31/05/16

Ex oriente lux


Cari Amici,  vi giro questo articolo su Putin di Francesco Colafemmina che, credo, vada meditato in un’ottica metapolitica soprattutto nel suo aspetto escatologico.

P.S.

di Francesco Colafemmina

Ho seguito con grande interesse il viaggio del Presidente Putin in Grecia e sull’Athos. Una scelta di certo non usuale per un capo di stato, specialmente in quest’epoca nella quale si fa a gara nell’esibire il proprio ateismo o la propria indifferenza religiosa. Putin ha inteso celebrare ufficialmente i 1000 anni di monachesimo russo, ma questa è la seconda volta in cui visita l’isola della Vergine. Putin ha fatto richiesta ufficiale, come ogni altro pellegrino, alla Chiesa Ellenica e al Patriarcato di Costantinopoli. E’ arrivato a Karyés accompagnato dal suono delle campane, un onore mai tributato ad un capo di stato. Qui è stato accolto dagli igoumeni dei monasteri dell’Athos nel Protàton, il primo complesso dell’Athos che ospita la chiesa dedicata alla dormizione della Vergine. I monaci hanno riservato a Putin il “trono” ossia il baldacchino sotto il quale si accomodano – sempre in piedi – i vescovi e un tempo gli imperatori, in un tripudio di inni (dal Xristòs Anésti all’Ipermàxo stratigò) e quando il presidente russo è sceso dal trono per pronunciare il suo messaggio di saluto, i monaci gli hanno prontamente indicato di tornare sui suoi passi e pronunciarlo dal trono (Putin si è fermato sul primo gradino, evidentemente imbarazzato da tanto onore). Di nuovo scampanii, auguri di salute e protezione divina, omaggi… L’omaggio ufficiale degli athoniti è consistito in una icona del “Cristo in trono”, anche questo un onore riservato solo ai vescovi. Il presidente greco Paulopoulos ha rimarcato nel suo messaggio, con un atteggiamento di fraterno paternalismo, che “uno statista prima di prendere decisioni gravi per il suo popolo e la sua nazione ha bisogno di trovare conforto spirituale in questi luoghi”, mostrando di comprendere la straordinarietà dell’evento.
Insomma, sappiamo bene che per molti russi ortodossi, e non solo russi, Putin è l’incarnazione del katechon di paolina memoria. Tant’è che c’è persino un think tank ortodosso chiamato non a caso “katehon”. C’è tuttavia un significato accessorio in questo viaggio. Molti monaci dell’Athos hanno ufficialmente chiesto al Patriarca Kirill di non partecipare al sinodo panortodosso fissato per il mese prossimo a Creta. Questo sinodo, il primo dopo lo scisma del 1054, indetto dal Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo, si preannuncia infuocato: dietro suggerimento del teologo uniate Zizioulas, spesso presente in Vaticano, si sono poste infatti almeno due questioni che stanno suscitando indignazione e grandi contrasti nell’Ortodossia. Da un lato la proposta di riconoscere come “chiesa” la Chiesa Cattolica avviando un processo di unione col cattolicesimo. Dall’altro quella di riformare l’autocefalia delle chiese ortodosse in chiave sinodale. Alcuni teologi ortodossi fanno notare che i due punti sono strettamente collegati: è come se Bartolomeo volesse imitare la sinodalità bergogliana (democrazia ecclesiale a parole, autoritarismo autoreferenziale nei fatti) per sdoganare non solo l’unione con la chiesa cattolica (il cui declino morale e la cui deriva teologica è ormai del tutto evidente) ma anche successive riforme e “aggiornamenti” che bollono in pentola da anni. Bartolomeo prepara, in poche parole, il Vaticano II dell’Ortodossia. E già ci sono i primi Lefebvre ortodossi, quattro metropoliti greci che hanno annunciato in serie le loro “dimissioni” dalla delegazione sinodale. E il sinodo funziona esattamente come il Concilio: le dichiarazioni sono state già scritte. In particolare quella più problematica: “Relazioni fra la Chiesa Ortodossa e il resto del mondo