Johann Peter Eckermann arrivò a Weimar nel giugno del l823, dopo aver percorso a piedi le strade polverose ed assolate che da Hannover conducevano nella Turingia. Pochi giorni dopo, venne invitato al Frauenplan, dove Goethe abitava. Salì l´ampia scala neoclassica, si aggirò tra i saloni illuminati, coperti di quadri e di stampe, ammirando i grandi busti di Giunone e di Antinoo e la copia delle Nozze Aldobrandini. Per la prima volta nella sua vita il modesto, poverissimo letterato sedeva accanto ai principi di questa terra: scrittori famosi, signore eleganti e pianiste alla moda che, come lui, raccoglievano nei loro taccuini le parole sublimi o insignificanti lasciate cadere dal nume di Weimar.
Ma Eckermann non amava gli splendori dei ricevimenti ufficiali; e preferiva raggiungere il piccolo studio presso il giardino, dove poteva discorrere da solo con la sua " infallibile stella polare". Sedeva vicino a Goethe in "tranquilla, amorevole conversazione". Con le ginocchia sfiorava le ginocchia di Goethe: i suoi occhi non si saziavano di guardare "quel volto robusto, bruno, pieno di rughe": le sue orecchie ascoltavano parole lente e posate, simili a quelle di un monarca carico d´anni; e si sentiva indicibilmente felice "come chi, dopo molte fatiche e lungo sperare, vede finalmente soddisfatti i suoi desideri più cari". Così, trascorsero quasi nove anni, durante i quali Eckermann rinunziò a vivere la propria esistenza. Candido, sensibile, infinitamente ricettivo, dotato di un´intelligenza calma e raccolta, si lasciò possedere da quell´immensa forza, che si agitava vicino a lui. La accolse nel suo spirito con una fedeltà devota e amorosa: ne assorbì le ultime, incomprensibili complessità; e persino il Faust II gli rivelò dei segreti che rimasero nascosti ad interpreti tanto più acuti e presuntuosi di lui (Johann Peter Eckermann, Conversazioni con Goethe negli ultimi anni della sua vita, a cura di Enrico Ganni, traduzione Alda Vigliani, prefazione Hans-Ulrich Treichel, Einaudi, pagg. 708, euro 85).
Quando Goethe morì, Eckermann rimase a Weimar. Continuò la sua solita vita. Catalogava le collezioni di Goethe: ordinava e preparava per la stampa, insieme a Riemer, i libri e gli scritti ancora inediti. Dava lezione di inglese al principe Carlo Alessandro: qualche volta era invitato a corte dal figlio di Carlo Augusto. Ma a Weimar, dopo che Goethe l´aveva lasciato, si sentiva in esilio. Tutta la forza, la gioia, l´amore e i desideri avevano abbandonato il suo spirito; e l´esistenza pesava su di lui come un incubo. Quasi solo, tristemente chiuso in sé stesso, si abbandonava alle proprie passioni infantili. Passeggiava tra le campagne e tra i boschi insieme a dei giovani amici: tirava con l´arco: studiava le mude delle capinere, dei merli gialli e dei rigogoli, gli strani costumi dei cuculi, il canto molle, malinconico, simile al suono del flauto, di certe allodole solitarie. Aveva trasformato sua stanza in un piccolo zoo, dove si aggiravano liberamente i giovani falchi, le upupe, gli sparvieri, un cane da caccia e una martora .
Passarono dei lunghi, intollerabili mesi, nei quali nessun ricordo aveva la forza di germogliare e di fiorire dentro di lui. Dopo giorni di abbandono e desolazione, Goethe gli apparve in sogno. Portava un cappotto scuro e aveva il volto fresco e colorito di chi vive all´aria aperta. "La gente pensa" gli disse Eckermann sorridendo "che Lei sia morto. Ma io ho sempre detto che non è vero; e ora con grandissima gioia vedo che avevo ragione. Non è vero, che Lei non è morto?" "Che sciocchi" rispondeva Goethe guardandolo ironicamente "morto? Perché mai dovrei essere morto? Sono stato in viaggio: ho veduto molti uomini e molti paesi. L´anno scorso ero in Svezia".
Consolato da questi sogni, durante il giorno Eckermann riusciva a scendere indisturbato nelle profondità della memoria. Il passato riaffiorava con i colori più freschi: vedeva di nuovo Goethe come se fosse vivo; e ascoltava il caro suono della sua voce . "In una giornata di sole, sedeva in carrozza accanto a me, con indosso la finanziera marrone e il berretto di panna azzurro, il mantello grigio chiaro posato sulle ginocchia. La carnagione abbronzata spirava salute, come l´aria fresca. Le sue parole intelligenti risuonavano all´intorno, coprendo il rumore delle ruote. Oppure mi rivedevo nel suo studio la sera, alla luce fievole della candela, lui seduto di fronte a me al tavolo, nella sua vestaglia di flanella bianca, la dolcezza d´animo di chi ha alle spalle una giornata ben trascorsa. Parlavamo di argomenti importanti ed elevati, e lui mi rivelava quanto di più nobile c´era nella sua natura; il mio spirito si infiammava al contatto con il suo. Tra noi regnava la più profonda armonia; mi porgeva la mano al di sopra del tavolo e io la stringevo. Poi magari afferravo il bicchiere colmo che mi stava davanti e bevevo alla sua salute senza dire una parola, mentre il mio sguardo riposava nei suoi occhi al di sopra del vino".
In quegli anni, quante altre persone cercarono di rievocare Goethe vivente! Grandi uomini di stato conservatori e oscuri studenti nazionalisti: geologi, filologi classici, storici, attori, violinisti, archeologi, astronomi, tenori e giuristi hegeliani: pittrici leziose e dame pettegole: gentiluomini russi ed inglesi: giornalisti francesi, ebrei di Boemia: Heine e Grillparzer, Mendelssohn e i fratelli Grimm, Schopenhauer, Alessandro Poerio e Mickiewicz – messaggeri di tutte le parti del mondo erano giunti a Weimar: avevano parlato con Goethe per qualche ora; e adesso risfogliavano i loro taccuini rielaborando antiche impressioni. Molti non avevano compreso nulla: qualcuno ricamava fantasticamente le parole di Goethe: qualche altro, che si era avvicinato "col batticuore e la testa cinta di nebbia", ricordava soltanto dei gesti senza importanza. Ma tutte queste testimonianze sono egualmente preziose. Il vecchio Goethe deve essere conosciuto così, attraverso mille echi e riflessi quasi anonimi, come se la sua forza preferisse manifestarsi e irradiarsi sopra tutti gli esseri umani.
(Autore: Pietro Citati - 01/08/2008 Fonte: La Repubblica)
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