25/02/17

René Guénon prêt-à-porter







            Il caro amico Alain Santacreu ci segnala dal suo sito CONTRELITTÉRATURE, l’interessante recensione dedicata a un numero speciale del periodico francese “Vers la Tradition”, dedicato ai rapporti tra l’opera di René Guénon e il cosiddetto “terrorismo islamista”. La rivista, fondata dal compianto Roland Goffin, ha affidato lo scottante argomento alle cure di Jean-Louis Gabin, autore di cui qui sul “Corriere metapolitico” abbiamo già avuto modo di parlare in passato (1).

            Secondo Gabin, i guénoniani convertiti all'Islam, compresi i “sufi” di nazionalità francese, pur di dimostrare la legittimità dottrinale dell’espansionismo islamico avrebbero impugnato l’opera di René Guénon distorcendone il significato. Come? Sostenendo la tesi, ovviamente funzionale al successo mondiale dell’Islam, di una sua provvidenziale capacità di assimilare a sé tutte le altre religioni tradizionali.

            Nel saggio "I Misteri della lettera Nûn", Guénon spiegava che “il compimento del ciclo, quale noi l’abbiamo considerato, deve avere una certa correlazione, nell’ordine storico, con l’incontro delle due forme tradizionali che corrispondono al suo inizio e alla sua fine, e che hanno rispettivamente come lingue sacre il sanscrito e l’arabo: la tradizione hindù, in quanto rappresenta l’eredità più diretta della Tradizione Primordiale, e la tradizione islamica, in quanto ‘sigillo della Profezia’ e, di conseguenza, forma ultima dell’ortodossia tradizionale per il ciclo attuale” (Simboli della Scienza Sacra, Ed. Adelphi, Milano 1978). Secondo Gabin queste parole di Guénon sarebbero state fraintese deliberatamente in particolare da Michel Vâlsan che cercò di far passare una loro lettura in chiave escatologica. Nel suo "Il Triangolo dell'androgino e il monosillabo Om" (2), Vâlsan formula l’idea che alla fine dell’attuale Ciclo, hinduismo e cristianesimo saranno riassorbiti dall’Islam. Orbene, una simile ipotesi secondo Gabin, si configura come un tradimento dell’idea di “unità trascendente delle religioni” di Guénon e cerca di far passare il suo pensiero come una forma di esclusivismo religioso essoterico che in verità gli fu del tutto estraneo.
La prova o “canna fumante”, la troviamo nell’imponente corrispondenza di Guénon dove il nostro mostra di avere una totale indipendenza intellettuale nei confronti dell’Islam. In particolare, Gabin cita lo stralcio di una lettera di Guénon all’amico Louis Caudron d'Amiens, del 27 giugno 1936: «La restauration initiatique en mode occidental me paraît bien improbable, et même de plus en plus comme vous le dites ; au fond, du reste, je n’y ai jamais beaucoup compté, mais naturellement je ne pouvais trop le montrer dans mes livres, ne serait-ce que pour ne pas sembler écarter a priori la possibilité la plus favorable”.
Purtroppo, fa giustamente notare Santacreu, Gabin omette di riportare il passaggio successivo della medesima lettera, dove Guénon aggiungeva: “Pour y suppléer, il n'y a pas d'autre moyen que de recourir à une autre forme traditionnelle, et la forme islamique est la seule qui se prête à faire quelque chose en Europe même, ce qui réduit les difficultés au minimum.»
Insomma, a quanto pare siamo alle solite: tutti o quasi gli “interpreti” di Guénon hanno il vizietto di strapazzarne le idee, approvandole o disapprovandole non in base al loro reale contenuto, ma sulla base di una troppo sovente superficiale e approssimativa lettura. Senza escludere le omissioni interessate di cui anche Gabin è responsabile. 

(2) Michel Vâlsan, «Le Triangle de l’Androgyne et le monosyllabe "Om"» , Études Traditionnelles, 1964-65 ; ripreso in «L’Islam et la fonction de René Guénon», Éditions de l’Œuvre, 1984, pp. 126-144. 