cristiano”. Commenta, infatti, il metropolita di Naupatto, Ierotheos in un suo recente articolo: “sia riguardo alla decisione di indire il Santo e Grande sinodo, presa nel marzo 2014, sia riguardo ai testi sottoscritti a gennaio 2016 non è stato chiesto il parere della gerarchia della Chiesa Greca, ed entrambe le scelte non sono state discusse dalla nostra gerarchia. Stessa cosa dicasi per le dichiarazioni che saranno rese note al termine del Sinodo. Quindi quello che si terrà a breve non potrà essere chiamato Santo e Grande Sinodo.” L’assenza di una autorità suprema nelle chiese ortodosse se infatti da un lato è vista come un vulnus decisionale, dall’alto è invece garanzia di preservazione dell’ortodossia stessa. Il sinodo panortodosso, aggirando l’autentica sinodalità delle chiese autocefale, esprimerà al massimo i pareri di un circolo ristretto di rappresentanti delle stesse, sotto la guida di Bartolomeo di Costantinopoli. Possiamo dire che il “metodo” usato durante il Vaticano II ha fatto scuola!
In tutto questo v’è la sensazione che la storia della Chiesa e quella delle Nazioni procedano su binari paralleli. La decadenza morale (concetto sul quale spesso hanno indugiato i monaci athoniti nei loro discorsi rivolti a Putin) delle Nazioni va di pari passo con la disgregazione di ordine e certezze, di rigore e obiettivi spirituali all’interno della Chiesa. Di quella Cattolica così come di quella Ortodossa. Anni fa, quando mi occupai dei dialoghi dell’imperatore Manuele Paleologo ebbi modo di evidenziare come le dinamiche della teologia della storia fossero tipiche del pensiero bizantino: la duplice natura dell’imperatore, quella dello statista e quella del garante del regno di Cristo sulla terra, permane nello spirito dell’ortodossia; nonostante le molteplici obiezioni razionaliste che possono essere elevate contro questa visione, dovremmo a mio avviso leggerci semplicemente un messaggio di saggezza cristiana: i governanti delle Nazioni agiscono – indipendentemente dal loro credo e dalle loro responsabilità etiche – in una storia che è sì “civile” ma è anche “cristiana”, ossia indirizzata verso un futuro di cui noi cristiani conosciamo alcuni punti fermi. Una storia non ciclica, ma con un inizio ed una fine. Pertanto se volessimo interpretare la visita di Putin sull’Athos dovremmo partire dalla convergenza di due simbolismi: da un lato il simbolismo del presidente russo che cerca rifugio spirituale sull’Athos, ponendosi letteralmente sotto il manto della Vergine, dall’altro quello dei monaci contemplativi che lo colmano di onori quasi a porlo nella condizione di assumere un ruolo codificato nella storia sacra (e al momento implicito) dinanzi ad eventi futuri. In entrambi (Putin e monaci) traspare la percezione di grandi e tragiche sfide future. Ed è oltremodo disarmante che questo istante di eternità nell’orologio della storia coincida con la retorica farsesca dell’incontro giapponese dei “potenti della terra” la cui immagine più memorabile è quella in cui usano maldestramente una vanga (braccia sottratte alla vanga…) o con i soliti deliri pro-immigrati del vescovo di Roma che mostra a dei bambini un giubbotto di salvataggio di un “migrante” morto in mare. Per tornare alla famosa lettura dei tempi ultimi fatta da Cacciari, da un lato abbiamo lo spirito catecontico che è prometeico ossia consapevole del proprio ruolo, di quel che sta accadendo e di quel che potrà accadere; uno spirito che pone argini contro il caos. Dall’altro lo spirito dell’accelerazione finale che è epimeteico, ossia manca di consapevolezza ed è guidato esclusivamente da una forma estrema di entropia morale e logica.
Sta a noi comprendere chi incarna oggi la dimensione spirituale dell’argine, e pregare intensamente per la conversione di chi agevola il fiume in piena del disordine finale.

