di Claudio Lanzi
Questo è forse uno dei testi più importanti di Izutsu, uno dei massimi studiosi delle due grandiose correnti meta-filosofiche d’oriente e d’occidente.
Il testo è brillantemente curato da Alberto de Luca e si avvale di una prefazione di Giangiorgio Pasqualotto che inquadra il pensiero e la originale figura di Izutsu in poche pagine di rara efficacia.
In effetti, per lo meno in Italia, Izutsu, uno dei massimi esponenti della storia della filosofia e della religione a livello mondiale scomparso nel 1993, è assai poco conosciuto. Si tratta di uno di quei “fenomeni” culturali che potremmo paragonare forse al nostro Filippani Ronconi, conoscitori di una spropositata quantità di lingue, tra le quali l’arabo, il sanscrito, il greco antico, oltre ovviamente al cinese, al giapponese e ad una ventina di lingue moderne, fra occidentali e orientali. Tale conoscenza ha consentito a questo accanito e profondo studioso delle forme antiche di pensiero, l’accesso “diretto” ad una immensa quantità di testi, senza la mediazione di traduzioni che spesso snaturano o interpretano gli originali. Ma la figura di Izutsu si distingue fortemente da quella di tanti altri studiosi, soprattutto per il suo approccio “metastorico”, e metafilosofico, come correttamente lui stesso si impegna a spiegare.
Izutsu non si è fatto assolutamente condizionare da quella posizione laica e moderna che tenta di inscatolare costantemente anche il pensiero filosofico nei confini della razionalità, come quello “zen” o quello taoista o quello sufi, in un approccio “neutrale” e positivista, ma non ha mai temuto di affrontare l’”oltre”, spiegando nei termini filosofici consentiti dal linguaggio, ciò che dei colossi come Lao Tzu o Ibn Arabi hanno spesso mediato “sotto il velame delli versi strani”
Izutsu delinea i contorni di una “metafilosofia”, definendone la semantica per rendere possibile una comparazione tra filosofie con differenti origini storiche. In tale coraggiosa avventura partecipa, più o meno volontariamente, a “sdoganare” il pensiero di Guénon, di Corbin o di tutti coloro che hanno parlato di una “Philosofia perennis” o di una “Religio perennis”, da quell’ostracismo (e provincialismo) accademico, che ha sempre avuto grandi difficoltà nel digerire una “mistica” all’interno di una filosofia (o se vogliamo un “sovrarazionale” al di la di un “razionale”).
In questo testo (540 pagine) Isutzu esamina il pensiero taoista di Lao Tzu e di ChuangTzu, confrontandolo con i principi ontologici di Ibn’ Arabi (l’opera principale di riferimento sarà “I Castoni della Saggezza”, ovvero i Fusùs al Hikam) e con i commenti di al Qashani.
I due assunti principali messi a confronto sono: l’Assoluto (o la Verità, o la Realtà, in Ibn ‘Arabi detto al-haqq) messo a confronto con il Tao; e l’Uomo Perfetto (per Ibn ‘Arabi detto al.insàn al kàmil) confrontato con l’Uomo Sacro o Santo (shèng jèn per il Taoismo).
In tale opera di confronto Isutzu mette in evidenza una incredibile quantità di similitudini rispetto alla concezione dell’”essere”.
Vogliamo estrapolare due citazioni di Isutzu. La prima tratta appunto dai “Castoni” :
“Gli uomini sono addormentati (in questo mondo); solo al momento della morte si svegliano”…
“Il mondo è illusione, esso non ha esistenza reale e questo è quello che s’intende per “immaginazione” (khayàl). Perciò tu immagini che esso (il mondo) sia una realtà autonoma, del tutto diversa e indipendente dalla realtà assoluta, mentre in verità, non è nulla di tutto ciò: Sappi che perfino tu stesso altro non sei che immaginazione. Tutto ciò che percepisci e che discrimini con le parole “quello è altro da me” è anch’esso immaginazione. L’intero mondo dell’esistenza è quindi immaginazione nell’immaginazione”
A questo punto scatta ovviamente il problema di “come svegliarsi” e se sia possibile che questo accada e dove vada cercata quella “Realtà” assoluta nascosta nel Sogno.
