
D’accordo, ma è anche vero che è stata proprio la Chiesa, con il Concilio Vaticano II, a tagliare i ponti con il latino.
“Ho fatto il liceo presso la Compagnia di Gesù e sin da ragazzino non ero affatto convinto dei ragionamenti in favore dell’italiano nella liturgia. Notavo che mia nonna, che aveva un’istruzione molto limitata e faceva fatica persino a leggere il giornale, coglieva anche le sfumature della liturgia latina, perché era una lingua di grandissima forza e intensità e chiarezza di concetti interni. È stato un errore madornale tradurre la liturgia: tra l’altro si vedono i risultati nello scadimento culturale del clero”.
Torniamo alla scuola. Dunque, il latino non va toccato neanche nei licei scientifici?
“Nonostante tutto il bla-bla progressista del passato, il latino è una grande scuola di formazione. Non è solo il “rosa, rosae”, ma una disciplina mentale... È un grande esercizio di mnemotecnica: la perdita di abitudine nell’esercitare la memoria ha già provocato danni immani sul piano degli strumenti e delle potenzialità culturali dei ragazzi. La nostra scuola è stata vittima dei sociologi e degli psicologi, che con i politici e i sindacalisti hanno rovinato l’Italia. In nome di un malinteso senso di libertà, i sociologi degli anni Sessanta dicevano che non bisognava sottoporre i ragazzi a troppi sforzi in nome di uno sterile nozionismo. Mi dicevano che oggi i giovani medici non ricordano i nomi dei farmaci: sicuramente hanno studiato male il latino e il greco. La sudditanza al mondo americano ci fa pensare che il linguaggio scientifico sia oramai solo inglese. Non è vero, il nostro linguaggio scientifico è ancora legato a Linneo”.
D’accordo sul bla-bla progressista, però non è che le famose tre I del centrodestra guardassero molto all’educazione classica: Inglese, Impresa, Internet.
“In effetti delle tre I non si è visto nulla. Forse un po’ di impresa, ma per il resto... L’inglese rimane pessimo nelle scuole e i computer spesso restano imballati nei sottoscala. Le lingue vive ormai si imparano sul posto o con i mezzi audiovisivi, basta un po’ di pratica. Niente a che vedere con il rigore che si impara studiando il latino. Dire che il latino, essendo una lingua morta, è inutile, è un insopportabile conformismo che per fortuna oggi va un po’ dileguandosi. Voglio sperare che il governo di destra non faccia scherzi, anche se non mi meraviglierebbe, visto che ha la tendenza a correre dietro agli Stati Uniti”.
Ma il supino che cosa può dire a un ragazzino del Duemila? Non sarebbe bene mollare un po’ sulla lingua e insistere sulla civiltà e sulla cultura?
“Nella scuola di oggi ci sono delle porcate assolute, come il debito formativo, che rovinano moralmente le giovani generazioni e le rendono incapaci di articolare un pensiero. So benissimo che quando una disciplina viene derubricata, a poco a poco finisce per sparire: è inutile aggirare o negare le difficoltà traducendo in pillole una struttura linguistica rigorosissima, di estrema bellezza e armonia interna, magari sostituendo lo studio della lingua con notiziole su come vivevano i romani, su come mangiavano, su come facevano la guerra e l’amore”».
(Fonte: il Corriere della Sera del 15/05/2008)
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