Molto
spesso capita di leggere sia sulla carta stampata che sul web articoli dove con
colpevole ignoranza si trattano argomenti di cui nulla o quasi nulla si è
veramente capito. Che una tale cosa accada continuamente a giornalisti e politici
non deve stupire più di tanto essendo costoro abituati ad approssimazione e
vaghezza, quando non anche a falsificazione e distorsione dei fatti. Si rimane
invece alquanto perplessi quando a incorrere in certi svarioni non sono
semplicemente i mestieranti dalla politica o della penna, ma addirittura dei docenti
universitari, dai quali ci si aspetterebbe competenza, rigore di pensiero e precisione di linguaggio.
Un
tipico esempio di errore marchiano in cui incorrono sovente anche gli ambienti
accademici più paludati, è senza dubbio quello di confondere o scambiare il
termine “fondamentalismo” con quello di “integralismo” e alle volte persino con quello di “integrismo”.
Per quanto l’argomento meriterebbe una riflessione lunga e ponderata che non
escludiamo di fare in futuro, ora vogliamo semplicemente provare a spiegare il
significato storico delle tre parole, sperabilmente a beneficio di qualche lettore
che non ne abbia la più pallida idea.
Cominciamo
dal termine “fondamentalismo”. Qui ci troviamo di fronte almeno a due accezioni
differenti.
La
prima denota quei protestanti che nella seconda metà dell’Ottocento, di fronte
al moltiplicarsi di sètte e dottrine, decisero di stabilire quali dovessero
essere le verità universalmente accettate da tutti i cristiani, al fine di far
prevalere i motivi di concordanza su quelli di divisione. Tuttavia, com’è noto,
un tale “canone” non incontrò mai l’approvazione generale e il
“fondamentalismo”, così inteso, si ridusse ad una utopia senza concreti
risultati.
In
una seconda e più recente accezione, il termine “fondamentalismo” ha finito col
designare anche alcune correnti religiose dell’Islam sunnita e sciita, in particolare quelle che
propugnano l’interpretazione letterale
del Corano e un ritorno ai “fondamenti” dell’Islam delle origini, ritenuti per
ciò stesso autentici e infallibili. A onor del vero, almeno per chi conosce la
complessità dell’Islam, una simile definizione risulta forse un po’ troppo
sommaria e vaga per essere completamente accettabile, ma in linea di massima
possiamo assumerla, purché non se ne abusi e si precisi meglio caso per caso. Occorre
considerare che di solito questa definizione ha un significato offensivo e non
descrive al meglio l’oggetto che pretende indicare (ci sarebbero altre parole
più acconcie e magari anche con il corrispettivo in lingua araba).
Veniamo
ora al termine “integralismo”.
Wikipedia
ne dà la seguente definizione: “si qualifica come integralismo in senso lato qualunque ideologia con cui si miri
alla costituzione di un sistema omogeneo in cui non esista pluralità di
ideologie e programmi: o conciliando e unificando tutte le posizioni esistenti;
o rigettando e delegittimando tutte le posizioni diverse dalla propria, e
rifiutando qualunque compromesso affinché quest'ultima prevalga su tutte le
altre”. Il dizionario internettiano precisa poi che la parola può riferirsi
almeno a due significati diversi, uno di tipo religioso e uno di tipo politico.
Anche qui però la definizione non rende giustizia della varietà e della
complessità delle diverse posizioni in campo che bisognerebbe illustrare con
esempi storici concreti proprio per sgombrare il campo da troppo facili
semplificazioni e per evitare, come d’altronde lo stesso estensore della voce
ricorda, che il termine venga usato come sinonimo di “fondamentalismo”.
Sul
termine “integrismo”.
La
parola risale al 1890 e a definirsi “integrista” era un partito politico
spagnolo nato sulla scia del “Sillabo”, il famigerato “sommario – syllabus in latino - dei principali errori dell’età moderna”
voluto da Pio IX e dato alle stampe nel dicembre del 1864. In seguito, sempre
sul finire dell’Ottocento, furono i cattolici liberali a chiamare “integristi”
- in modo ovviamente dispregiativo – i correligionari che si opponevano alle
nuove mode culturali e alla libertà di ricerca in campo teologico e
scritturistico. Per estensione il termine finì per descrivere l'atteggiamento
di quelli che promuovono in modo rigoroso le dottrine tradizionali
dell'ortodossia e che per ciò stesso sono contrari a qualsiasi cambiamento
dottrinale (la definizione di “integristi” non sembra dispiacere, ad esempio, ai
“tradizionalisti cattolici”, sia lefrevbiani che sedevacantisti).
Eccellente, davvero eccellente! Complimenti!
RispondiEliminaTroppo buono! Grazie Antonello!
RispondiEliminaBellissima messa a punto, complimenti! Si potrebbe aggiungere anche una nota sul "tradizionalismo", che era emersa nel post su Borella. (le tre macro-distinzioni possono essere: tradizionalisti guénoniani, tradizionalisti lefevriani e tradizionalisti "concialiari"). Vorrei anche aggiungere una nota sull'"integrismo" di de Lubac e ripreso in Italia dal Cardinale Biffi, secondo i quali l'integrismo si caratterizza come quella dottrina cattolica che prevede l'integrazione - volta dunque alla ricerca dell'intero - (sia a livello antropologico, che sociologico) fra Natura e Grazia.
RispondiEliminaPaolo C.
Ottimo commento integrativo. Grazie Paolo!
RispondiEliminaOttimo contributo, complimenti. Non si capisce, però, perché il Sillabo sarebbe "famigerato". Grazie.
RispondiEliminaGrazie a Lei, Marco. Diciamo che volevo sottolineare il fatto che il testo non gode proprio di buona stampa presso una certa cultura dominante.
RispondiEliminaMi associo agli apprezzamenti sull'articolo. Gli integristi sono in generale persone meritevoli di rispetto, per il rigore dottrinale e la fedeltà alla Tradizione. Ma l'integrismo dà a volte l'impressione di una chiusura che soffoca il libero e universale soffio dello Spirito.
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