Passando a Chuang Tzù, Isutzu cita questa straordinaria “storia”
“Un uomo beve vino, in sogno e, piange e al mattino (al suo risveglio) geme. Un uomo piange in un (triste) sogno ma al mattino si leva e va a caccia gioiosamente. Mentre sta dormendo egli non è conscio di star sognando; egli prova anche (nel sonno) ad interpretare il suo sogno. Solo allorché si desta dal sonno egli realizza di aver sognato. Analogamente, solo quando sperimenta un Grande Risveglio, si realizza che tutto questo non è altro che un grande sogno. Ma gli sciocchi immaginano di essere effettivamente svegli. Illusi dalla loro meschina intelligenza, costoro si considerano sufficientemente capaci di valutare ciò che è nobile da ciò che è ignobile. Quanto profonda ed irrimediabile la loro stupidità.
In realtà, invece, tu ed io siamo sogni. Si, il fatto stesso che io ti stia dicendo che tu stai sognando è anch’esso un sogno!
Questo genere di affermazione rischia di essere classificato come bizzarro sofisma (ma così appare propriamente perché rivela la verità), ed un grande saggio, in grado di penetrarne il mistero, possiamo aspettarci in questo mondo ogni diecimila anni.”
Abbiamo estratto queste due citazioni dal libro di Isutzu, non perché siano assolutamente esaustive della vastità dei temi trattati ma perché, a nostro avviso, costituiscono il punto di partenza di quella che, mediando dal buddismo, ci permettiamo di definire “dottrina del risveglio”.
Sia nel Sufismo come nel taoismo per raggiungere il “centro” di se è necessario fermare l’attitudine “centrifuga” della mente e portarla a sprofondare, ad implodere in se stessa. Ovviamente sia in una dottrina che nell’altra viene proposta una “metodologia”. Metodologia che non va confusa con il conseguimento stesso. Proprio per questo è interessante il confronto che Isutzu propone fra i tre “stadi” di “purificazione” proposti sia da Chuang Tzù che da Ibn’Arabi, che pervengono ad una illuminazione in cui tutti i livelli di realtà “relativa” vengono riunificati nell’unità della non coscienza. L’Uno metafisico, per l’Uomo Perfetto del Taoismo e del Sufismo, testimonia e riflette nella mente pacificata, il mondo fenomenico policromo (o i Nomi della Realtà) senza mai esserne turbato.
Il “Mistero dei Misteri”, sia nel sufismo che nel Taoismo appare quale fondamento dell’Esistenza. E’ qualcosa che, per Ibn ‘Arabi, trascende ogni qualificazione concepibile. E’ trascendente e perciò inconoscibile. Per tale ragione la definizione di tale stadio di Esistenza, soprattutto nel taoismo è in negativo (in modo analogo a quanto svolto dall’apofatismo vedantino o anche dalla mistica cristiana, soprattutto renana).
L’Esistenza, in tale ottica, appare quale frutto del lavoro incessante della “Via”, che “soffia” costantemente la sua necessità di “portare all’esistenza il mondo”. Tale atto, rileva Izutsu sembra, totalmente privo di misericordia nella visione taoista mentre sembra animato da una “benevola elargizione” da parte del Sufismo. Izutsu fa invece notare come trattarsi, in entrambi i casi, di una Misericordia ontologica assolutamente gratuita, coincidente con la incessante attività creativa dell’esistenza, assolutamente svincolata dal raggiungimento di uno scopo umanamente ed emozionalmente comprensibile. L’emozione umana risulterebbe un limite ala imparzialità divina. L’assoluta imparzialità divina si estende perciò ad una dimensione al di la della conoscenza del bene e del male. Cioè ad una condizione che, in una metafisica cristiana, potremmo definire “pre-edenica”.
