21/01/11

Alain Santacreu al cuore della Talvera

Alain Santacreu, Au coeur de la Talvera, Éditions Arma Artis, 2010

di Aldo La Fata

Nel suo “La France mystique” (Dervy-Livres, 1986) Jean Phaure ha scritto: “la Francia è il Graal geografico dell’Europa”. Una definizione sicuramente suggestiva, ma per niente eccessiva e senz’altro vera, per lo meno nell’ottica della geografia sacra tradizionale. La Francia è in effetti e da più secoli la terra d’elezione dell’occultismo, dell’esoterismo e del tradizionalismo e qui per dimostrarlo basterà appena evocare qualche nome: Guillaume Postel, Martinès de Pasqually, Louis-Claude de Saint-Martin, Antoine Fabre d’Olivet, Court de Gébelin, Joseph de Maistre, Louis de Bonald, Félicité de Lamennais, Alphonse-Louis Costant (alias Eliphas Lévi), Gerard Encausse (alias Papus), Alexandre Saint-Yves d’Alveydre, Stanislas de Guaita, Sar Joséphin Péladan, Albert de Rochas, Charles Henry, Albert Faucheux, Paul Sedir, Paul Vulliaud, Charbonneau-Lassay, Eugène Canseliet, Henry Corbin, Albert de Pouvourville (alias Matgioi), René Guénon, Raymond Abellio, Robert Amadou, P. Henri Stephane, Paul Lecour, Jean Phaure, Gaston Georgel, Constant Chevill, Monsignor Marcel Lefebvre, Charles Maurras, Gilber Durand, Jacques Bergier, Louis Pauwels, Jean Parvulesco (quest’ultimo di nascita romeno, ma nazionalizzato francese), Jean Borella, Francois Schenique, Georges Vallin, Jean Robin, Alain de Benoist. Una lista sicuramente parziale e limitata agli ultimi tre secoli. Ma si può andare anche molto più indietro nel tempo e scoprire, ad esempio, che i primi nuclei dei Pauperes commilitones Christi templique Salomonis”, meglio noti come Cavalieri Templari, nacquero in Francia e così pure i Catari, i cantori della scuola trobadorica, i Fratelli del Libero spirito, l’autore del “romanzo” d’esordio della letteratura graalica (Chrétien de Troyes), le cattedrali con la più ricca simbologia astrologico-zodiacale e alchemica dell’intera Europa, il misticismo di Port-Royal. Ma anche qui l’elenco è molto più lungo e in questo momento ci stiamo affidando solo alla nostra manchevole memoria. E che dire di personaggi enigmatici e quasi leggendari come Giovanna d’Arco, Michel de Nostre-Dame (alias Nostradamus), il conte di Saint-Germain o Fulcanelli? E della misteriosa vicenda della peregrinazione e messa in salvo della Sacra Sindone custodita e celata in territorio francese per diversi secoli?

Si potrebbe altresì far notare -ma sempre en passant non avendo qui il tempo di sviluppare un ragionamento sull’insieme di queste singolari e misteriose coincidenze- che è sempre nell’attuale Francia che si trova il maggior numero di santuari e luoghi di culto consacrati alle Madonne Nere e che la Francia ha il primato delle “apparizioni mariane” più degne di fede: da Rue du Bac a La Salette, da Lourdes a Banneux.

Non può dunque neanche sorprendere che la prima cattedra a livello mondiale intitolata alla “Storia della correnti esoteriche” sia stata creata in Francia (con sede presso la prestigiosa École pratique des autes études e titolare lo storico delle religioni Antoine Faivre).

