Gaetano Rasi (1927-2016) |
GAETANO RASI
Un metapolítico di carattere
La mia amicizia con
Gaetano Rasi (nato a Lendinara, Rovigo, il 15 maggio 1927) è
di lunga data; risale attorno al giugno-luglio del 1947, quando c’incontrammo
nel primo convegno interregionale della gioventù del Msi a Padova dov’erano convenuti i
delegati provenienti dai gruppi giovanili del Triveneto per organizzare una manifestazione per
l’italianità del Trentino-Alto Adige
contestata dai gruppi austriacanti del Volskpartei costituitisi a Bolzano.
Gaetano
- patavino da parecchi anni - faceva gli onori di casa di casa, assieme a
Carlo Amedeo Gamba, Gianni M. Pozzo ed il cugino Cesare Pozzo.
Una foto d’epoca, di poco successiva, ci ritrae in gruppo alla
stazione ferroviaria di Venezia dove eravamo affluiti (gennaio 1951) per un
convegno regionale del Raggruppamento giovanile. Gaetano Rasi, unico con
cappello, in quella foto s’assomma sorridente dietro ad un giovanissimo Fausto
Gianfranceschi.
Quel nostro rapporto, umano, politico,
intellettuale, non s’affievolì neppure
quando (febbraio 1978) lasciai l’Italia
per una missione professionale in Cile, che con il tempo mi trasformò in un italiano
stabilmente residente all’estero.
Egli, invece,
presentando il 2 marzo 2012 a Palazzo Sora in Roma, il mio libro La perestoika dell’ultimo Mussolini, confessava agli astanti:
“Ho la convinzione di aver sempre conosciuto
Primo Siena. Non riesco a stabilire una data, un’occasione, un luogo dove io
abbia incontrato per la prima volta l’autore di questo libro. Il mio sodalizio
umano ed intellettuale con Primo, che nasce certamente nei mesi immediatamente
successivi alla seconda Guerra Mondiale, costituisce uno di quei fatti che sono
compenetrati nella fomazione continua di ciascuno di noi nel corso del tempo.
Insomma che fa riferimento a coloro con
i quali condividiamo principi e valutazioni (cum qui in idem sentiunt)”.
Quel nostro
sodalizio, infatti, è durato ininterrotamente fino al giorno del suo
inaspettato decesso (20 novembre 2016),
quando si trovava a mezza strada dei suoi novantanni, pieni di acuta e penetrante lucidità
intellettuale.
C’eravamo visti ed abbracciati a Roma (11 ottobre 2016) alla
celebrazione del settantesimo del Msi, organizzata dalla “Fondazione Giorgio
Almirante”.
Quattro giorni prima del suo improvviso ricovero in clinica,
l’avevo chiamato telefonicamente a Bracciano da Santiago del Cile. Ci s’era
parlati per quasi due ore, trattando
diversi argomenti di comune interesse: i cambi culturali e sociopolitici
avvenuti nel mondo ultimamente; le
celebrazioni dei 70 anni dalla fondazione del Msi, i problemi della Fondazione di Alleanza
Nazionale; la situazione del Cesi, quel Centro Nazionale di Studi politici ed
economici, sua ultima creatura la cui
continuità nel futuro era il suo cruccio. “Vi ho raccolto uomini di alto valore
e profilo, già anziani o di mezza età, ma vedo pochi giovani” mi diceva.
I giovani della nostra area politica e la loro
formazione, erano la sua costante,
profonda preoccupazione (da me condivisa), perchè essi solo – insisteva - possono assicurare la proiezione futura del
nostro progetto politico alternativo.
Un progetto politico le
cui radici affondavano in un tempo assai lontano, quando sulle pagine della
rivista giovanile Cantiere (n.2,
marzo 1952) Gaetano rintracciava la
derivazione corporativa (e s’era a 7
anni appena dalla sconfitta del 1945) del
“Piano” di William Beveridge avviato nell’Inghilterra laburista di
quegli anni.
Egli richiamava l’attenzione su questo caso
perchè: “l’interesse che esso suscita – scriveva – viene anche dal fatto che
proprio questa nazione fu la irriducibile nemica e la causa prima della
sconfitta di quell’Italia che espresse la soluzione sociale ed economica
valida, con i necessari adattamenti, per tutti i popoli, compresi quelli di
lingua inglese”.
E commentava in
proposito: “Interessante è per noi, che combattemmo dall’altra parte della
barricata, constatare come il nemico a mano a mano che ci combatteva, si
appropriava, facendole passare per proprie, quelle idee che costituivano i motivi ideali per i quali
moriva il fior fiore della gioventù europea”.
Allievo
dell’economista Marco Fanno e del geopolitico Ernesto Massi, il giovane Gaetano
Rasi si poneva già da allora il problema
della giustizia sociale come un problema non solo economico bensì etico, inteso
quindi come esigenza
spirituale per assicurare un ordine ai rapporti tra gli uomini, nell’ambito di una struttura organica e
funzionale dello Stato moderno, affinchè il cittadino non naufragasse nell’
anonimia della massa informe.
Egli riprende questi
concetti quando assieme a me, alla fine del 1954, dà vita alla rivista Carattere; la quale
- accanto alla linea gentiliana e tradizional-evoliana di Cantiere
(che fu l’officina, il laboratorio appunto, di una ricerca d’indirizzo), ne accentua una tradizional-cattolica elitista
che puntava all’unione metapolitica tra due mondi anteriormente poco
comunicanti: il religioso ed il politico; due spazi dove dovrebbe agire l’essere
umano sostenuto eticamente da principi spirituali trascendenti.
Ma è soprattutto con una misura di coerenza morale (un
“carattere” appunto, ossia fermezza consapevole) con la quale Gaetano Rasi si
misura in questa avventura culturale proponendo
le linee – sono parole sue – “di un progetto politico non restaurativo, ma evolutivo”
atto a raccogliere le emergenti esigenze
spirituali, etiche e politiche future di una postmodernità tuttora incerta e
confusa.
Fin dal tempo di Carattere egli comprese che, senza cambiare la visione del mondo offertaci dal
riduzionismo scientifico moderno (e
dalle sue conseguenze tecnologiche, non sempre positive), non si sarebbe potuto
affrontare la crisi attuale che ha
avvolto il mondo per aprirgli, quindi, spazi futuri più fecondi dove la scienza e la tecnica ritornino
fecondamente al servizio dell’uomo.
Già da allora -
dotato di una solida cultura classica, nutrita altesì di una profonda visione
spirituale – egli intuì la correlezione tra una scienza interdisciplinare come
la metapolitica e la metafisica della politica (tanto ideologica come
economica), intesa non come una scienza
esclusivamente teoretica, bensì come misura di pensiero che si apre all’azione
politica concreta dove il metapolitico agisce.
