23/09/13

"L'Oraison cordiale" di Jean-Marc Boudier



Prefazione dell'Autore:
 
Nella società odierna gran parte del tempo è occupato da distrazioni e divertimenti, pertanto si ha sempre meno la possibilità di concentrarsi, di dirigere la propria volontà verso il bene, di rimanere tranquilli e sereni. I nostri contemporanei si disperdono e si perdono in una agitazione senza nome proiettati esclusivamente alla ricerca della volontà sfrenata di potenza e dello sviluppo smisurato dell’ego che il mondo moderno propone come valori. Non è quindi vano ricordare ai Cristiani di oggi l’importanza dell’umile raccoglimento interiore che consente di ricentrarsi e di riorientare il proprio sguardo verso il divino nel più profondo di noi stessi; in poche parole, di ritornare all’essenziale riscoprendo i tesori della preghiera contemplativa “senza immagini e senza riflessioni”.
Ormai da qualche anno abbiamo attirato l’attenzione su un piccolo gruppo spirituale del diciassettesimo secolo francese. Rappresentato principalmente nell’Île-de-France, in Normandia e in Bretagna, ma anche a Roma, erano uniti dalla stessa pratica della preghiera del cuore –la preghiera di Gesù, così come veniva praticata dai primi Cristiani e dai monaci del deserto- allora conosciuta con il nome di orazione “cordiale”. Questa è stata riscoperta nei primi anni del Secolo scorso dall’abate Henri Brémond che ne comprese l’importanza, ma la cui analisi, a nostro avviso, manca a volte di precisione. Un Carmelitano, il Padre Peter Van Schaick, ha voluto studiarne anche la ricchezza teologica ponendo la questione di un raffronto con l’esicasmo orientale. Anne Sauvy vi dedicherà un capitolo in un’opera sapiente e documentata sulle immagini del cuore. Ma questi due ultimi autori si sono scontrati con il problema delle fonti storiche del movimento e sfortunatamente non hanno potuto spingere oltre le loro ricerche. Più recentemente, Henri-Pierre Rinckel, Placide Deseille nonché lo storico dell’arte Frédéric Cousinié, hanno dedicato numerose pagine all’iconografia delle opere di Jean Aumont, uno dei rappresentanti più emblematici di questo movimento ancora mal definito.
Nella nostra presentazione che non ha nulla di definitivo né di esaustivo, non pretendiamo di dare tutte le risposte né di fare luce piena sul soggetto, abbiamo solo cercato di porre alcune questioni, di aprire qualche pista e di proporre diversi chiarimenti. In ogni caso, stimiamo che questa preghiera del cuore cattolica, nel cuore stesso della Chiesa che tanto insiste sulla ricerca dell’immagine divina in noi nonché sul concorso dell’effusione dello Spirito Santo e dei suoi sette doni, non sia stata considerata nel suo giusto valore; ingiustamente lasciata da parte o tristemente preferita alle moderne e disastrose parodie pseudo carismatiche che d’altronde si sono insediate persino a Paray-le-Monial…
L’opera più nota di questa costellazione informe è L’Oratoire du Cœur, del “nobile e discreto Messere Maurice Le Gal, signore di Kerdu, rettore di Servel”, una parrocchia bretone vicina a Lannion. Questo libro, che diverrà un vero successo librario, offre ai suoi lettori un “metodo molto facile per fare Orazione con Gesù Cristo nel fondo del Cuore”. Non è un’opera isolata e individuale, ma piuttosto un manuale pratico ad uso di coloro che desiderano seguire questa particolare via d’amore e di volontà, e raggiungere un traguardo e un comportamento esteriore “caritatevole”, ma molto discreto, sicuramente vicino ad alcune società cattoliche dell’epoca fondate sul segreto, la più conosciuta delle quali è la Compagnia del Santo Sacramento. Può farsi un accostamento anche con la diffusione della devozione al Sacro Cuore e alle Cinque Piaghe.
Nel nostro procedere ci siamo basati sui testi stampati esistenti dei quali si deve sottolineare la ricchezza e la profondità. D'altronde nella seconda parte (del libro, n.d.T.) ne presenteremo un florilegio che permetterà ai lettori di farsi un’opinione personale. Il testo dell’epoca è stato conservato quasi integralmente, solo qualche parola è stata tradotta e la sintassi e la punteggiatura, spesso modernizzate. Benché la raccolta dei brani scelti possa sembrare arbitraria da parte nostra, nondimeno esprime una certa coerenza. Ma occorre sforzarsi di non proiettare su questo movimento pregiudizi e a priori appartenenti ai nostri giorni per evitare di interpretarlo attraverso chiavi di lettura sbagliate. L’uso frequente di un vocabolario preciso e piuttosto “tecnico” può fuorviare il lettore moderno che invece dovrebbe prenderne dimestichezza per appropiarsene. Siamo altresì consapevoli che questi testi possono disturbare un certo numero di intellettuali cattolici del nostro tempo (in quanto troppo cattolici romani per degli Ortodossi orientali, o per