A conclusione di questo breve excursus di sintetici e sommari lineamenti di ierostoria, non possiamo non aggiungere che, per lo meno da un punto di vista storico filosofico e letterario, l’esoterismo cristiano è soprattutto ed essenzialmente di marca francese. Esoterismo che, a parte le censure di certi ipocriti religiosi locali (gli stessi che di giorno si fanno vedere in Chiesa e magari di sera frequentano le Logge massoniche) e le perplessità di carattere soprattutto dottrinale e teologico di un certo milieu integrista e parrocchiale, è ha nostro avviso totalmente ortodosso e autenticamente evangelico. Da Yvon Leloup (alias Paul Sédir) a Charbonneau-Lassay, da Eugène Canseliet a Jean Phaure, dall'abbé Henri Stéphane a Jean Borella e Francois Schenique. Autori tra l’altro conosciuti e tradotti anche in Italia. Una nobile schiatta di ferventi simbolisti cristiani imbevuti di teologia mistica e speculativa a cui l’epiteto “esoterista” nell’accezione più o meno riduttiva e denigratoria che la parola ha assunto ai giorni nostri, sta decisamente stretto e che in realtà non hanno fatto altro, soprattutto con le loro opere scritte di pensiero, di spirito limpido e di profonda devozione, che perpetuare e rinnovare un’augusta tradizione che ha le sue radici storiche nel ricchissimo Medioevo cristiano, ma i cui antecedenti e antefatti si perdono nella notte dei tempi o se si vuole nello stesso mistero dell’animo umano e di Dio.

Tuttavia non ci si fraintenda: l’esoterismo cristiano è ovunque presente e sembra che si sia spinto persino nel più remoto Oriente. Diciamo solo che in Francia esso ha avuto e ha una forza tutta speciale e dei caratteri peculiari inconfondibili. Se ne potrebbe quasi parlare come di una vera e propria “scuola filosofica cristiana” costituita per lo più da uomini che parlano in nome della rivelazione cristiana e che di fatto sono “cercatori di Dio”. Una Scuola di idee straordinariamente ricca e vitale che meriterebbe un riconoscimento ufficiale da parte delle Gerarchie o per lo meno un tacito consenso. Ci ritorneremo.

Ora però vogliamo parlare dell’autore di questa nostra proposta di lettura, anche lui francese e anche lui, in certo modo, appartenente alla “scuola dell’esoterismo cristiano”. Il suo nome è Alain Santacreu. Ce ne fornisce l’occasione il suo bellissimo libro fresco di stampa “Au coeur de la Talvera” delle edizioni Arma Artis (casa editrice di La Bégude de Mazenc specializzata in “pubblicazioni e riedizioni di opere rare di alchimia, esoterismo, simbolismo, spiritualità e storia delle religioni”).

Santacreu in verità nasce nel comune spagnolo di Tolosa il 26 giugno 1950, ma la famiglia si trasferisce in Francia quando il nostro è ancora un bambino. Si laurea in lettere e si dedica contemporaneamente all’insegnamento, alla regia e alla recitazione teatrale. Esordisce come romanziere nel 1999 con Les Sept fils du Derviche (pubblicato in prima edizione da Jean Curutchet e in seconda da Le Grand Souffle) e l’anno seguente fonda insieme a Daniel Facénas la rivista “Contrelittérature”. A questa rivista collaborano, tra gli altri, Annie Cideron, Claire Prognon, Bruno Bérard, Jean-Marie Mathiéu, Jean Borella, il padre gesuita Édouard Glotin e l’arcivescovo di Tolosa, Monsignor Robert Le Gall. Contrelittérature”, che ci tiene a stare nella più stretta ortodossia cattolica, intende proseguire la linea editoriale della mitica rivista Regnabit (1921-1929). Quest’ultima, era stata fondata nel giugno del 1921 dal padre Félix-Marie Anizan (1878-1944), Oblato di Maria Immacolata e fatta rivivere con il nuovo titolo Le Rayonnement intellectue a partire dal 1929, dall’iconografo, araldista e simbolista di Loudun, Louis Charbonneau-Lassay (1871-1946). Contrelittérature” che finora è uscita con una cadenza semestrale per i tipi dell’editore Harmattan, ha festeggiato proprio lo scorso anno i suoi 10 anni di vita con un numero monografico –un simbolico n. 22- dedicato al tema centrale del Sacro Cuore di Gesù e con il titolo “Au commencement est le coeur”. La rivista possiede anche un sito web ricco di contributi e documenti di grande interesse che si trova tra i nostri preferiti.