Infatti, come
precisava ancora, “la rivista trattò molti temi relativi alla trasformazione
dello Stato, fondato dopo la sconfitta
solo sui partiti, in uno Stato che fosse l’organizzazione giuridica
rappresentativa di tutti i corpi sociali della Nazione. In quest’ottica, la
rivista Carattere rappresentò un
ponte tra il passato, il presente e il futuro”.
Bisognava infatti, secondo lui, sciogliere il
nodo della discontinuità storica inevitabile tra il fascismo mussoliniano, cioè
tra il fascismo storico ed il periodo
successivo nel quale stavano sorgendo nuove esigenze geopolitiche, geoeconomiche
e culturali che si stanno consolidando ed evolvendo in una postmodernità tuttora incerta e
confusa.
Diveniva quindi necessario non un taglio netto sul nodo
gordiano, ma un dipanare con pazienza e
creatività raziocinante il nodo della frattura storica, per mantenere – pur con nuove forme per i
tempi nuovi – una continuità d’idee e di principi, al fine di elaborare programmi attuali per un
progetto politico alternativo volto a creare una Nuova Repubblica
organica, dotata di una democrazia
partecipativa in sostituzione della attuale, imbrigliata nelle maglie
aggrovigliate di “un tiranno senza volto”: la partitocrazia.
Gaetano Rasi ha visto
la possibilità di risolvere il male della partitocrazia attraverso l’instaurazione
di una funzione corporativa, che si
profila come la quarta accanto alle
altre tre (la legislativa, l’esecutiva,
la giudiziaria), in un ambito che da politico si fa metapolitico perchè
soddisfa la problematica relativa all’ordinamento d’una società composta da
uomini liberi ed orientata al bene comune; ragion per cui la politica si
costituisce come ramo della morale intesa quale etica civile della convivenza
umana sociologicamente e giuridicamente
organizzata; una convivenza che attinge infine alla metafisica, come insegnava
l’ insigne maestro dell’ateneo patavino,
da Gaetano Rasi ben conosciuto e seguito: Marino Gentile.
Il quale nel corso di
un suo famoso corso accademico su “Il filosofo di fronte allo Stato” (1969)
aveva affermato: “Una filigrana naturale collega l’uomo allo Stato, perchè non
esiste ordine giuridico senza morale, come non c’è ordine fisico senza
metafisica”.
In quest’ottica, Rasi
ha insegnato che l’ordine derivato dalla funzione corporativa si va costituendo
mediante la partecipazione in sede politica, economica e culturale (ossia anche
in senso antropologico). Ed ha
attribuito alla partecipazione la caratteristica ineliminabile della corresponsabilità perchè il partecipare implica un condividere, cioè l’assunzione tanto dei
doveri e dei sacrifici come degli esiti e dei benefici dell’azione.
Questo concetto
“corporativo” di partecipazione – egli precisava[1]- “si differenzia nettamente dalle
interpretazioni astratte e deformate” poste
in circolazione dalla sociologia comunitaria, la quale annega nel calderone
anonimo nell’assemblearismo il
contenuto autentico della partecipazione, perchè in tal caso si esclude tanto la responsabilità
individuale quanto “ l’apporto della volontà e delle intelligenze dei
partecipanti pur tendenti al fine comune”.
Per Gaetano Rasi,
nella cultura politica contemporanea sono tuttora presenti, con diverse
sfaccettature e commistioni, tre ideologie: il liberismo, il socialismo e il
corporativismo.
Delle prime due, di
derivazione illuminista si conoscono i limiti
e gli effetti concreti che ne hanno messo in crisi l’effettualità. In
esse, l’ideologia pone sempre un interesse
primario rispetto al quale i valori risultano secondari.
Infatti, nel
liberismo le scelte dell’individuo
sono sempre preminenti sulla società, e la libertà economica senza disciplina
(cioè senza un minimo di programmazione interna e volontaria) esportata nel
mondo, serve infine ad un potere
contrario alla libertà: al potere dispotico del denaro. Mentre nel il
socialismo (tanto nella formulazione radicale del comunismo, come in quella
moderata della socialdemocrazia) l’interesse del proletariato, inteso come
classe organizzata a Stato, prevale su quello dell’individuo che in tal modo
viene annullato nella massa.
Rasi riconosce che,
dal punto di vista storico, sono stati vissuti periodi di alternanza di un
interesse o di un valore preminente su un altro; quindi, per uscire da tale altalena, l’obiettivo da
perseguire resta la costituzione di una società nella quale “tutti i valori
abbiano sede e siano fra essi correlati. La scelta di un valore come assoluto e
preminente sugli altri, costituisce un
momento di crisi etica e sociale”; e comunque si tratta di fasi di passaggio.
Solo la terza costituisce
una prospettiva di futuro in grado di destreggiarsi tra i difetti e gli
errori delle altre due, perchè essa punta alla ricerca dialettica di una
armonia sociale tra le parti in grado di sostituirsi alla lotta di classe,
trasformando così la politica da arte o scienza esclusiva del gestire il potere, in modalità sostanziale per vivere
la pienezza di ogni essere umano.
Il momento obiettivo per evitare le crisi
etico-sociali od uscirne, è costituito dalla ricerca operativa onnipresente
ed istituzionale di tutti i valori. E chi pensa ad un superficiale,
difficile equilibrismo post-ideologico perchè -
tanto - saremmo usciti definitivamente dall’epoca delle ideologie,
s’inganna. Oggi il perseguimento degli interessi (non sempre limpidi ed
onesti) sostituisce quello dei valori; per cui le ideologie non sono sparite, hanno
solo cambiato di segno.
Il corporativismo,quindi, nonostante
le demonizzazioni semantiche affibiategli
dalle ideologie contrastanti, risulta la terza via possibile
Analizzando la storia
delle idee sviluppatesi all’interno del Msi, nei 48 anni della sua esistenza,
Gaetano Rasi ne individua, appunto, l’identità politico-dottrinale nel corporativismo concepito come
l’ideologia “che tende a realizare la democrazia
sostanziale in contrapposizione alla democrazia
solo formale dei regimi liberisti e partitocratici, tendenzialmente
oligarchici e indifferenti allo sviluppo solidale della comunità cui appartiene un popolo nella sua
consapevolezza”[2].
Questo corporativismo costituzionale affermato
dal Msi – e alla formulazione
dottrinale del quale, Rasi ha dato
un forte contributo di pensiero –
postula una Repubblica presidenziale dove il Presidente della Repubblica è la
sola autorità che viene eletta direttamente dagli cittadini indifferenziati,
mentre la selezione del resto della dirigenza politica viene affettuato elettoralmente “dal cittadino individuato
nella sua competenza professionale e nelle sue opinoni politiche”. Sicchè gli
istituti parlamentari che esprimono l’esecutivo
e fanno le leggi, sono formati, per una parte,
dai partiti politici costituiti “da coloro che la pensano alla stessa
maniera (qui in idem sentiunt) e
propongono progetti e programmi politici”;
e per l’altra parte “dalle associazioni spirituali, culturali, economiche, ossia le categorie professionali e
del volontariato”: corpi sociali organici che – secondo la dinamica della
società - sono portatori “di specifiche competenze nonchè d’interessi morali e materiali”.
