21/09/12

La spirale di Gabelentz

Lucio D’Arcangelo
LA SPIRALE DI GABELENTZ
Solfanelli, Chieti 2012
Pagg. 116 - Euro 10,00


Da una parte noto glottologo e linguista, dall'altra altrettanto noto ispanista, nella sua seconda veste Lucio D'Arcangelo è noto per la sua antipatia verso Gabriel Garcìa Màrquez, contro la cui "dittatura" scrisse un famoso pamphlet, "La vittoria della solitudine". Il lettore di questo testo coglie subito che un'analoga antipatia nel campo della linguistica D'Arcangelo la rivolge a Noam Chomsky, la cui grammatica trasformazionale è da lui considerata nient'altro che un ritorno alla lingua mentalis di Leibniz, se non agli universali della Scolastica.
«Nel
mentalismo chomskyano rispunta un'idea obsoleta: quella del linguaggio come fenomeno o epifenomeno del pensiero: sua più o meno prescindibile veste. Certe affermazioni di Chomsky secondo cui parole semplici come “tavola”, “persona”, “convincere”, farebbero parte di “un insieme innato di nozioni”, verrebbero facilmente confutate da una qualunque persona bilingue.»
Sebbene il testo sia molto per specialisti, già questa accusa che un guru del terzomondismo altermondialista come Chomsky quando passa dal suo hobby ideologo alla sua professione di linguista si trasformerebbe in un reazionario anglocentrico è per lo meno gustosa.
In opposizione alla tesi di Chomsky che «la diversità dei fenomeni linguistici è illusoria», D'Arcangelo pone invece in esergo all'Introduzione l'idea di Andre Martinet secondo cui «il fatto che le lingue siano diverse non è un deplorevole accidente, ma un tratto sintomatico della natura del linguaggio.»
Con le 6.500 lingue diverse oggi esistenti, le 72 vocali e 116 consonanti che ci sono solo nelle 10 lingue più parlate al mondo, i 921 suoni individuati nelle 450 lingue più rappresentative, gli stessi concetti di soggetto e oggetto che tendono a perdere importanza al di fuori delle lingue indoeuropee, «la diversità delle lingue, così come si sono sviluppate e adattate, è un fenomeno vitale manifesto che reclama l'attenzione teorica. Diventa sempre più difficile per i teorici del linguaggio continuare a confondere l'equivalenza potenziale con la diversità reale.» A meno di non essere «linguisti da tavolino».
Unica proposta di sistematizzazione, resta appunto quella “spirale di Gabelentz” proposta dal linguista tedesco dell'800, secondo cui la morfologia delle lingue evolverebbe ciclicamente dall'isolante all'agglutinazione e poi alla flessione, per poi ricominciare. Ma anche questo è un processo che nell'ambito dei millenni non può essere affatto verificato con la regolarità di una vera e propria legge.
«Si è parlato spesso, specie nei media, della presunta “rivoluzione” chomskyana, ma la vera rivoluzione, cominciata negli anni Settanta, sta nell'ampliamento planetario dell'orizzonte scientifico con lo studio di lingue fino a quel momento sconosciute come quelle aborigene dell'Australia e l'esplorazione, tuttora in corso, di territori sotto questo profilo ancora vergini come la Nuova Guinea e il Sudamerica tropicale: un fatto mai avvenuto in proporzioni così estensive, che ha prodotto un terremoto delle conoscenze devastante per tutte le teorie che si sono succedute nell'ultimo cinquantennio.»
Ovviamente, non tutti possono permettersi di diventare esploratori linguistici. Ma in fondo basta già il semplice spruzzo di esempi di questo libro, tra morfemi turchi, agglutinazione dravidica, incorporazione tiwa, lessicalizzazione hmong, polisinteticità eschimese, radici arabe, “lingua macedonia” dei navajo, a dare al lettore un senso di affascinante vertigine sull'infinita possibilità di autoorganizzazione che la mente umana riesce ad avere.

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