Tutto premesso quanto precede, veniamo al nostro libro “Au coeur de la Talvera”. In realtà, si tratta di una raccolta di scritti che l’autore ha pubblicato nel tempo, ma che qui sono stati disposti e ordinati in una sequenza affatto casuale e del tutto coerente con i principi-guida della “controletteratura”.

Ma cos'è esattamente la controletteratura? La preposizione “contro” di solito indica “opposizione”, “contrarietà”, ma non in questo caso. Lo spiega bene lo stesso Santacreu là dove vede tale nuova espressione metaforizzata nel seguente passaggio dell’opera di De Maestre “Considerazioni sulla Francia” (Considérations sur la France), uno dei suoi maggiori scritti: “il ristabilimento della monarchia, che si chiama controrivoluzione, non sarà una rivoluzione contraria, ma il contrario della rivoluzione»”. Parafrasando questo passaggio Santacreu scrive “la restaurazione della letteratura che io chiamo controletteratura, non sarà una letteratura al contrario, ma il contrario della letteratura”. Si tratta di un procedimento discorsivo a struttura circolare che si ritrova frequentemente nello stile controletterario. C’è da dire tuttavia che mentre la parola demestriana “controrivoluzione” ha un indubbio sapore politico e ideologico legato alle contingenze storiche, il concetto creato da Santacreu in realtà ne è del tutto privo. Infatti, più che di una “reazione”, qui si tratta di una “ri-creazione” e di una “ricapitolazione”, di un’operazione cioè, che è demiurgica e teurgica allo stesso tempo e che investe tanto il campo intangibile dello spirituale che quello simbolico delle lettere e delle arti. Si sarebbe potuto parlare anche di una pratica o di un fenomeno d’avanguardia, se non fosse per la profanità di un simile modo, mentre la vocazione della “contoletteratura” è quella di stare dentro il recinto del Sacro e più ancora, nel cuore stesso del suo Tabernacolo. Dal Cuore-Tabernacolo, dal Sacro Cuore fonte sorgiva della celebrazione Liturgica, ma anche dell’essere e della persona, sgorga infatti il discorso “controletterario”. Per esso, ogni parola pronunciata o scritta deve essere animata dallo Spirito se non vuole diventare “lettera morta” o “lettera che uccide”, come è avvenuto e avviene nella letteratura da due secoli a questa parte. Diciamo da due secoli, non perché non ci siano dei precedenti storici che anzi possono farsi risalire persino ad epoche remote, ma solo perché il termine “letteratura” è apparso per la prima volta nel 1787, segnatamente in “Ėlements de littérature” di Jean-François Marmontel. Farà notare acutamente Santacreu che letteratura e usura bancaria sono fenomeni sincronici (qui il rimando a Ezra Pound è d’obbligo e a lui –uno dei maestri riconosciuti della “controletteratura”- è infatti dedicato lo scritto “Mesure contro usure”). Scrive Santacreu: “l’attività simbolica della letteratura comincia in perfetta sincronia con il trionfo della rivoluzione borghese” (p.29).

Ora, nonostante la distanza siderale rispetto a tutti i movimenti d’avanguardia, anche la “Controletteratura” esordisce con un Manifesto: il “Manifesto della controletteratura” che chi vuole potrà leggere in francese e in castigliano sul sito omonimo o prossimamente tradotto in italiano sul “Corriere metapolitico”.

