“omnia divina humanaque iura
permiscentur” (Cesare, De bello civili, I, 6)
La guerra civile è propriamente un
conflitto armato di ampie proporzioni, in cui le parti belligeranti sono
costituite principalmente da cittadini di un medesimo Stato; obiettivo di
ognuna delle due fazioni in lotta è la distruzione totale dell’avversario,
fisica e ideologica. Tuttavia tale definizione può essere applicata in modo
estensivo: Ernst Nolte, ad esempio, chiama “guerra civile europea” il conflitto
delle due ideocrazie che, nel periodo compreso tra la Rivoluzione d’Ottobre e
la sconfitta del Terzo Reich, hanno cercato di annientarsi reciprocamente.
Guerra civile, ma combattuta su scala mondiale, fu secondo Nolte anche la
guerra fredda: uno “scontro politico-ideologico tra due universalismi militanti,
ciascuno dei quali era in possesso almeno di un grande Stato, uno scontro la
cui posta in gioco era la futura organizzazione di un mondo unitario” (1).
In una certa misura, è possibile
estendere la definizione di “guerra civile” al conflitto politico e militare
che, nell’odierno mondo musulmano, contrappone Stati, istituzioni, movimenti,
gruppi e fazioni appartenenti alla stessa comunità (umma). Un conflitto di tal
genere viene indicato dal lessico islamico mediante il termine arabo fitna, al
quale ricorre il Corano laddove esso afferma che “la sedizione è più violenta
della strage” (al-fitnatu ashaddu min al-qatl) (2).
La prima fitna nella storia
dell’Islam è quella che lacerò la comunità musulmana durante il califfato
dell’Imam ‘Ali. Conclusasi la rivolta dei notabili meccani con la loro
sconfitta nella Battaglia del Cammello, la fitna riesplose con la ribellione
del governatore della Siria, Mu’awiya ibn Abi Sufyan, il quale, dopo aver
affrontato a Siffin l’armata califfale e dopo essersi impadronito dell’Egitto,
dello Yemen e di altri territori, nel 661 diede inizio alla dinastia omayyade.
Una seconda fitna contrappose il califfo omayyade Yazid ibn Mu’awiya al nipote
del Profeta Muhammad, al-Husayn ibn ‘Ali, che il 10 ottobre 680 conobbe il
martirio nella Battaglia di Kerbela. La terza fitna fu lo scontro interno alla
famiglia omayyade, che spianò la strada alla vittoria abbaside. La quarta fu la
lotta fratricida tra il califfo abbaside al-Amin e suo fratello al-Ma’mun.
La prima e la seconda fitna, lungi
dall’essersi risolte in un mero fatto politico, sono all’origine della
divaricazione dell’umma islamica nelle varianti sunnita e sciita: due varianti
corrispondenti a due prospettive della medesima dottrina e perciò definibili
come “dimensioni dell’Islam insite in esso non per distruggere la sua unità, ma
per rendere atta a parteciparvi una più ampia parte di umanità e individui di
differente spiritualità” (3).
Ora, mentre la maggior parte degli Arabi, dei Turchi, dei Pakistani è sunnita, come sunnita è pure l’Indonesia, che è il più popoloso dei paesi musulmani, il nucleo più compatto e numericamente consistente dell’Islam sciita è rappresentato dal popolo iraniano. Questa stretta relazione dell’Iran con la Scia viene oggi utilizzata in un quadro strategico ispirato alla teoria dello “scontro di civiltà”: i regimi del mondo musulmano alleati degli Stati Uniti e di Israele fanno un ricorso strumentale al dualismo “Sunna-Scia” al fine di eccitare lo spirito settario e dirigere le passioni delle masse contro la Repubblica Islamica dell’Iran, dipinta come irriducibile nemica dei sunniti e presentata come nucleo statuale dell’egemonia regionale “neosafavide” (fu sotto la dinastia safavide che nella Persia del XVI secolo la Scia diventò religione di Stato).
Ora, mentre la maggior parte degli Arabi, dei Turchi, dei Pakistani è sunnita, come sunnita è pure l’Indonesia, che è il più popoloso dei paesi musulmani, il nucleo più compatto e numericamente consistente dell’Islam sciita è rappresentato dal popolo iraniano. Questa stretta relazione dell’Iran con la Scia viene oggi utilizzata in un quadro strategico ispirato alla teoria dello “scontro di civiltà”: i regimi del mondo musulmano alleati degli Stati Uniti e di Israele fanno un ricorso strumentale al dualismo “Sunna-Scia” al fine di eccitare lo spirito settario e dirigere le passioni delle masse contro la Repubblica Islamica dell’Iran, dipinta come irriducibile nemica dei sunniti e presentata come nucleo statuale dell’egemonia regionale “neosafavide” (fu sotto la dinastia safavide che nella Persia del XVI secolo la Scia diventò religione di Stato).
L’alimento ideologico del settarismo
antisciita è costituito soprattutto, anche se non unicamente, dalle correnti
wahhabite e salafite, le quali fin dal loro apparire sono state oggetto di
riprovazione e di condanna da parte dell’ortodossia sunnita. Circa lo storico
rapporto di solidarietà che collega tali manifestazioni di eterodossia
all’imperialismo britannico e statunitense, ci siamo già dilungati altrove (4).