Riportiamo l’efficace considerazione con cui si chiude il testo di Izutsu:
“E’ degno di nota che, né nel Sufismo né nel Taoismo, la discesa ontologica dal Mistero dei Misteri allo stadio delle cose fenomeniche, è posta a rappresentare il compimento finale dell’attività dell’esistenza. La discesa è seguita dal suo opposto, cioè l’ascesa. I “diecimila esseri” fioriscono rigogliosamente all’ultimo stadio del corso discendente, per prendere quindi un corso ascendente verso la loro fonte primigenia, fino a scomparire nell’originale oscurità, trovando il loro luogo di pace nella tranquillità cosmica pre-fenomenica. L’intero processo della creazione forma dunque un immenso cerchio ontologico, in cui non è dato in realtà un punto iniziale e finale. Il movimento da uno stadio all’altro, considerato in sé, è certamente fenomeno temporale ma l’intero cerchio, non avendo punto iniziale né finale, costituisce un fenomeno trans-temporale o atemporale: è, in altre parole, un processo metafisico. Ogni cosa è attuale in un eterno presente.”
"Ogni cosa è attuale in un eterno presente" ... Mi trovo perfettamente d'accordo con la chiusa di Izutsu. Ringrazio vivamente il dott. Claudio Lanzi ed il dott. La Fata per questo prezioso suggerimento di lettura. Pietro
RispondiEliminaA volte mi domando se tanti intelletti (sani?) che speculano su questo e su quello, che discettano di metafisica, di esoterismo, di teologia, di religioni comparate, abbiano mai sperimentato quanto asseriscono. Se hanno mai provato a sperimentare la quiete, l'estasi, l'ananda. Da anni leggo belle compilazioni di testi sacri antichi re-interpretati, analizzati, sviscerati, con formulazioni ben scritte; eppure ben pochi prima vivono e poi lo raccontano. Ben pochi mettono in gioco tutto, casa, lavoro, gratificazioni accademiche, per raggiungere il Regno di Dio, costi quel che costi. Pochi e potrei fare un breve elenco di quelli che hanno vissuto l'estasi in questo secolo:
RispondiEliminaThomas Merton, Giovanni Vannucci, Ivo Barsotti, Sri Aurobindo, Rebbe di Lubavitch, Silvano Panunzio, Massimo Scaligero, padre Pio, padre Theodossios Maria della Croce, Pavel Florenski. E cito quelli conosciuti soltanto.
Ringrazio Pietro ed Angelo per i commenti. Ad Angelo dico: io penso che la maggior parte delle persone che oggi si occupano di Tradizione, religione, spiritualità, esoterismo come dici tu o che ne scrivono, più che conoscere e sperimentare quello di cui parlano, ne hanno solo un vago ed evanescente presentimento. Passioni, risentimenti, interessi terreni, vizi prevalgono senz’altro sulle virtù e sulla santità e senza dubbio sono pochissimi quelli che si trovano alle altezze speculative e realizzative di un S. Tommaso o di un S. Bernardo, di uno Shankara o di un Abhinavagupta. Ma non credo che si debba sottovalutare il ruolo e l’importanza provvidenziale dei molti “grammatici”. Sono proprio questi ultimi che di solito riescono a raccontarci con scrupolosa accuratezza l’esperienza dei santi o chessoio il significato della santità. Se fosse la santità o l’esperienza mistica o metafisica ad autorizzarci a parlare delle “cose di Dio”, allora penso proprio che dovremmo chiuderci più o meno tutti nel più assoluto mutismo.
RispondiEliminaEzra Pound si azzittò per anni, ed era un fior di poeta e grammatico. I custodi della Luce, hanno vissuto la realtà del Divino partecipandovi come ad una vicenda interiore che, offerta ad ogni uomo, conduce alla liberazione dal disordine. Le formulazioni teoriche delle possibilità di ascesa che l'uomo ha, lasciano il tempo che trovano. La conoscenza sperimentale è tutto, altrimenti di cosa parliamo? Silvano Panunzio, un grande, è riuscito a vivere nello spirito e poi a raccontarlo, ma non domo ha pure attaccato la penna al chiodo per brandire la spada. Ecco, questo è l'esempio fulgido di un amante di Cristo, uomo di fede e conoscenza, l'esatto equilibrio. Che Dio ci aiuti.