A gettare ulteriore luce su cosa sia la “controletteratura” provvede in una ispirata e chiarificatrice postfazione Matthieu Baumier che afferma: “la controletteratura è una poetica”, anzi è “avant tout” una poetica. L’atto controletterario è dunque atto poetico; la parola controletteraria è parola poetica. Si può anche dire che la controletteratura non è neanche più una forma di scrittura, ma piuttosto una modalità di accesso alla verità della Scrittura. Lo scrittore controletterario dovrà allora essere un vate, un poeta visionario, un prosatore-poeta, un alchimista. Sì, un’alchimista. Giacché la poesia è alchimia. La poesia rimanda al linguaggio originario, alla lingua degli uccelli, o come dice Santacreu, all’antica “lingua del santuario” del popolo ebraico, a quel linguaggio anteriore a tutti i linguaggi che era il “linguaggio adamitico”, la “lingua solare del Logos”, ossia la Parola del Verbo. Il poeta sarà allora colui che attraverso questo straordinario e privilegiato mezzo espressivo, si metterà all’opera per cercare di restaurare la verità del linguaggio (1). Scoprire nelle parole il Santo Nome di Dio: ecco questo è il compito più alto del Poeta. Compito eminentemente conoscitivo e iniziatico e diremmo letteralmente apocalittico, a cui è consacrato lo studio che si trova nella parte finale del libro di Santacreu con il titolo “La gnose du Nom nouveau”.

Ma a quali esempi e a quali generi il poeta e lo scrittore controletterario dovrà ispirarsi? Santacreu fornisce un ampio ventaglio di proposte letterarie nel quale sono comprese le Sacre Scritture, l’epica, la letteratura cortese graalica e cavalleresca, la Kabbalà, le leggende popolari, le opere letterarie dei grandi mistici come S. Teresa d’Avila o S. Giovanni della Croce, la letteratura del Sacro Cuore o autori come Stéphane Lupasco, Ezra Pound, Gèrard de Nerval, Novalis, Simone Weil, Joseph de Maistre, Antonin Artaud, Jerzy Grotowski, Paul Claudel, Henry Corbin, René Guénon, Louis Charbonneau-Lassay, Raymond Abellio, Jan Parvulesco. L’elenco è ovviamente parziale.

Chi si sente su questa ideale linea di pensiero –noi ad esempio, posto che possa interessare a qualcuno, lo siamo senza alcuna riserva- può cominciare a orientarsi leggendo “Au coeur de la Talvera”. Ma cos’è la Talvera? In parte si è già detto proprio sulle pagine di questo sito, ma forse sarà il caso di arricchire il quadro.

La Talvera è infatti una delle idee centrali della “controletteratura”, o come si esprime l’autore, “una delle virtualità metaforiche più pure della controletteratura”. Santacreu scopre questa misteriosa parola per caso, nel libro del sociologo francese Yvon Bourdet, “L’espace de l’autogestion (Galilée, 1979; opera tradotta in italiano con il titolo “Teoria politica dell’autogestione” (Nuove Edizioni Operaie, Roma 1977) e recepita soprattutto dagli ambienti anarco-sindacalisti. Yvon Bourdet l’aveva a sua volta ricevuta dal poeta occitano Jean Boudou che l’aveva usata come titolo di un suo poema apparso nel 1967 e il cui incipit suonava così: “C’est sur la talvera qu’est la liberté”.

Circa la provenienza e l’origine della parola, stando alle ricerche condotte dallo stesso Santacreu e dai suoi più stretti collaboratori, sembra che il termine sia comparso per la prima volta in ambiente contadino, nello spazio geografico occitano-romanzo dove si parlava la lingua d’oc nella sua variante provenzale e precisamente nella zona di Corbières (l’attuale comune francese dell’Aude). In senso stretto il suo significato sembra sia stato