Qui sarà opportuno osservare che il più recente e virulento prodotto delle
suddette correnti, ossia il sedicente “Stato Islamico” (Daesh, Isis, Isil
ecc.), palesemente sostenuto da Arabia Saudita, Qatar e Turchia, è lo strumento
di una strategia americana finalizzata ad assicurare al regime sionista
l’egemonia sul Vicino Oriente e quindi ad impedire il formarsi di un blocco
regionale che dall’Iran si estenda fino al Mediterraneo.
Occorre inoltre notare la
significativa somiglianza che intercorre tra il caricaturale e parodistico
“Califfato” di al-Baghdadi e la petromonarchia saudita. Gli efferati e bestiali
atti di sadismo compiuti dagli scherani del cosiddetto “Stato Islamico”, la
devastazione sacrilega dei luoghi di culto tradizionali e la vandalica
distruzione dei siti della memoria storica in Siria e in Iraq, infatti,
costituiscono altrettante repliche di analoghi atti di barbarie commessi dai
wahhabiti nella penisola arabica (5). Il cosiddetto “Stato Islamico”, come è
stato ampiamente mostrato sulle pagine di questa rivista 6, non è se non una
forma radicale e parossistica di quella particolare eterodossia che ha il
proprio eponimo in Muhammad ibn ‘Abd al-Wahhab. D’altronde, sia l’entità
saudiana sia la sua replica denominata “Stato Islamico” devono entrambe la loro
nascita e il loro sviluppo agl’interessi angloamericani ed alle scelte
operative della geopolitica atlantica.
La “guerra civile” islamica, la
fitna che oggi divampa nel mondo musulmano, trae dunque origine dall’azione
combinata di un’ideologia settaria e di una strategia che i suoi stessi
ideatori hanno chiamata “strategia del caos”.
Claudio Mutti è Direttore di
“Eurasia”.
NOTE
1. Ernst Nolte, Deutschland und der Kalte Krieg (2a ed.), Klett-Cotta, Stuttgart 1985, p. 16.
2. Corano, II, 191.
3. Seyyed Hossein Nasr, Ideali e realtà dell’Islam, Rusconi, Milano.
4. Claudio Mutti, L’islamismo contro l’Islam?, “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”, a. IX, n. 4, ott.-dic. 2012, pp. 5-11.
5. Carmela Crescenti, Lo scempio di Mecca, “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”, a. XI, n. 4, ott.-dic. 2014, pp. 61-70.
6. Jean-Michel Vernochet, Le radici ideologiche dello “Stato Islamico”, “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”, a. XI, n. 4, ott.-dic. 2014, pp. 81-85.
1. Ernst Nolte, Deutschland und der Kalte Krieg (2a ed.), Klett-Cotta, Stuttgart 1985, p. 16.
2. Corano, II, 191.
3. Seyyed Hossein Nasr, Ideali e realtà dell’Islam, Rusconi, Milano.
4. Claudio Mutti, L’islamismo contro l’Islam?, “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”, a. IX, n. 4, ott.-dic. 2012, pp. 5-11.
5. Carmela Crescenti, Lo scempio di Mecca, “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”, a. XI, n. 4, ott.-dic. 2014, pp. 61-70.
6. Jean-Michel Vernochet, Le radici ideologiche dello “Stato Islamico”, “Eurasia. Rivista di studi geopolitici”, a. XI, n. 4, ott.-dic. 2014, pp. 81-85.
Il fatto per me più interessante di questa vicenda è che in questo doppio blocco geopolitico si possono rintracciare altre ispirazioni religiose. Da una parte le mire dei wahabiti trovano il sostegno di messianisti ebrei, americani e israeliani (i quali a loro volta possono contare sull'immenso bacino filo-sionista), e protestanti americani, anch'essi messianisti, ma non solo. Dall'altro ci sono gli sciiti che hanno il sostegno dell'ortodossa Russia e non bisogna dimenticare, nonostante l'assordante quasi silenzio del Vaticano, che tutte le chiese cristiane, cattoliche e ortodosse, in Siria (ed Iraq) hanno ripetutamente manifestato il loro sostegno ad Assad. A ciò va aggiunto l'elemento apocalittico 'Damasco' nella battaglia dei tempi ultimi secondo tradizione islamica, e il fatto che gravi situazioni di 'unrest' politico si verifichino in quei luoghi legati alla tradizione delle sette torri del diavolo. C'è un articolo di Buttafuoco sulla Repubblica di un paio di anni fa che ne parla: http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2013/10/16/apocalisse-damasco.html - Magari Aldo saprai aggiungere altro o chiarire o controbattere. Purtroppo non ho il tempo di mettermi a studiare queste cose per un altro po' di mesi e sono per di più lontano dai miei libri. Panunzio ha mai scritto riguardo Damasco? Un caro saluto, Francesco
RispondiEliminaCaro Francesco, molto interessanti le tue considerazioni di sapore escatologico sul merito del conflitto in corso con al centro la Siria. Non mi sembra sincermanete di ricordare un riferimento esplicito di Panunzio a Damasco. Inviterei comunque a rileggere del Nostro gli importanti saggi "Il reicontro Cristianità-Islam" e "La missione dell'Iran", entrambi apparsi sul primo volume di "Metapolitica" (Ed. Babuino,1979).
RispondiEliminaL'articolo di Buttafuoco mi era sfuggito.
Grande abbraccio