Nello sviluppo delle
sue riflessioni sul corporativismo
democratico del Msi, Gaetano Rasi ha dimostrato, accanto alla preparazione giuridica (s’era infatti
laureato, a suo tempo, in
giurisprudenza), una solida formazione
speculativa nutrita da un’ annosa consuetudine con il filosofo Ugo Spirito e
dalla filosofia attualista di Giovanni Gentile (il maggior pensatore eminente del nostro Novecento), al quale ha
dedicato acuti saggi, trasmessi nella loro essenza educativa, sia dalle
cattedre universitarie dalle quali ha esercitato un originale magistero
economico-sociale, sia dalle ricerche
scientifiche e dai corsi politici svolti mediante l’Istituto di Studi Corporativi, da lui fondato e diretto per cinque lustri;
ed infine attraverso la Fondazione Ugo Spirito della quale fu, se non erro, il
primo presidente.
Ha vissuto una vita
dedicata allo studio e al magistero politico inteso come “servizio al
cittadino, alla società, alla Patria”:
con trasparenza, onestà e disinteresse (nominato Ministro del Commercio Estero
del Governo Dini nel 1995, rifiutò
l’incarico per coerenza politica).
Italiano cattolico,
discreto ma osservante, ha creduto nella
religione dei padri, ha vissuto con intensità spirituale le vicende della
Patria con l’animo del combattente che affronta le vicende varie e talora difficili
della vita come uomo di carattere che
non s’arrende: esempio di vita per le nuove generazioni che si inerpicano sui
sentieri scosesi del secondo millennio.
Questi fu Gaetano
Rasi!
Primo Siena
[1] G.Rasi, Partecipazione organica e
política programmatoria in AA.VV., Il Corporativismo è libertà. Gruppo di studio Fuan-Isc. Collana “La alternativa”. Istituto di Studi
Corporativi, Roma 1975, p.21-22.
[2] Le citazioni, virgolettate, sono tratte dall’opera:
GAETANO RASI, Storia del progetto
politico alternativo. Dal Msi ad AN (1946-2009). Vol.Iº , La costruzione dell’identità (1946-1969).Solfanelli
Ed. 2015. Pagg. 224 + 8 ill.
Il progetto editoriale dell’opera prevede, come seguito di questo volume,
altri due: L’alternativa al sistema
(1970-1994) che va dalla preparazione del
IXº congresso dove alla sigla MSI si aggiunge la dicitura “Destra
Nazionale”, fino alla trasfornamazione del MSI-DN in Alleanza Nazionale; e un
3º volume, titolato: Evoluzione,
involuzione, eclissi (1995-2009) che fa riferimento alle vicende che vanno
dal tentativo di allargare il consenso
di base fino alla destrutturazione
organizzativa ed alla dissipazione del
patrimonio progettuale, per concludersi
nella fusione di AN con Forza Italia.
E` da sperare che l’improvviso decesso dell’autore, non arresti l’edizione
di quest’opera fondamentale per lastoria delle idee del Msi, e di cui il 2º volume si trova già tutto composto.
Gaetano mi ha dedicato una copia del Iº volume con queste parole: “All’amico di cuore e di mente Primo
Siena col quale mi trovo sempre in
sintonia, nell’auspicio che i suoi libri e i miei piú modesti saggi possano
trovare prosecuzione di pensiero e di azione. 8 Settembre 2015 (che
anniversario...) G.R.
Interessante. Non conoscevo Gaetano Rasi. Sarebbe significativo studiare l'intreccio di repubblicani, metapolici e "esoteristi" che caratterizzò la fondazione del MSI, in cui la componente combattentistico-sociale ebbe certamente un ruolo preponderante (avversato da Evola).
RispondiEliminaUna questione che mi ha sempre attratto, ma che non sono riuscito, per ora, a risolvere, è la seguente: qual è la linea di confine tra il cattolicesimo conciliare e il suo rifiuto, con l'attestarsi su posizioni "tradizionaliste"?
Perché, ad es., una Cristina Campo fu eroica nel respingere il Vaticano II (soprattutto la riforma liturgica), mentre un Gianfranceschi, autore che stimo moltissimo e di cui conservo una bella lettera, assisteva tranquillamente al novus ordo?
Infine: leggete, se potete, di quest'ultimo, "Federica. Morte di una figlia". Ieri l'ho divorato. Memorabile, anche se il tema è tragico. Ci sono alcuni passi che mi si sono stampati nella mente, e che mi hanno profondamente commosso. C'è da tenere presente che Gianfranceschi, che affrontò tre tumori, ebbe la sventura più intollerabile che può capitare ad un uomo: perdere addirittura due figli.
Onore a Fausto, che ora ci guarda dal Cielo!
Caro Marco, quell’intreccio è stato studiato a fondo, anche se non sempre in modo obiettivo, soprattutto da Piero Vassallo. Dalla sua bibliografia si possono espungere diversi titoli sull’argomento. Sul tema della linea di confine tra il cattolicesimo conciliare e il suo rifiuto “tradizionalista", il discorso è assai complesso e a me pare che proprio di una demarcazione netta non si possa parlare. Tuttavia, in questi ultimi lustri lo scontro si è fatto così accesso e violento da far sembrare impossibile una ricomposizione. Servirebbe un arbitro all’altezza di cui al momento non si vede l’ombra. Chissà, forse il cardinale Sarah, semmai un giorno fosse eletto Papa (cosa che io auspico fortemente).
RispondiEliminaGianfranceschi fu sodale, amico e discepolo di Panunzio che era conciliarista convinto. Anzi, il conciliarismo di Gianfranceschi era mutuato proprio da Panunzio. Ma attenzione: essere conciliarista non voleva dire accettare le pagliacciate dei modernisti e su questo anche l’amico Fausto non transigeva. Comunque, hai fatto benissimo a citare il suo bellissimo libro (per me indimenticabile) dedicato alla figlia Federica.