un approccio che potrebbe fuorviare dei Cattolici romani…) o suscitare dei dibattiti più o meno vivaci nei quali non vogliamo né rientrare né prendere parte. Questo insegnamento è situato in un “luogo” interiore e superiore nel quale le vane contese degli uomini, per quanto sapienti e impegnati, non hanno presa. Opponendosi alle derive del Giansenismo e del Protestantesimo e differenziandosi dal Quietismo per come è stato condannato alla fine del secolo, l’orazione nel cubiculum cordis continuerà a custodire il suo mistero e il suo segreto ineffabile la cui vera comprensione può passare solo attraverso la propria esperienza personale interiore –o “passaggio dell’oro attraverso il fuoco” che consente la transizione dallo speculativo all’operativo- e attraverso un “linguaggio del cuore” fondato sul puro amore. Qui non possiamo che ricordare la seguente affermazione di Evagrio Pontico: “Se sei teologo pregherai veramente, e se preghi veramente sei teologo (1). Infine, a causa del suo carattere molto specifico, l’orazione cordiale costituisce un’efficace scudo contro gli attacchi del demonio e i sinistri disegni di coloro che lo seguono; per costoro essa rappresenta, a giusto titolo, un grande pericolo essendo inserita nella dimensione profetica e apocalittica della vittoria finale dell’Agnello di Dio. La visione di questo combattimento spirituale è spesso proiettata in avanti rispetto all’epoca.
Questa via ascetico mistica, breve o “secca”, se così si può dire -perfettamente ortodossa e ricollegata al corpo della Chiesa- passa in primo luogo attraverso gli esercizi spirituali, le meditazioni dello spirito e le affezioni del cuore; discende dallo spirito nel cuore. Il cuore diviene così il luogo che accoglie il divino, il campo della métanoia e della trasformazione interiore.
E’ altresì un richiamo all’esperienza spirituale di san Paolo nonché un rinnovamento dell’influenza agostiniana; una sorta di risorgenza, o Grande Secolo, della devotio moderna della fine del Medioevo (che ha prodotto L’Imitazione di Cristo) nel quadro di ciò che si è potuto chiamare la “scuola francese di spiritualità”. Più in generale, questa risorgenza si iscrive anche in un grande movimento di riforma di alcuni ordini religiosi dell’epoca e, a volte, nella ripresa di una tradizione iconografica più antica. Tutto volge alla purificazione e alla custodia del cuore nonché alla realizzazione interiore dell’illuminazione spirituale e dell’unione intima; la finalità ultima dell’orazione cordiale sarà la visione contemplativa del Dio trinitario e la deificazione. Essa rende  il giusto rango alla Teologia mistica e alla Metafisica, all’esercizio della volontà e dell’attenzione interiore permanente.                           
Paradossalmente questa via del cuore sembra essere aperta a tutti nella sua manifestazione esteriore –o piuttosto non pone esclusive e ciascuno può trovarvi quello che può e quello che gli è dato trovare- ma è particolarmente ardua e “provante” per colui che la vuole perseguire e richiede purezza e perseveranza particolari. Il suo radicalismo e la sua intransigenza possono scoraggiare più d’uno i quali danno così testimonianza delle difficoltà della posta in gioco: la triplice morte “al mondo, alla carne e al diavolo”, l’anelito di fuga, di silenzio, di solitudine, di deserto, di vita nascosta, di nudità, di vuoto, di annientamento, di disadattamento e di pace interiore.
Al contempo è necessari anche abituarsi a una forma mentis capace di elaborare il paradosso e di evocare la possibilità di risvolti positivi; cosi, ad esempio, in una “dialettica” dell’essere e del nulla, dell’immagine e dello specchio, dell’interiore e dell’esteriore, dell’alto e del basso, o ancora della dotta ignoranza o delle tenebre luminose, non si può salire che discendendo, bisogna perdersi per trovarsi e morire a se stessi per vivere in Dio. Si tratta fondamentalmente di percorrere un sentiero di umiltà per accedere all’invisibile Regno divino nei cuori dove l’essere di Dio deve uccidere l’apparenza dell’uomo e la follia della Santa Croce prevalere sulla falsa saggezza mondana.
Si possono sentire come una eco, queste parole del Cristo al santo starets Silouane: “Tieni il tuo spirito all'inferno e non disperare”. Poiché “Dio non disprezza un cuore infranto e frantumato”.

(1) Evagrio Pontico, in Piccola filocalia della preghiera del cuore.

L’autore, dottore in lettere alla Sorbonne, di formazione medievista, abita in Bretagna, nella regione di Saint-Malo. Porta avanti ricerche sulla storia del sentimento religioso, i luoghi della memoria e i testi appartenenti alla tradizione spirituale cristiana.
(Tradotto dal francese da Letizia Fabbro; 
fonte: http://www.contrelitterature.com/)


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