RispondiEliminaCaro Angelo, perché mai vuoi che chi scrive di cose alte pur essendone indegno, deponga la penna? Stai forse dicendo che se gli eruditi smettessero di scrivere di questioni alte, ne trarremmo tutti gran giovamento? Posso garantire che questa non sarebbe stata né la posizione di quel Gesù che tu dici di amare, né quella di quel Panunzio che tu dici di ammirare e che io ho frequentato per 25 anni arrivando a conoscerne a fondo il pensiero. Non farei fatica a riferirmi agli insegnamenti dell’uno o dell’altro per smentirti. Quella che tu sollevi poi è la vecchia polemica che oppose per molti secoli francescani a domenicani e che si ricompone nella posizione equilibrata e centrata di un Dante. Non c’è dunque che da rileggere la “Divina Commedia” e in particolare le cantiche del Paradiso per venirne a capo. In conclusione amico mio devo dunque smentirti: non sarà la “conoscenza sperimentale”, né i carismi soprannaturali o preternaturali che ci salveranno; né le visioni, né i viaggi astrali o i voli sciamanici, ma solo…Amore e cioè “virtute e conoscenza”. Ma mi rendo conto che forse è più facile varcare una “porta dimensionale” che vivere pienamente la dimensione dell’Amore.
RispondiEliminap.s. Mi perdonerai se stavolta anziché usare il fioretto ho brandito lo spadone medievale, ma confido nella tua proverbiale capacità di comprensione.
Caro Aldo, così tiri fuori anche tu lo spadone. Bene. La dimensione dell'amore, come tu ben sai, è potenza brama armonia energia ardore coraggio fuoco unitività apertura solve-et-coagula. L'amore penetra il continuum spazio-tempo, viaggia dentro e fuori. L'amore è esperienza, è provare, attrarre, fondersi con l'altro e col tutto. Io così lo concepisco e vivo. Amore è amare Dio e la Creazione e il prossimo. L'amore è Rosa+Croce. La conoscenza, quella vera, è amore. Quindi, non mi smentisci. Anzi.
RispondiEliminaCaro Angelo,
RispondiEliminaschematicamente e in breve: voi eretici (permettimi di definirti così, con simpatia e senza alcuna acrimonia), avete l’abitudine di usare la mazza chiodata con noi “cattolici ortodossi” (permettimi di definire così la posizione del nostro blog), ma poi vi lamentate se per “legittima difesa” noi mettiamo mano allo spadone di medievale memoria. Comunque, mi sembra che tu non abbia risposto alla mia obiezione ma semplicemente ribadito la tua idea. Lasciami dire che io non “scommetterei” su una fede senza un adeguato e solido supporto teorico (credo sia questo l’argomento). Tu insisti sull’inutilità e persino sulla pericolosità dei “discorsi teorici” e fai quasi intendere che essi possono mettere a repentaglio la Verità. Vorrei farti solo notare che solo la teoresi ci consente di vagliare e discriminare il vero dal falso. Nel mondo esistono decine di migliaia di sette con milioni di proseliti; una di esse era quella che giunse all’automassacro in Gujana; altre praticano il delitto sacrificale; altre, come quella del coreano Moon, fanno migliaia di miliardi predicando il nuovo avvento di Cristo; e le sette dei pentecostali, dei simbionesi, dei sinaniti sono almeno altrettanto pericolose. Se togli la “teoresi”, quella che si è venuta perfezionando in migliaia di anni sulla base delle indicazione date dalle Scritture, dei santi, dei risvegliati, degli illuminati e del “liberati in vita” – per il tuo godimento li metto tutti nello stesso sacco-, quelle che trovi spiegate e delucidate in libri come quello consigliato nel “post” che stiamo commentando e che per te non vale nulla, avrai la religione del rev. Jones della Gujana, o qualcosa di molto simile alla religione professata dai mussulmani fondamentalisti a là Usama bin Laden, alla religione dei Battisti che professano il razzismo o a quella della grandissima maggioranza dei vescovi protestanti che ancora al principio della guerra diedero il loro assenzo a Hitler. Insomma, caro Angelo fuori dalla Teoresi non troverai altro che la credulità, il feticismo o la pura stupidità. Quanto ai movimenti new age con il loro sedicente umanesimo anticristiano e anticristico che anche tu ogni tanto blandisci bonariamente, io preferirei stendere il classico velo pietoso.
