È un libro scaturito da un’amicizia «nata nel
silenzio, cresciuta nel silenzio e che continua a esistere nel silenzio». Il
titolo ne è una mirabile sintesi: La force du silence, la forza del
silenzio. Esce oggi in Francia per le edizioni parigine Fayard e domani
verrà presentato in Italia all’Insitut francaise Centre Saint Louis di
Roma. È il frutto della rinnovata collaborazione tra il cardinale guineiano
Robert Sarah, prefetto della Congregazione vaticana per il Culto Divino, e il
giornalista francese Nicolas Diat. Insieme avevano già dato alle stampe quello
che si è rivelato come un vero e proprio best seller, Dio o niente
(Ed. Cantagalli, 2015).
L’AMICIZIA CON FRERE VINCENT
L’incontro che ha dato sostanza a questo
testo di grande forza spirituale è quello tra il cardinale e un giovane monaco
certosino francese, frère Vincent-Marie. Si sono incontrati nel 2014
all’abbazia di Lagrasse, monastero situato tra Carcassonne e Narbonne, mentre
il giovane Vincent era minato dalla sclerosi a placche, incapace ormai di
pronunciare parola e per cui «il più piccolo respiro era un enorme sforzo». Il
10 aprile 2016 frère Vincent ha reso l’anima a Dio e il cardinale Sarah,
colpito indelebilmente dagli incontri con il giovane monaco, ha partecipato
alle sue esequie pronunciando l’omelia.
«Osservandoti in silenzio», disse Sarah in
quella omelia, «ho sempre considerato che il tuo volto splendeva. Il tuo corpo
portava la sofferenza e il dolore. Ma sul tuo viso si poteva vedere una grande
gioia, un’immensa pace e un abbandono totale a Dio. (…) E il silenzio ha
insegnato a entrambi che l’unità della sofferenza e della beatitudine, è il
segreto di Dio che dobbiamo accogliere nella fede e con una grande serenità».
Ecco perché Nicolas Diat può scrivere nella prefazione che «La force du
silence non avrebbe mai potuto esistere senza frère Vincent».
COME IL FUOCO SUL METALLO
Il silenzio, indiscusso protagonista della
pagine del libro, appare come il fuoco sul metallo, come il torchio che estrae
il succo buono. Forgia l’uomo e ne estrae la sostanza. Ne tira fuori umiltà e
mitezza, virtù essenziali per vincere la dittatura del rumore, come recita il
sottotitolo del libro. Il silenzio, scrive il cardinale Sarah, «è condizione
dell’amore e conduce all’amore», verso «un’esistenza più radicale di
contemplazione e di santità». Il silenzio è il linguaggio di Dio.
«Il silenzio non è un assenza, ma la
manifestazione di una presenza, la più intensa di tutte le presenze. Il
discredito portato sul silenzio dalla società moderna», sottolinea il cardinale,
«è sintomo di una malattia grave e inquietante». Il rumore per l’uomo
post-moderno «è come una droga di cui è divenuto dipendente. Con la sua
apparenza di festa, il rumore è un tourbillon che impedisce di guardarsi in
faccia. L’agitazione diviene un tranquillante, un sedativo, una morfina, un
sogno senza consistenza. Ma questo rumore è un farmaco pericoloso e illusorio,
una menzogna diabolica». Per questo, dice, «l’umanità deve intraprendere una
forma di resistenza» Solo attraverso questi spazi di silenzio si potrà ancora
riconoscere la voce di Dio. Come «un muro esteriore che dobbiamo erigere per
proteggere un edificio interiore». Un muro che non riguarda solo i suoni, ma
anche la custodia dello sguardo e quella del cuore contro le passioni più basse
e ingannevoli.
IL SILENZIO SACRO E L’ONNIPRESENZA
DEL MICROFONO
Dal prefetto del Culto Divino, che tra
l’altro dedica il libro a Benedetto XVI, non poteva mancare una profonda
riflessione sul tema del sacro e della liturgia. «Il silenzio sacro», annota,
«permette all’uomo di mettersi gioiosamente a disposizione di Dio» ed è «la
sola reazione veramente umana e cristiana di fronte all’irruzione di Dio nella
nostra vita».
Occorre far vivere il profondo legame tra
silenzio sacro e mistero, perché «senza il mistero noi siamo ridotti alla
banalità di cose terrestri. Spesso», riflette Sarah, «mi chiedo se la tristezza
delle società urbane occidentali, piene di tante depressioni, di suicidi e
tristezza morali, non deriva dalla perdita del senso del mistero». Il silenzio
«è un velo che protegge il mistero».
Con forza il prefetto richiama alla necessità
di custodire il silenzio nella celebrazioni liturgiche. «Nelle liturgie della
Chiesa, il silenzio non può essere una pausa tra due riti; (…) il silenzio è la
stoffa nella quale dovrebbero essere tessute tutte le nostre liturgie. Nulla in
esse può rompere l’atmosfera silenziosa che è il suo clima naturale. Ora, le
celebrazioni divengono faticose perché si svolgono in un chiacchiericcio
rumoroso. La liturgia è malata. Il sintomo più sorprendente di questa malattia
può essere visto nell’onnipresenza del microfono».
