Emilio Betti di Roberto Russano (pp.
82-87).
Auguri per
il primo genetliaco. Ad maiora.
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