È uno degli autori indispensabili per orientarsi in questo primo scorcio del XXI secolo. Uno scrittore tutt’altro che rassicurante, è vero, ma dei suoi libri è sempre più difficile fare a meno.
Anche se, per una bizzarra congiuntura editoriale, nel nostro Paese l’opera di Aldous Huxley è attualmente disseminata in cataloghi diversi. I titoli di maggior richiamo sono rimasti alla Mondadori, che di recente ha riproposto in anastatica la prima versione italiana de Il mondo nuovo, apparsa nel lontano 1933. Però, se si vuole rileggere Giallo Crome (il giovanile romanzoconversazione che anticipa la pessimistica profezia di una società asservita all’ingegneria genetica) ci si deve rivolgere alla raffinata Mattioli 1885. La raccolta completa dei racconti è ospitata in un corposo tascabile Baldini Castoldi Dalai, mentre nel 2007 è toccato al Castoro presentare al pubblico italiano I corvi, la favola che Huxley scrisse nel 1944 per la nipotina Olivia.
In una simile panorama di dispersione, non stupisce più di tanto che una casa editrice finora apprezzata per l’esplorazione di tutt’altre latitudini letterarie, la romana Cavallo di Ferro, decida di riproporre I diavoli di Loudun
( nella traduzione di Matteo Ubezio), uno dei testi più controversi e in gran parte fraintesi nella lunga carriera di Huxley. Pubblicato originariamente nel 1952, questo studio storicobiografico sul Seicento francese è conosciuto più che altro per la corrusca versione cinematografica diretta da Ken Russell nel 1971 e tratta dal dramma firmato nel 1960 da John Whiting. Il quale, pur attingendo a piene mani al lavoro di Huxley, ne modificò in modo considerevole la prospettiva, insistendo sull’elemento di oppressione politica e di conseguente rivolta libertaria che, in realtà, è pressoché assente nel testo di partenza.
Nato nel 1894 nel Surrey e morto nel 1963 a Los Angeles, Huxley apparteneva a una delle famiglie più in vista dell’élite intellettuale britannica. Dapprima poeta, poi narratore e saggista, nella seconda metà degli anni Trenta si era stabilito negli Stati Uniti, tentando senza successo la carriera di sceneggiatore ad Hollywood. In compenso, nell’ambiente cosmopolita e disinvolto della Costa occidentale Huxley trovò più di un’occasione per approfondire le sue ricerche sulla « filosofia perenne » , alle quali si era dedicato dopo aver superato l’iniziale visione scettica e materialista dell’esistenza. Certo, lo spiritualismo di Huxley può oggi apparire ambiguo, così come niente affatto condivisibile - per quanto sintomatico - risulta il suo entusiasmo per le esperienze indotte dall’Lsd, testimoniato nel celebre saggio Le porte della percezione. Eppure Huxley ebbe il merito di fornire, in anni pesantemente condizionati da ideologie contrarie, un’immagine non unidimensionale dell’essere umano, dimostrandosi capace di distinguere con equilibrio anche in una materia delicata come quella affrontata nei
Diavoli di Loudun. Si tratta del celebre processo per stregoneria intentato nel 1634 contro il parroco della città francese, Urbain Grandier, finito sul rogo in seguito alle accuse mosse dalla superiora delle Orsoline locali, suor Jeanne des Anges, che si proclamò da lui indemoniata trascinando le consorelle in un parossismo di autosuggestione e abbrutimento. Pur rimanendo fedele alla sua posizione antidogmatica, Huxley evita di condannare l’intera istituzione ecclesiastica e si sofferma al contrario sull’inatteso percorso di conversione spirituale affrontato da Grandier alla vigilia del supplizio. Le pagine dedicate al radicamento trinitario dell’autentica esperienza mistica rivelano, tra l’altro, una comprensione profonda della tradizione teologica cristiana. Che Huxley abbia poi scelto di non aderirvi è un altro discorso, sul quale ci si potrebbe soffermare meglio se qualche altro editore italiano volesse rendere di nuovo disponibile
L’eminenza grigia, il libro del 1941 che precede e in ampia misura integra le riflessioni poi sviluppate nei Diavoli di Loudun (Cavallo di Ferro. Pagine 400. Euro 18,50).
(Autore: Alessandro Zaccuri)
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