ORIENTATI VERSO IL SIGNORE E LA
“RIFORMA DELLA RIFORMA”
«Non può esserci vero silenzio nella liturgia
se noi non siamo, nel nostro cuore, rivolti verso il Signore. (…) Perché ognuno
comprenda che la liturgia ci rivolge interiormente verso il Signore»,
puntualizza il cardinale, «sarebbe utile che nelle celebrazioni, tutti insieme,
prete e fedeli, fossero corporalmente rivolti verso oriente, simbolizzato
dall’abside. Questo modo di fare è assolutamente legittimo. È conforme alla
lettera e allo spirito del Concilio».
In questo modo il cardinale ritorna su alcuni
temi da lui già più volte espressi in vari interventi, non ultimo quello tenuto
a Londra nel luglio scorso e che non ha mancato di sollevare alcune polemiche
(vedi QUI). A proposito della discussa “riforma della riforma”
liturgica, promossa dall’attuale papa emerito, Sarah ricorda che non si tratta
di contrapporre delle forme liturgiche, ma «si tratta di entrare nel grande
silenzio della liturgia; bisogna lasciarsi arricchire da tutte le forme
liturgiche latine o orientali che privilegiano il silenzio».
«Il senso del mistero è sparito a causa di
cambiamenti, adattamenti permanenti, decisi in modo autonomo e individuale per
sedurre la nostra profana mentalità moderna, segnata dal peccato, il
secolarismo, il relativismo e il rifiuto di Dio».
«Io», sottolinea il cardinale africano,
«desidero profondamente e umilmente servire Dio, la Chiesa e il Santo Padre,
con devozione, sincerità e un attaccamento filiale. Ma ecco la mia speranza: se
Dio lo vuole, quando e come Egli lo vorrà, in liturgia la riforma della riforma
si farà».
L’AVVENIRE È NELLA MANI DI DIO
«Il nostro avvenire», riconosce il porporato
tra le pagine de La force du silence, «è nelle mani di Dio e non
nell’agitazione rumorosa delle negoziazioni umane, anche se queste possono
sembrare utili. Ancora oggi, le nostre strategie pastorali senza esigenze,
senza appelli alla conversione, senza un ritorno radicale a Dio, sono cammini
che portano al nulla. Questi sono giochi politici che non possono condurci
verso il Dio crocifisso, nostro vero Liberatore».
di Lorenzo
Bertocchi
per cui «il più piccolo respiro era un enorme sforzo».
RispondiEliminaCerchiamo di pensarci, io per primo, sempre. Ci sono persone, a questo mondo, duramente minate nel corpo, ma che risplendono della gloria di Dio. Dio è silenzio, fondamentalmente.
Da quel poco che ho capito, solo il Cristianesimo può spiegare la sofferenza, profondamente.
Veramente commovente. Grazie ad Aldo per questo post che vale più di mille libri e convegni.
Grazie a te Marco per le tue parole ben spese.
RispondiEliminascusa se vado fuori tema Aldous ma ero curioso di sapere un tuo parere sulla consacrazione a Cristo del Perù e Polonia mi sembra una cosa epocale che merita una analisi , per finire sto cercando testimoni della Tradizione anche non Cattolica nel sud Italia ma conosco solo De Giorgio e Palomba evito di citare quelli alla Kremmerz che considero occultisti da evitare se ricordi altri saluti
EliminaGrazie per la segnalazione. E' davvero un bell'articolo che mi era sfuggito e che mi ha fatto ricordare di una vecchia intervista a Mario Perniola sul rapporto fra estetica e silenzio, in cui non mancano i riferimenti all'aspetto religioso in tutte le sue manifestazioni: http://www.parodos.it/interviste/perniola.htm
RispondiEliminauna Buona Domenica
Paolo C.
Che una nazione moderna si consacri a Cristo, sembra anche a me una notizia rilevantissima sul piano metapolitico e sicuramente in controtendenza. Tra i paesi del sudamerica ricordo qualche anno fa una cerimonia analoga in Ecuador (peccato che la stampa cattolica non se ne sia curata ieri e non se ne curi oggi). Testimoni della Tradizione nel Sud Italia ce ne sono. In questo momento mi vengono in mente Pino Tosca, Silvio Vitale, Pucci Cipriani, Tommaso Romano. Lo stesso Evola era siciliano, ma anche lui era un magista alla Kremmerz. Di accostabili a De Giorgio o a Palomba, direi nessuno. Battiato e Sgalambro non sono proprio dei “tradizionalisti cattolici”, ma anche loro sono del Sud. Comunque, l’amico Tommaso Romano ha pubblicato qualche anno fa un Dizionario dei pensatori anticonformisti del sud dove se vuole può trovare altri nomi, ma è un libro che non possiedo.