Detto questo, mio caro Amico, ti abbraccio fraternamente e ripongo lo spadone nell’apposita guaina.
Non ritengo inutile il libro da te proposto nel blog. Comprendo bene la necessità di una dottrina, perbacco. La mia è una critica contro l'appiattirsi su dottrine, comparazioni e sintesi che possono disorientare più che chiarire, ispessire più che render sottile la mente. Non mi offendo se mi dai dell'eretico, purché non usi l'accendino, sai visti i precedenti, meglio attrezzarsi con secchi d'acqua. Gioco, ovviamente. Ma se il Regno è dentro di noi - e non lo dico io - se la Fonte di Vita alberga nel profondo del nostro cuore - dottrina di Cristo - poco o punto potranno fare i migliori cervelli, con le loro cervellotiche teoretiche; poco o punto potranno mai servire i corollari filosofici e teologici, se non ci immergiamo - conoscenza dell'esperienza - nel profondo oceano della nostra anima. Se apriamo il cuore - amore - vedremo e udremo. So per pratica che si incontrano trabocchetti, sabbie mobili, tentazioni, miraggi. Il viaggio è tosto assai e qualche base dottrinaria è utile, certo, come bussola per orientarci su mari in tempesta.
RispondiEliminaIo riproduco internamente il Volto di Cristo e non credo di praticare la new age. Qui non si tratta di passare dalle passioni alla continenza, dal peccato alla grazia, ma di passare dal timore all'amore. Conosco, caro Aldo, le tenebre e la loro serpentina seduzione. La propaganda del diavolo è ben convincente per i meno scaltri. Si serve, il tentatore, pure di filosofie ben formulate, avvincenti, in un sincretismo alla Zolla. Di esoterismi ben assestati, con una loro coerenza interna. Ma abbiamo pure una vocazione innata ad ascendere, basta seguirla come stella polare.
Te lo dice uno che di libri sulla metafisica, la teologia, la storia delle religioni, ne ha masticati tanti, bussando pure alla porta di eruditi, maestri veri e presunti, guru veri - pochi - e presunti - tanti. Poi, con la preghiera del cuore, raggiungendo il silenzio dopo sovrincisioni di rumori di fondo, ho sfiorato la pace... e Gesù.
Se sono eretico - bontà tua - Cristo mi salverà, perché amo tanto.
Devo ringraziarti ancora Angelo per i tuoi interventi sempre stimolanti anche se "provocatori". Per lo meno mi consenti di fare chiarezza sulle nostre posizioni e, credo, a tutto vantaggio di quanti (bontà loro) ci seguono e ci leggono. Di solito non mi piace prendermi l'ultima parola (non lo trovo corretto anche se ne avrei il diritto) e preferisco lasciarla al mio interlocutore. Al più ringrazio e mi accomiato. Ma in questo caso proprio non resisto e devo in amicizia farti presente che la nostra capacità di amare è sempre insufficiente e che quindi la nostra salvezza non dipenderà mai dalla misura del nostro amore ma dall'immensa misura dell'Amore di Dio. Ne convieni? Poiché Dio può anche avere in simpatia gli eretici, ma credo che non sopporti i presuntuosi. Abbraccio
RispondiEliminaColpito e affondato. Mi sta bene. Grazie Aldo.
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