Grazie a Primo Siena per questo ricordo. Ho conosciuto gli scritti di Rasi qualche anno fa, e ne rimasi sorpreso per la capacità di aggregare tante persone di spessore (Accame, Ernesto Massi, Tamassia etc. ) attorno ad un'idea di "corporativismo democratico e costituzionale" - che però perseguiva una riforma della costituzione nel segno del presidenzialismo e un'applicazione della stessa per quanto riguarda la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle aziende. Mi era sembrata una buona via per le questioni economico-sociali, fondata su tanti anni di impegno attorno all'Istituto di studi corporativi, che credo sia stata una delle migliori esperienze all'interno del MSI. Purtroppo, temo, come per il fascismo (Panunzio docet..) il corporativismo era per i vertici del partito più uno specchietto per le allodole che una reale ipotesi di azione politica. Successivamente ho anche scoperto che quell'esperienza è confluita nel CESI ricordato da Siena, dal quale si chiedeva fra le altre cose l'attivazione del CNEL, ridotto altrimenti ad un carrozzone per sindacalisti, che invece Renzi vuole abolire del tutto con la sua riforma.
RispondiEliminaSul rapporto fra componente combattentistico-sociale e mondo della Tradizione credo che la strada l'abbia indicata Panunzio, specialmente in "Conservazione Rivoluzionaria", dove le istanze sociali, seguendo il magistero della Chiesa, e la Tradizione non risultano per niente in contraddizione anzi trovano un'armoniosa sintesi, che considerava positivamente le istanze sociali di riconoscimento dei diritti dei lavoratori in un'ottica monarchico-cattolico-socialista che farebbe accapponare la pelle a molti uomini della Tradizione.
saluti
Paolo C.
Interessante,una specie di mescola di Tradizione e democrazia....non ci avevo mai pensato...
RispondiEliminaC'è sempre tempo per imparare. Magari dia un'occhiata al concetto di "democrazia organica".
EliminaSpero non le dispiaccia troppo se penso che Lei abbia le idee un pò confuse. La democrazia dovrebbe essere principalmente il potere del popolo, cioè una impossibilità assoluta. E infatti nella storia umana non ce n'è mai stata traccia. Altro discorso è che molti la rivendichino pensando di esservi beatamente dentro; spesso le lucciole sembrano lanterne.
RispondiEliminaCaro Nibbio, non si preoccupi delle mie idee, ma cerchi semmai di approfondire le Sue con più studio. La inviterei poi a una maggiore attenzione nella lettura e a non sprecare tempo in commenti inutili e superficiali. La democrazia non è solo un sistema di reggimento politico della società, ma anche un “metodo” di governo. E’ poi alquanto riduttivo sotto il profilo storico definire la democrazia semplicemente come il “potere del popolo” (teoria classica), quando è ben noto che dello stesso concetto esistono per lo meno due idee diverse proposte nel Medio Evo e nell’età moderna. E’ un modo di ragionare il Suo per assiomi e per categorie assolute tipico di una certa destra ideologica, ignorante e cialtrona. Quanto alla “democrazia organica” come proposta politica in contrapposizione alla “democrazia rappresentativa”, non mi pare sia un’invenzione di Primo Siena, ma che faccia parte di fatto e di diritto del bagaglio culturale, ideale e politico del pensiero conservatore.
EliminaNon condivido la forma del messaggio di Nibbio, ma nella sostanza non mi pare abbia tutti i torti. Forse, lo dico senza acrimonia, non c'è bisogno di dare del cialtrone, seppure indirettamente. Il problema è sempre lo stesso: il rapporto con la modernità. Io comprendo bene che negarla in toto può essere una utopia, o valere solo sul piano dei principi, ma anche l'eccesso opposto non l'ho mai condiviso. Se le radici sono infettate, l'albero sarà cattivo.
RispondiEliminaA mio giudizio, per quel che vale, la più sublime idea politica (metapolitica!) mai realizzata è quella imperiale. E non si tratta certo di romanticismo, anche se le stesse forme di esercizio del governo manifestano l'essenza intemporale, trascendente dello stesso (poiché promanante, in ultima analisi, da Dio). Forme di democrazia rappresentativa, paradossalmente, si sono realizzate nel fascismo, con le corporazioni; mentre quanto di più antidemocraticamente subdolo è l'attuale governo, se così lo vogliamo chiamare, mai eletto come i due precedenti, e tra l'altro richiamantesi a una vittoria alle Europee (41% del 50% circa di votanti, ossia 20% dei voti, con la mancetta degli 80 euro, cui gli italioti hanno subito abbccato).
Forse anche in metapolitica, come in liturgia, la separazione di forma e sostanza conduce ad esiti decostruttivi e inclina a distruggere, o quantomeno a minare, l'ordine dato.
Caro Marco,
Eliminabisognerebbe sempre sforzarsi di distinguere tra ideale e reale, soprattutto in politica. L’ideale in politica può avere conseguenze assai infauste, vedi - fra tutti sicuramente il più subdolo e pernicioso - l’ideale comunista. Quest’ultimo è per eccellenza l’ideale di una democrazia dal basso, quindi un’utopia. L’ideale politico portò negli anni settanta in Italia allo scontro fratricida fra destra e sinistra ideologiche con vittime anche innocenti da entrambe le parti. Io ,che forse ho qualche anno in più di voi, ne ho fatto un’esperienza diretta e so bene di cosa parlo. La democrazia, genericamente intesa, sarà pure una porcheria, ma, come diceva Churchill, tutte le altre forme di governo sperimentate finora si sono rivelate peggiori. Continuare per questioni di principio a dichiararsi anti-democratici ed evocare l’ideale imperiale serve solo o a farsi dei nemici o a farsi compatire e di fatto non produce alcun effetto sensibile né sul piano politico né sul piano sociale. Non comprendere questo significa ignorare totalmente la Modernità e la potenza dei suoi mezzi. Non si ferma un treno in corsa semplicemente parandovisi davanti (atto eroico finché si vuole ma inutile e patetico). Le due vie possibili sono quella dell’Anarca di Jungeriana memoria e quella di che cerca di migliorare quello che c’è nei limiti del possibile e del consentito dalla legge (la posizione di Primo Siena). Tertium non datur. Senza bisogno di fare l’apologia della democrazia o di promuoverne l’esatto opposto. Quello che cerco di dire è che la Democrazia oggi non è più solo una teoria, ma una realtà di fatto e persino di diritto e che volenti o nolenti ci siamo dentro tutti fino al collo, compresa Casa Pound. Poi uno può non partecipare alla cosiddetta vita democratica, astenersi dal voto, leggere i libri del pensiero conservatore, intervenire sui blog per sputare sentenze sui bei tempi andati, ecc. ecc., ma questo non cambia di una virgola lo stato delle cose, semmai serve solo a farci arrabbiare sempre di più. Quanto alla vera metapolitica, quella che ci ha trasmesso Panunzio, essa non ha proprio niente a che fare con le forme di governo del mondo, né reali né ideali, ma ha invece molto a che vedere con la realtà ontologica e metafisica del Regno di Dio. Monarchia e Impero per Panunzio erano Simboli e non “ideali”. Tra le due realtà, caro Marco, anche se si fa fatica a capirlo perché il discorso è lungo e complesso, c’è una bella differenza.
p.s. Non ho dato del cialtrone a Nibbio, neppure indirettamente, ma ho definito cialtronesche quelle posizioni che rimandano al suo discorso. Un’idea sbagliate è sbagliata a prescindere da chi la formula.
