09/07/11

Era una limpida giornata d'un azzurro d'acciaio

Era una limpida giornata d'un azzurro d'acciaio. I cieli dell'aria e del mare non si potevano quasi distinguere in quell'azzurro che tutto pervadeva; soltanto, l'aria pensosa era d'una purezza e dolcezza trasparenti, come di donna, e il mare gagliardo e virile si gonfiava in ondate lente, lunghe e poderose, come il petto di Sansone nel sonno.
Qui e là guizzavano le ali, bianche come neve, di piccoli uccelli immacolati; erano i pensieri delicati dell'atmosfera femminea; ma giù negli abissi dell'azzurro senza fondo, passavano e ripassavano enormi Leviatani e pesci-spada e squali; e questi erano i pensamenti vigorosi, agitati e assassini del maschio mare.
Traversando lentamente la coperta del portello, Achab si piegò alla banda e guardò come l'ombra dentro l'acqua affondava e affondava al suo sguardo, quanto più lui si sforzava di penetrarne la profondità. Ma i dolci aromi di quell'aria incantata parvero alla fine dissipare, per un attimo, l'oggetto canceroso nel suo cuore. Quell'aria beata, felice, quel cielo ammaliatore, lo afferrarono in fine carezzevoli; la terra matrigna, da tanto tempo crudele, repulsiva, gettava braccia appassionate intorno al suo collo ostinato, e pareva singhiozzare su di lui dalla gioia, come uno che, per quanto indurito e peccatore, ella trovasse ancora nel suo cuore la forza di salvare e benedire. Di sotto al cappello calcato, una lacrima cadde nel mare dall'occhio di Achab: tutto il Pacifico non conteneva tante ricchezze che valessero quella misera goccia.

(H. Melville, Moby Dick o la Balena, trad. it. di C. Pavese)

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