“il luogo del campo da dove si può vedere tal-vera”, ovvero il luogo dove l’aratro gira, azione che in antica linguadoca è detta atornalhar. Secondo la definizione che ne ha dato il premio Nobel Frédéric Mistral: “bordo del campo, parte che l’aratro non può raggiungere, dove bisogna far girare i buoi”. Del termine “Talabira” si trova invece menzione nella Penisola iberica ai tempi dei conquistatori arabi e berberi provenienti dal Nord Africa (Maghreb) e dall’Oriente, e stava ad indicare un “avamposto” a nord dell’Andalusia, esattamente una “alcazaba”, vale a dire una fortezza. In seguito con “Talabira” si sarebbe indicato un passo di montagna strategico e cruciale situato tra Cordoba e Granada. In effetti, Tal-a-b(v)ira” è letteralmente “il luogo dal quale si può vedere”, ma anche la sospensione fra le due fasi della respirazione, il luogo (atopico) della pausa. A questo si aggiunga che la radice semitica “Tll” si trova ad esempio nel nome geografico Tel Sheva ovvero Tel Aviv e in ebraico “Tel” significa “zona leggermente sopraelevata”, come l’analogo arabo “Tal”. In seguito, per slittamento semantico questa radice è anche entrata nella stessa lingua francese a denotare, come nella paorla talus, una scarpata o un terrapieno.(2) Qui si ferma il discorso filologico ed etimologico. Per Santacreu, non si tratta solo di far rinascere la parola a nuova vita, ma anche di estrarne con vera arte maieutica e alchemica l’essenza o, dantescamente, il “sovrasenso”. E così “Talvera” diventa sinonimo, come nel poeta Jean Boudou, di “spazio di libertà”, un paradossale luogo-non luogo dove ritrovare il centro, il punto d’intersezione perpendicolare al Cielo e alla Terra, una sorta di jüngeriano “meridiano zero” dove ritrovare il senso significa anche ritrovare se stessi e ritrovare la realtà e il Centro metafisico da cui la realtà dipende. Talvera diventa così una parola-icona, materna in essenza, o come suggerisce l’autore, “mariale”. Una sorta di luogo-grammaticale femminile, dove far rinascere la parola perduta e far irrompere il Logos eterno. Abbiamo detto femminile e mariale allo stesso tempo, poiché il sentiero sul quale noi cristiani ci siamo incamminati porta inevitabilmente a Maria, Madre di Dio, Madre del Verbo, ma anche Madre del mondo futuro.

Un’ultima cosa a proposito dell’importanza del “femminile” in senso “mariale” nella controletteratura. Il libro di Santacreu è infatti dedicato a Germaine Cousin (1579-1601) anche detta “la Germaneta”. Di questa straordinaria mistica di cui si parla nel capitolo “L’hostie féminine de Dieu”, beatificata e fatta santa nel 1854 (lo stesso anno in cui fu proclamato il dogma dell’Immacolata Concezione), in Italia si sa poco o niente. Eppure questa meravigliosa creatura ha avuto molte cose in comune intanto con Mélanie Calvat, la pastorella delle apparizione de La Salette, (l’infanzia vittimale soprattutto), ma anche con Santa Teresa di Lisieux e in modo speciale con Roseline de Villeneuve (vergine e monaca certosina del XIV secolo, simile a sua volta alla nostra S. Rosa di Viterbo). La Germaneta condivide con santa Roseline un prodigio floreale nel quale secondo la leggenda popolare sono implicate le rose. Scrive a questo riguardo Santacreu: “Santa Germana e Santa Rosalina sono le due uniche sante che, in Francia, ‘drammatizzano’ il miracolo delle rose, leggenda ricorrente, veicolata dai pellegrini di San Giacomo di Compostella; ma qui bisognerebbe forse far appello alla geografia sacra della Francia” (p. 253). 

Una vera sorpresa questoAu coeur de la Talvera”. In realtà, un romanzo in forma di saggio; un libro poematico e pneumatico, sferico e labirintico insieme. A nostro giudizio, una delle proposte letterarie e speculative più interessanti generate dalla cultura tradizionale francese alle soglie profetiche del Terzo millennio.

Note

(1) Verità del Linguaggio (1974) è anche il titolo di un libro del nostro Attilio Mordini, autore autenticamente e pienamente “controletterario” e che ci permettiamo di suggerire all’attenzione dell’amico Santacreu. 

(2) Riporto come semplice curiosità il fatto che in Italia Talvera è il nome di un torrente (in tedesco die Talfer) che nasce nei pressi del Passo di Pennes nelle Alpi Serentine in Alto Adige e confluisce nel fiume Isarco a Bolzano. Quest’ultima è definita localmente “la città del Talvera” (in tedesco Talferstadt).

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