Sì, ma distinguere tra ideale e reale non significa avere tendenze compromissorie (non in senso morale, ma teoretico-politico). Io non ho parlato, volutamente, di ideale, ma di idea imperiale. L'ideale resta lì, l'idea si incarna in una realtà. E' ovvio che per realizzarsi nel concreto una realtà deve rimandare ad una "idea".
RispondiEliminaNon so se qualcuno mi compatisce, non mi sono mai gettato contro treni in corsa, gli unici bei tempi andati che ho vissuto sono gli anni '80, con Bim Bum Bam e la girella ("la morale è sempre quella: fai merenda con girella"), ma credo che l'idea imperiale sia immensamente superiore ad ogni forma di democrazia, perché la qualità è più della quantità, e perché ciò che viene dall'alto è ben superiore a ciò che viene dal basso. E non lo dico io, che non conto niente, ma il buon senso, oltre ad autori e filosofi che hanno fatto gloriosa la storia di Occidente.
Pax tecum.
Caro Marco,
Eliminanel mio discorso non c’era alcuna intenzione polemica nei tuoi confronti, come pure nei confronti di Nibbio, ma solo lo sforzo di spiegare le posizioni che in questo blog rappresento. Se l’idea imperiale fosse stata davvero “superiore” all’idea democratica, essa avrebbe finito con l’imporsi e il fatto che non si sia imposta significa solo che era più debole (eccoti servito un ragionamento alla Evola filosofo). Perdonami poi, ma per dirla tutta, non è che il cliché dell’idea di Impero sia tanto diversa dal cliché dell’idea di democrazia. Siamo noi di destra a pensare che l’idea Imperiale abbia un contenuto spirituale, ma c’è anche chi pensa che ce l’abbia l’idea di democrazia. Tanto per dirne una – e mi fermo qui perché il discorso si farebbe troppo lungo e complesso – da un punto di vista cristiano la comunità del corpo mistico il cui capo è Cristo è alquanto diversa dall’idea di imperium e, paradossalmente, per certi aspetti si direbbe più prossima al concetto di democrazia (ed ecco spiegato Maritain). Come vedi, caro Marco, le cose sono più complesse di quel che sembra e a volte anche il buon senso da te evocato è solo superficialità. Superficialità che non è prerogativa degli ignoranti, ma più spesso proprio degli intelligenti. Quel che voglio dire è che noi di destra dovremmo smetterla di raccontarci balle (e mi ci metto anch’io) e cominciare a pensare in lungo e in largo, in altezza e in profondità, ma anche con un più forte senso critico e se possibile con maggiore cultura e senso della storia. Solo così riusciremo forse ad essere migliori di quelli che diciamo a parole di voler combattere. Un abbraccio
Avevo capito che non volevi polemizzare. I miei erano solo scherzetti infantili. Rimango dell'idea imperiale, anche perché --sbaglierò-- se concedi un dito al mondo moderno, ti si prende il braccio e altro. Ciao
RispondiEliminaProsit, caro Marco.
RispondiEliminaDiscorsi complessi ed interessanti,ma non si può ignorare il fatto che la democrazia ha veicolato la modernità fino ai giorni nostri (almeno politicamente)e che è stato in nome di essa che si è devastato il mondo tradizionale. E parliamo di democrazia sia nella sua versione "liberale" che in quella "socialista"; entrambe si basano sul dogma laicista che rifiuta l'idea del sacro, per basarsi di fatto sull'economicismo, sia pur riverniciato con pretese umanitariste e libertarie. Vero è che può essere interessante accreditarne una versione culturalmente minoritaria, quella organica, perché così non si perde contatto con la realtà attuale e si crea un ponte con qualcosa di più profondo. Però in nome della democrazia sono state compiute inenarrabili nefandezze. Si prendano per es le storie raccontate nei due libri "il libro nero del comunismo" e "il libro nero del capitalismo", i quali pur scritti per combattersi reciprocamente,narrano vicende e circostanze reali. E allora ecco giustificate le posizioni critiche che emergono in discussioni come queste; diciamo che ne abbiamo diritto in un certo senso.
RispondiEliminaInfine il fatto che la democrazia abbia vinto non legittima a dire che sia il sistema migliore, quasi ad omaggiare l'"attualismo gentiliano" che vorrebbe vero e giusto ciò che si realizza nella storia. Evola osteggiò giustamente, a mio avviso, questa impostazione filosofica pronta per es a giustificare la vittoria del più forte.
Consiglio a tutti un libro non di destra, ma profondo e straordinario di Massimo Fini :"Sudditi,manifesto contro la democrazia",dove si dimostra che anche senza pregiudizi reazionari l'idea di democrazia (rappresentativa) si può attaccare anche in base alla semplice logica.
Roberto
Caro Roberto,
RispondiEliminaverrebbe da dire: democrazia democrazia, quanti delitti si sono commessi e si commettono nel tuo nome. Vero, anzi verissimo. Ma cosa dovremmo dire degli altri regimi politici? Sul piano storico non ne conosciamo di immuni da critiche. Io non sono certo un sostenitore degli ideali democratici, ma non sono neppure un oppositore del regime democratico (perché di questo si tratta) che reputo semplicemente accettabile in assenza di meglio. Gli è che semplicemente non vedo alternative valide (e mi sa che li abbiamo provati più o meno tutti a parte Matrix). Se vuoi posso persino aderire al manifesto di Fini - Massimo ben inteso - “contro la democrazia”, ma non mi sognerei mai di mettermi contro di essa o di contrastarne l’impianto con azioni eversive. Certo abbiamo tutto il diritto di criticare la “democrazia”, ma non in nome dell’Imperium o di un ritorno alla Monarchia assoluta, ma semplicemente nel nome della verità. E’ la verità che ci deve stare a cuore prima di tutto e non un’ideale politico quale che sia. Stare con la verità non significa essere democratici o democristiani (horribile dictu!), ma significa stare dalla parte delle Forze Celesti che non sono un partito e che non siedono nei banchi di nessun parlamento, ma nemmeno sullo scranno di un Re. E con questo non voglio affatto dire che ho smesso di nutrire una grande simpatia per i Monarchi o per un Carlo d’Asburgo, né che smetterò di leggere i pensatori conservatori o reazionari. La Democrazia sarà pure pessima, ma dopo le due grandi guerre ha consentito a questo residuo di umanità che siamo di arrivare fin qui. Ciò non vuol dire che sia “il sistema migliore”, ma certo è il sistema che ci ha salvato la vita. In Russia o in Cina è andata assai peggio. Il ragionamento alla Evola filosofo-magista (non alla Evola pensatore tradizionale: tra i due c’è molta distanza) era semplice euristica.