21/02/17

La "filosofia interculturale" di Giuseppe Cognetti


di Antonello Colimberti

“Filosofia interculturale” è un termine che di primo acchito può rimandare ad una nuova branca disciplinare, sicuramente innovativa e à la page, come ne sorgono incessantemente al giorno d’oggi, incrementando ulteriormente la frammentazione del sapere in una molteplicità di specialismi. Ma non è così.
“Filosofia interculturale” è invece il termine più adeguato con il quale indicare una diversa prospettiva, attraverso la quale osservare il mondo d’oggi (ma anche quello di ieri), al di là dell’oggetto che cade sotto il campo di osservazione. Con un altro sguardo. Piccola introduzione alla filosofia interculturale (Donzelli Editore) è proprio il titolo del volume con il quale Giuseppe Cognetti, docente di Storia della filosofia e Filosofia interculturale contemporanea presso l’Università di Siena, ci presenta questo nuovo paradigma culturale, il solo adeguato ai difficili e confusi tempi che viviamo, come dichiara subito l’autore nell’introduzione: “E’ anche mia opinione che la filosofia, per molti ormai veramente finita, può vivere e avere ancora un senso per la gente solo se si trasforma interculturalmente e se, come filosofia interculturale, o meglio, pensiero interculturale, è in grado di pensare (e non solo con i classici strumenti occidentali) grandi temi come il dialogo, il pluralismo, la pace, perché oggi senza dialogo e pluralismo, senza il rispetto e l’ascolto “imparativo” di tutte le differenze – culture, religioni, natura, ambiente, animali, inconscio – rischiamo la distruzione violenta dell’homo sapiens”.
Se dialogo, pluralismo e pace sono le colonne portanti del nuovo pensiero, Cognetti non esita a scegliere e presentarci quelle figure novecentesche che ne sono state i “Pionieri” o i “Protagonisti”.
Non sorprende che il primo dei Pionieri sia il grande esoterista francese René Guénon, cui l’autore, già una ventina d’anni fa, dedicò un intenso studio, appena ripubblicato presso Mimesis, con il quale sdoganava una volta per tutte il pensiero di colui cui più si deve il ritorno, sotto forme ampie e rigorose nello stesso tempo, della philosophia perennis del Novecento, e invece per lungo tempo confinato nei ghetti, a scelta, dell’occultismo o del pensiero reazionario. Gli altri pionieri indicati, oltre ai celebri Martin Heidegger e Carl Gustav Jung, sono da un lato Aurobindo Gosh, forse il più grande pensatore indiano del secolo scorso, oggetto di frequenti attenzioni da parte di Cognetti (al quale anzi ci permettiamo il suggerimento di dedicare una monografia a questa figura anch’essa mal conosciuta nel nostro Paese) e Nishida Kitaro, originale pensatore giapponese, descritto nel volume da Marcello Ghilardi ed Enrico Fongaro.
Tre sono, invece, i Protagonisti scelti: Raul Fornet-Betancourt, Luce Irigaray e Raimon Panikkar. Se la seconda è molto conosciuta nell’ambito del pensiero femminile e femminista (e Cognetti sottolinea la capacità di “articolare la sua proposta interculturale a partire dalla possibilità di pensare e ripristinare le relazioni fra cultura aborigene femminili e matriarcali e culture indoeuropee patriarcalizzate”), il primo è un filosofo e teologo cubano, che nei suoi testi ha messo mano, a partire dall’esperienza concreta dell’America Latina, ad un’operazione di trasformazione della “filosofia della liberazione”, di cui è uno dei più rinomati esponenti. Quanto a Raimon Panikkar, descritto nel volume da Alessandro Calabrese, non si può non segnalare che Cognetti è fra coloro che più nel nostro Paese hanno operato per far conoscere in modo adeguato il pensiero di questa straordinaria figura di sacerdote cattolico dalle molteplici identità (ovviamente cristiana, ma poi indù, buddhista e anche “secolare”), anche attraverso la fondazione del CIRPIT  Centro Interculturale Raimon Panikkar.
Nella proposta “cosmoteandrica” di Panikkar, Cognetti trova il compimento e la sintesi di un proprio percorso di conoscenza e di realizzazione, che nel corso degli anni lo ha portato a studiare “simpateticamente” (con dantesco “intelletto d’amore”) filoni culturali trascurati dalle accademie di ogni tendenza. A riprova di questo invitiamo alla lettura della raccolta di scritti appena pubblicata da Mimesis con il titolo Per un nuovo umanesimo. Itinerari, che mette insieme quindici saggi pubblicati (a parte la corposa introduzione) nell’arco di circa vent’anni su volumi collettivi e riviste varie.
Fra i tanti personaggi e temi affrontati (Hübner, Guénon, Panikkar, critica del tragico, sessualità nel tantrismo, esperienza religiosa ed altro) ne piace segnalarne due.
Il primo è un personaggio, tuttora ignoto in Italia, ma che rappresenta il più importante filosofo del secondo Novecento ad aver mostrato l’attualità della philosophia perennis: Georges Vallin, cui Cognetti alcuni anni fa ha dedicato un importante volume dal titolo emblematico Oltre il nichilismo. Eccone un ritratto in poche righe: “Georges Vallin è certamente il primo filosofo del Novecento ad aver intuito la rilevanza filosofica dell’opera di René Guénon e ad aver intrapreso, guidato dalle sue linee di fondo, una riflessione radicale sulle forme della razionalità occidentale, rivisitate alla luce di alcune grandi dottrine orientali (Vedānta, Buddhismo Mahāyāna, Zen, Taoismo) e di un’originale lettura di Aristotele e della tradizione platonica e neoplatonica che accoglie molte istanze di Nietzsche e Heidegger e vi entra in dialogo”.
La seconda nostra segnalazione riguarda invece un tema, cui è dedicata una particolare attenzione: il pensiero esoterico, in particolare nel coraggioso saggio La dimensione del cuore. Luci sull’esoterismo, dove si afferma senza mezzi termini che “l’esoterismo è l’acutezza dello sguardo lucido che cerca di raggiungere il cuore del reale, le radici dell’essere, passando al di là del mondo fenomenico, delle categorie del “mentale”, delle forme e dei limiti”.

Apparso sul quotidiano “L’Unità” del 4 Febbraio 2017
https://www.donzelli.it/libro/9788868431884