RispondiEliminaMi spiace questa volta rettificare un po' Aldo, ma tutti i nomi che hai fatto (Pino Tosca, Silvio Vitale, Pucci Cipriani, Tommaso Romano)appartengono al cosiddetto "tradizionalismo cattolico", che è corrente di pensiero ben distinta dal "pensiero tradizionale", di orientamento cattolico o altro. Purtroppo la confusione che si è perpetrata per anni, e forse dura ancora, ha fortemente penalizzato pensatori come Panunzio, Palomba o Virio (cattolici di "orientamento tradizionale", ma non "tradizionalisti cattolici"), impedendo il riconoscimento della loro originalità e, aggiungerei, solitudine, nel nostro Paese. Eppure innumerevoli pagine di Panunzio e della sua rivista "Metapolitica" avrebbero dovuto mettere sull'avviso!
RispondiEliminaonestamente per la chiesa esiste solo il Cattolicesimo dogmatico e l'ortodossia dire Tradizionalista prima del Cattolico è sbagliato esiste solo il Cattolicesimo con varie declinazione teologiche adesso Palomba per non dire De Giorgio esite solo la metafisica tradizionale l'etichetta Cristiana Cattolica è solo il vestito esteriore per Panunzio per quel poco che ho letto prende sul serio il vestito esteriore dogmatico scrittura e fedeltà alla Chiesa rileggendo il tutto attraverso la metafisica Tradizionale sarebbe eretico per i preti e forse anche per i Tradizionalisti ma è uno dei pochi che ha capito i punti deboli e chiusure delle varie parti in gioco tranne quei suoi commenti ricordo positivi sui rosacroce (che sono un imbroglio storico a tavolino) e per nno dire Cagliostro li cade anche lui volendo fare l'amico del mondo cioè di tutti e non è possibile
EliminaCaro Antonello, nella mia risposta mi sono volutamente tenuto sul generico. Come sai in più occasioni ho negato l’appartenenza di Panunzio, e a più forte ragione di Palomba, alla corrente del “tradizionalismo cattolico” stricto sensu. Tuttavia, se per “tradizionalismo cattolico” intendiamo un composito, complesso e articolato movimento di pensiero (e la domanda di Costa a me sembra sia stata posta in un senso largamente generico e con riferimento ai pensatori cristiani di orientamento tradizionale e/o tradizionalista), non è un errore includervi anche i nostri Palomba e Panunzio. In senso generale e filosofico anche Guénon che pure aborriva gli “ismi”, può considerarsi a tutti gli effetti un “tradizionalista”, se con questa parola intendiamo, al di là delle diverse aggettivazioni possibili, un puro e semplice riferirsi alla “Tradizione” come fondamento del proprio sentire e del proprio pensare. Le distinzioni vengono dopo e per rispondere alla domanda di Costa non mi sembrava il caso di stare a sottilizzare.
RispondiEliminaVirio
RispondiEliminaVirio però considerava la messa nuova un abominio; Palomba non so, ma se era schuoniano certo non la teneva in grande stima.
Francamente non so cosa pensasse l’ultimo Palomba della nuova messa (bisognerebbe chiederlo all’amico D’Accadia). Non mi pare si sia mai pronunciato pubblicamente sul merito, ma non credo che la considerasse proprio un abominio come invece il buon Virio. Se così fosse stato – ma la mia è solo una semplice deduzione – l’avrebbe scritto e detto a chiare lettere.
RispondiEliminaGiuseppe Palomba è stato schuoniano solo per pochi anni, tra la fine dei Quaranta e l'inizio dei Cinquanta...
RispondiEliminaLa posizione di Palomba è un tantino più complessa. Nei suoi ultimi anni sposa quasi integralmente la prospettiva cattolica post-conciliare, portandosi oltre Guénon e, come bene ci ricorda Antonello, oltre lo stesso Schuon, seguito e ammirato per un certo periodo. Per quanto riguarda Panunzio invece – per rispondere a Costa -, sui Rosacroce sposò le tesi di Sedir e in un certo senso quella formulata da Guénon. Per lui non si trattò di una sette o di un’organizzazione iniziatica in senso tecnico (semmai ci fu, era proprio quest’ultima ad essere un’invenzione), ma di una “corrente spirituale” autentica di remota ascendenza cristiana. Certo, da un punto di vista storico il discernimento è alquanto difficile, ma non paragonerei i Rosacroce a invenzioni letterarie come il Priorato di Sion e i famigerati Protocolli. Su Cagliostro sono state scritte molte cose, ma non tutto è stato compreso. Panunzio ha cercato, certo nei limiti delle sue conoscenze e degli studi apparsi ai suoi tempi, di fornire qualche indicazione per dipanarne il mistero, ma sempre nel segno dell’interpretazione spirituale. Infine, volendo seguire un po’ il ragionamento di Costa, direi che il “tradizionalismo” può essere paragonato a una delle tante teologie del nostro tempo. La dire una teologia di reazione ad altre di segno contrario, con i suoi limiti, ma anche con i suoi pregi e una sua dignità.
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