Ad ogni modo, caro Roberto, penso che il tuo ragionamento sia fondamentalmente corretto e onesto e ti ringrazio per l’esposizione lucida del tutto priva di vis polemica.
NIBBIO
RispondiEliminaEccoci di fronte alla democrazia di queste ore. C'è o non c'è quella volontà popolare in nome della quale si agisce? Evidentemente no; basta infatti cambiare la legge elettorale che in automatico cambia la presunta volontà stessa. Come acqua che assume forme diverse cambiando recipiente.
Truffa secolare.Grazie,non aggiungerò altro.
Angelo Nibbio
Torno a dire: la democrazia è quello che è, ma non ci sono alternative. Caro Angelo, se ne persuada.
RispondiEliminaSe mi è permesso chiudere a mia volta,direi che è verissimo che non ci sono alternative,ma "non ci sono ora" e credo non ve ne saranno più. Almeno non ce ne sono per noi. Questo mentre tutto rapidamente si trasforma nel calderone che sta ribollendo davanti ai nostri occhi e la democrazia del "quarto stato" va diritta verso un caos camuffato da "nuovo ordine mondiale".
RispondiEliminaL'ecumene medioevale del Sacro Romano Impero è sempre più lontano lasciando il posto alla sua parodia sotto il segno dell' euro,mentre le residue forme tradizionali si sgretolano ovunque. Poi?
Io un' idea ce l' avrei.... Saluti.
Roberto
Ma come! Non ci sono alternative? Santo cielo... Ma qui, tra novus ordo, papifranceschi e democrazia, ci si appecorona al sistema vigente! Se questi sono gli insegnamenti di Panunzio, meglio non leggerlo.
RispondiEliminaCaro Marco,
RispondiEliminati facevo più arguto. Comunque, dalle tue parole si capisce che non hai letto con attenzione nessuno dei miei interventi e che pure di Panunzio e della metapolitica non hai capito nulla o quasi. Ma sei giovane e hai tempo per maturare le tue idee. Persino Evola, che certo era molto più radicale di te, nei suoi ultimi scritti scriveva che “bisognava salvare il salvabile”, “preferire il male minore”, “allearsi con i moderati per combattere la sovversione”, ecc.ecc. Insomma, meno velleitarismo, meno radicalismo e più aderenza alla realtà.
Ma guarda che io sono terra terra, eh, altro che arguto.
RispondiEliminaI tuoi interventi li ho letti, forse non li ho capiti perché sono un po' duro di comprendonio, mentre non si può dire che di Panunzio non ho capito nulla perché non l'ho mai letto, tenendomene sempre alla larga per la questione dell'ATMA, i cavalieri dello zodiaco etc. Ricordo solo che un giorno, colto da spleen postprandiale, richiesi alla Nazionale un libro del metafisico/metapolitico ferrarese, lo aprii, e lessi una dichiarazione di stima nei confronti di Giovanni XXIII. A quel punto, lo chiusi e pensai, sicuramente errando, che il tomo andava bene per equilibrare i tavoli sbilenchi.
A presto
Cosa centri l’ATMA con i “cavalieri dello zodiaco” di Masami Kurumada davvero non saprei.
RispondiEliminaSu Giovanni XXIII girano molti luoghi comuni (tanto a destra come a sinistra), ma la questione, al solito, è più complessa. In generale una maggiore prudenza nei giudizi non guasterebbe, ma mi rendo conto che forse è chiedere troppo.
scusi il disturbo fuori tema Aldous ma l'ATMA è ancora attiva? mi sembra di no bisogna chiedersi il perchè questi gruppi sono finiti o comunque non riescono a durare
EliminaE’ una domanda che Lei rivolge a un membro dell’Alleanza ancora vivo e vegeto. Diciamo che l’Alleanza non ha più un Reggente (Panunzio) e ha smesso di riunirsi periodicamente come faceva in passato, ma chi ne ha sposato i Principi e li mette in pratica (e si tratta di un certo numero di persone ancora operanti) la tiene tutt’ora in vita. Oggi e sperabilmente domani. Sui “gruppi” spirituali che non durano le spiegazioni sono molteplici, ma in generale gli è perché mancano maestri autentici e autorevoli e alla fine una manciate di idee e qualche buon proposito non sono sufficienti a tenere saldamente unita una comunità umana, neanche quando a formarla fossero pochissimi e scelti individui.
Eliminaavevo capito dai suoi vecchi post che lei era membro e forse anche di rilievo , ritengo un tentativo interessante quello dell'alleanza e poteva può rappresentare un alternativa seria e valida all'esoterismo occidentale che è fuori da tutte le tradizioni vive con legami a volte con occultismo anticristiano ecc l'unica osservazione critica che lei già ha rilevato è che senza la presenza di contemplativi veri ,se consacrati meglio ,almeno Uno nel gruppo non vedo un futuro e il passaggio dalla vostra generazione alla nuova si spezzerà la mia idea che questi gruppi o persone singole che stanno emergendo si incontrino anche pubblicamente per conoscersi e fare qualche progetto futuro e per far vedere che esiste una alternativa anche nel cattolicesimo ritengo interessante il gruppo darsi pace di Marco Guzzi o vangelo e zen poi esperienze più singole eccc non siamo così pochi come pensiamo forse
EliminaAvevo sentito parlare di Marco Guzzi, ma ignoro le linee guida dei suoi insegnamenti. Prometto di approfondire. No, non siamo affatto pochi, ma credo che sia importante che ciascuno mantenga la sua singolarita' e specificita'.Che si diventi un movimento, la vedo dura...
EliminaCosa centri l’ATMA con i “cavalieri dello zodiaco” di Masami Kurumada davvero non saprei.
RispondiEliminaPosso sbagliare, ma entrambi mi sembrano prodotti postmoderni; una sorta di collage metafisico e immaginifico per digerire la modernità che esce dalla porta e rientra dalla finestra.
Su Giovanni XXIII girano molti luoghi comuni (tanto a destra come a sinistra), ma la questione, al solito, è più complessa.
Per la mia miserabile esperienza, i luoghi comuni contengono sempre almeno un grano di verità. La questione sarà pure complessa, ma sta di fatto che se non ci fosse stato il papa buono (sottinteso: Pio XII era cattivo) non avremmo avuto il Concilio convocato in sogno, il discorso alla luna e tutte le riforme ispiratissime, tra cui quella della messa, veramente sublime, soprattutto nella scelta del direttore d'orchestra. Per fortuna che poi è arrivato Paolo VI, che è riuscito a contraddire se stesso mentre continuava imperterrito a leggere i decadenti francesi e a lodare pubblicamente note organizzazioni filantropiche quali l'ONU.
In generale una maggiore prudenza nei giudizi non guasterebbe,
Ma sì! Siamo prudenti -- noi italiani siamo campioni di prudenza, lo sanno tutti-- come Bergoglio, che parla dagli aerei col cervello che già gli funziona poco a terra, a Lund o dal motel santa Marta, figuriamoci con la pressurizzazione ridotta.
Saluti
Caro Marco,
RispondiEliminadi solito non mi sottraggo alle polemiche, ma stavolta forse è il caso di farlo, considerando l’irriducibilità della tua posizione. Mi limito a dire che sull’ATMA davvero non sai di cosa parli, mentre su Papa Giovanni e Paolo VI muovi le solite obiezioni degli ambienti tradizionalisti ormai trite e ritrite. Come ho già detto, sei molto giovane e spero tu abbia il tempo di perfezionare i tuoi studi e soprattutto di migliorare le tue letture. Auguri di cuore.
I tomi di Panunzio, essendo di tutte le dimensioni, sono in effetti molto adatti per equilibrare i tavoli con forti sbilencature e se proprio non si avesse niente di peggio nella propria biblioteca, potrebbe fare al caso. Io però consiglierei di utilizzare prima altri testi, magari cercando tra le rimanenze di qualche libreria.
RispondiEliminaProprio in questi giorni sto rileggendo alcuni testi di Panunzio e lo trovo sempre molto acuto. Del caso in questione, quello cioè sulla modernità e la democrazia, può essere utile consultare il suo testo "Un equivoco contemporaneo: o i due sensi della "democrazia" , che pur essendo un testo "giovanile" (e quindi per certi versi più radicale), credo risalente all'immediato secondo dopoguerra, dove commenta alcuni dichiarazioni di Pio XII sul tema, che ben prima di Giovanni XIII aveva dovuto aprire al governo democratico, dopo il fallimento del fascismo.
Oltretutto già dal titolo si può capire, com'è evidente anche dalle ricerche di Rasi e di Siena, che siano esistite diverse concezioni di democrazia (liberale, da socialismo reale , organica etc..). Insomma la "democrazia" è un feticcio rassicurante, però a maggior ragione in questo periodo storico in cui la rappresentatività sembra essere in crisi, sarebbe auspicabile pensare a forme di "democrazia" diverse da quella che conosciamo, purché in grado di rappresentare esistenzialmente la comunità politica. Però certo se uno aspira ad essere governato nel 2016 da un re assoluto o di fare il cavaliere (o lo scudiero) di un cavaliere dell'impero, tutto resta più difficile...
Paolo C.
Grazie mille Paolo per il tuo intervento, mentre mi spiace per l’intervento di Marco che sono costretto a censurare per spegnere un’inutile e vana polemica ormai senza più alcun costrutto. Intelligenti pauca.
RispondiEliminaVolevo solo dire a Aldo che io scherzo, non c'è intenzione malevola nelle mie parole. Forse ho esagerato, ma non l'ho fatto con malizia; fondamentalmente, al di là della forma, credo in quel che dico, magari sbagliando su tutta la linea. In particolare, ieri m'è venuta in mente quella stravagante ipotesi dell'opera di Panunzio come colossale e geniale burla gnostica.
RispondiEliminaIn alto i cuori!
A Panunzio sarò sempre grato per la sua splendida antologia degli scritti di Padre Pio da Pietrelcina.
RispondiEliminaTuttavia, se non sono io ad aver letto distrattamente, certe posizioni espresse nei suoi libri mi sembrano poco compatibili col cattolicesimo.
Penso, ad esempio, a un certo indifferentismo religioso, a quanto scritto sul mistero metafisico di Maria o sul post-mortem.
Alberto
Caro Marco,
RispondiEliminauno dei miei maestri – Don Ennio Innocenti – che pure aveva conosciuto personalmente Panunzio e dialogato con lui almeno in una occasione, lo riteneva uno gnostico. Nella prima edizione dei suoi libri sulla storia dello gnosticismo, Don Ennio sistemava Panunzio nel girono infernale degli gnostici (pur se il riferimento al suo nome si trovava solo in una nota a piè di pagina), mentre nella seconda edizione ne aveva rimosso il nome (un ripensamento voglio sperare). Quando parlava con me, Don Ennio che pure sapeva della mia stretta aderenza alla linea di pensiero di Panunzio, mitigava il suo giudizio e al massimo arrivava a definirlo bonariamente un irenista. D’altronde, definire gnostico un cattolico è offesa assai grave (non per un Corbin ad esempio, a cui invece non dispiaceva affatto, ma lui in fondo non era cattolico). D’altronde lo stesso tipo di accusa era stata formulata nei confronti di Guénon, e anche lui la rifiutava recisamente e con validi argomenti. La verità è che c’è una gnosi cristiana perfettamente ortodossa (lo riconosceva anche il cardinal Daniélou e l’amico Borella vi ha dedicato molti libri) e c’è uno gnosticismo cristiano -e non- eretico e fallace che rappresenta un reale pericolo per la religione istituzionale. Con la sua opera Panunzio ha cercato di rivitalizzare la gnosi cristiana, ma sempre nell’ambito ristretto della cultura e degli studi tradizionali dove allora trionfavano su tutti i Guènon e gli Evola che troppo affrettatamente si erano sbarazzati del cristianesimo e indicavano ai loro lettori e sodali altri percorsi spirituali. In questo senso, l’opera di Panunzio è stata un’ancora di salvezza per molti cattolici di destra esistenzialmente e intellettualmente disorientati dal famigerato duetto. Gianfranceschi che tu citavi fu uno di quelli, ma ce ne furono molti altri (il medesimo Primo Siena). Quindi, il giudizio su Panunzio non può prescindere dal contesto storico-culturale e religioso nel quale il nostro si trovò ad agire e ad operare e dunque definire la sua opera “una burla gnostica” sarà pure originale, ma non corrisponde a meno di niente. Lo stesso discorso vale per il Concilio, per Giovanni XXIII (c’è un Roncalli cardinale che Panunzio conosce privatamente e ammira e c’è un Roncalli papa che anche per Panunzio a un certo punto aveva finito col perdere la bussola), per il Concilio, per la Democrazia, ecc. ecc. Panunzio non era democratico, ma monarchico convinto e tuttavia si era liberato dalle pastoie del pensiero ideologico e cercava sempre di volare alto. I suoi giudizi più radicali erano sempre mitigati dallo studio e dall’approfondimento e dal desiderio di cercare il bene in tutte le creazioni culturali, sociali, artistiche, letterarie e politiche dell’uomo (persino nell’occultismo o nel comunismo). Non si trattava di posizioni compromissorie, ma di una visione più profonda delle cose nel segno del realismo e dell’“ottimismo redentivo”, oltre la linea dello scontro classico riforma-controriforma, destra-sinistra, conservazione-rivoluzione, ecc. Insomma, per lui si trattava di superare lo scontro frontale rinvenibile in ogni dove, non più dal basso (relativismo), ma dall’alto. Solo mettendosi in quella medesima posizione (diciamo un “meridiano zero” cristiano) è possibile capire i suoi giudizi che invece dal basso appaiono per quello che non sono. Mi rendo conto della difficoltà di inquadrare tutto questo senza esserci passati in prima persona e senza una lunga e meditata lettura dei suoi libri (quando poi li si è letti e meditati per davvero, nulla impedisce di utilizzarli per scopi prosaici quali che siano), ma allora è meglio non emettere giudizi. Per questo, caro Marco, ti ho censurato e spero che almeno questo ora ti appaia chiaro.
Sempre in alto i cuori!
Ad Alberto dico che i libri di Panunzio venivano sempre sottoposti al vaglio di qualche religioso autorevole prima di essere licenziati e non ricordo nessuno di loro che li abbia definiti eretici. Tuttavia, riconosco che effettivamente su certi temi ci fossero delle dissonanze (concordo, ad esempio, sul mistero metafisico di Maria, un po’ meno sugli altri due punti). Tuttavia, mi permetto di osservare che tali dissonanze si trovano in quasi tutti gli autori cristiani, ma che non devono allarmare più di tanto. Sono solo tentativi di rispondere alle eterne domande dell’uomo, senza pretese di verità. In questo senso a mio giudizio anche le ipotesi più avventate non offendono le verità di fede della nostra religione.
RispondiEliminaUn caro saluto
C'è una cosa che nemmeno l' l'eclettismo di Panunzio era riuscito a realizzare ed era il fatto che "oggi Gesù Cristo lo si trova dietro l' immigrato"... almeno a sentire papà Bergoglio. Per fortuna che "il Duo famigerato" non può più ascoltare le cose di questo mondo....
RispondiEliminaCaro Nibbio, viviamo in un’epoca di totale confusione a cui neanche i residui di autorità spirituali sopravviventi a Oriente e ad Occidente riescono a sottrarsi. Anch’io penso che sugli immigrati si siano dette e si dicano un mucchio di sciocchezze da tutte le parti, a sinistra come a destra. Sono fenomeni in parte spontanei, in parte eterodiretti, malamente gestiti da tutti, ma non ho ancora sentito da nessuno – e dico proprio da nessuno – uno straccio di proposta seria e praticabile per affrontarne il problema. Lascio poi al Papa la responsabilità delle sue dichiarazioni che però non credo cambino di una virgola lo stato dell’arte (forse solo un po’ in Italia, ma poi neanche più di tanto). Ma Lei forse ritiene che io mi debba sentire in obbligo di condannare le parole di Papa Francesco. Bene, le dirò allora che in questa circostanza l’unico obbligo che sento è quello di tacere. Ma questo non vuol certo dire che chi tace acconsente. Se infine Lei approfondisse meglio la storia del cristianesimo, si renderebbe conto che anche quelle parole che avrebbero certamente orrorizzato il famigerato duo, non gli sono poi così estranee. E’ una della ragioni per cui il cristianesimo non stava simpatico né ad Evola né a Guénon. Ma poi loro coerentemente ne hanno preso le distanze.
RispondiEliminaARVO.
RispondiEliminaScrivo come "anonimo" avendo problemi con la mail.
Di quest' Atma non sapevo nulla ma devo dire che Lei Aldous comincia a diventare un personaggio interessante,dopo la diffidenza iniziale. Come lo sono tutti coloro che nella propria vita cercano di non limitarsi alle sole parole ma tentano almeno qualcosa di concreto nell' ambito di ciò che veramente conta.
Le chiederei cosa pensa del cosiddetto cammino "neocatecumenale" e se ritiene che abbia una qualche valenza reale o sia solo un maldestro tentativo di approfondire l'exoterismo superficiale che ha finito per imporsi ovunque. Grazie per l' eventuale risposta.
Roberto
l’unico obbligo che sento è quello di tacere.
RispondiEliminaTroppo facile, caro Aldo.
Caro Marco, come ho già detto, quella di tacere è una scelta precisa e sofferta e non di ora. Il Papa può essere criticato tranquillamente, ma a nostro giudizio mai pubblicamente e coram populo. Detta grossolanamente: “i panni sporchi si lavano in casa” e non esponendoli sulla pubblica piazza. I detrattori e i nemici della Chiesa non aspettano altro e sanno sempre approfittarne per raggiungere i loro perfidi scopi. La storia di Lutero dovrebbe averci insegnato qualcosa. So di associazioni cattoliche tradizionaliste finanziate da ambienti nemici della Chiesa e all’insaputa dei loro appartenenti. Ma è solo un esempio fra i tanti possibili. Insomma, chi critica il Papa apertamente finisce, volente o nolente, nel campo della sovversione. Antonio Socci, tanto per fare un nome, per scrivere contro il Papa con articoli e libri, si fa…pagare! Una vergogna! Anche Santa Caterina tuonava contro il Papa, ma in lettere private. Detto questo, ognuno si regoli come vuole, ma non mi si venga a dire che chi la pensa diversamente è in errore o lo fa per semplice quieto vivere. Le cose, caro Marco, stanno ben altrimenti.
EliminaLe eresie? Padre Bagatti direttore dell’Istituto di Gerusalemme, e autore di un testo straordinario (Il simbolismo dei giudeo cristiani)era solito rispondere: lascia stare le eresie. Certo frutto di sensibilità, di tradizioni e di culture diverse, in un cristianesimo poligenetico e praticato da popoli diversi.
RispondiEliminaPiccola correzione: il volume "Il simbolismo dei giudeo-cristiani" è di padre Emanuele Testa,comunque studioso sodale di padre Bellarmino Bagatti. Un grande duo indispensabile per conoscere meglio le origini e i primi tempi del cristianesimo!
RispondiEliminaCaro Roberto,
RispondiEliminadei neocatecumenali non penso granché bene. Per un po’ li ho frequentati cercando di capire, ma si comportano come se fossero una chiesa nella chiesa, con fastidiosi atteggiamenti settari, fanatismo e un’importanza eccessiva data a fenomeni psichici scambiati per “azioni dello Spirito”. Insomma, dal mio punto di vista non è un bel sentire e un bel vedere. Purtroppo la loro influenza è giunta molto in alto, ma io me ne tengo alla larga.
Ringrazio Antonello per la citazione del Padre Testa che ci ha donato studi assolutamente imprenscindibili sul simbolismo delle comunità cristiane degli esordi.
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