29/05/16

Patrick H. Glenn: Tradizioni giuridiche nel mondo



Alla competizione per la globalizzazione concorrono oggi tre principali candidati: l'Occidente, l'Islam e l'Asia orientale. Nessuno è in grado di prevedere il risultato di questa gara. Imbrigliati in forme di pensiero che scaturiscono dal colonialismo dei secoli XVIII e XIX, rischiamo di vedere la globalizzazione come mera espansione dell'influenza occidentale. In realtà è in corso una sostenuta islamizzazione (un quinto della popolazione mondiale è oggi di fede musulmana), mentre nel management e nelle relazioni industriali si assiste ad una crescente diffusione di tecniche organizzative asiatiche. E' dunque improbabile che ci si stia dirigendo verso una singola cultura mondiale e cosmopolita. Sostenere e gestire la diversità diventa allora una scelta obbligata nella quale il diritto gioca un ruolo cruciale. Il volume ricostruisce le sette maggiori tradizioni giuridiche presenti nel mondo, "figlie" di quelle religiose (indigena, talmudica, islamica, hindu, confuciana, civil law, common law). Rispetto a ognuna vengono esaminate le concezioni fondamentali, le istituzioni, il metodo, le affinità reciproche e le divergenze.

H. Patrick Glenn è professore di Diritto comparato nell'Università McGill di Montreal. Ha diretto l'Institute of Comparative Law che ha promosso attività di ricerca in molti campi del diritto. E' stato insignito dei maggiori premi internazionali nelle materie comparatistiche.

25/05/16

ULTREÏA ! Il nuovo numero

Magazine-livre - Printemps 2016
19,90€
228 pages

Le numéro de printemps s’ouvre sur le portrait d’un éminent “serviteur de la paix”, Lanza del Vasto, dont l’oeuvre prolifique n’est que le reflet d’une vie orientée vers la non-violence, la sobriété et la spiritualité. Un riche parcours qui demeure plus que jamais d’actualité.
Quête d’absolu et somme spirituelle traduite dans le monde entier que l’on retrouve chez le métaphysicien Frithjof Schuon, qui porta l’idée d’ “unité transcendante des religions” et de sagesse pérenne qu’il opposa au nihilisme du monde moderne en une pensée d’une rare acuité.
L’ésotérisme est-il (encore) une voie ? Dans ce dossier, nous avons questionné des auteurs de plusieurs disciplines et religions pour savoir si celui-ci était universel et s’il pouvait être une opportunité pour notre temps. Et être une voie de liberté face à la perspective souvent très légaliste de l’exotérisme, la religion conventionnelle ?
À la croisée des chemins, dans un long et riche entretien, Matthieu Ricard revient sur son parcours singulier, expose sa perspective bouddhiste et partage ses réflexions sur l’altruisme, le bonheur ou la conscience.
Dans un beau portfolio, Tuul – photographe d’origine mongole – et Bruno Morandi nous emmènent dans les steppes de Mongolie à la rencontre des chamanes qu’ils connaissent bien.
À Philae, dans l’extrême sud égyptien, nous goûterons à la magie de l’île d’Isis qui fut sauvée des eaux dans les années 1960. Aux portes de la Nubie, ce territoire dédié au féminin sacré “enchante” véritablement ceux qui le foulent.
Nous mettrons aussi nos pas dans ceux de Nicolas Bouvier, célèbre écrivain-voyageur suisse, qui, pour raconter le monde, tissa un “langage à l’exigence splendide”. Un être rare et jubilant qui accepta que le voyage le fasse… et le défasse.
Christiane Rancé rendra un ultime hommage à René Girard.
Puis nous bivouaquerons à Sheikh Hussein, au cœur même du pèlerinage extatique et universaliste de l’Aréfa, en Éthiopie, en Bolivie, dans les pas de Charles de Foucault. Enfin, Florian Rochet nous invitera à être des « nomades contemplatifs « .
Pour en découvrir plus (interview, vidéos, sommaire détaillé…) :

18/05/16

Maometto e i cristiani: una storia inedita

Philip Khuri Hitti, "Storia degli Arabi", Ed. Odoya


Philip Khuri Hitti, cristiano maronita nato in Libano nel 1886 e morto nel 1978 negli Stati Uniti, è considerato uno dei più grandi orientalisti di tutti i tempi. Ha insegnato alla Columbia University e a Princeton, dove è stato anche presidente del dipartimento di lingue orientali. La casa editrice bolognese Odoya ha recentemente mandato alle stampe, in ottava edizione “Storia degli Arabi. Dall’antichità al Novecento”, la sua opera più nota. Si tratta di un imponente volume di oltre ottocento pagine, pubblicato per la prima volta nel 1937, frutto di dieci anni di lavoro, che ripercorre in maniera completa e documentata la storia degli arabi dalla fase nomade dell’era pre-islamica fino ai primi decenni del Novecento, caratterizzati dalla caduta dell’impero Ottomano. Culla dell’intera famiglia semitica, la penisola araba nutrì tutti quei popoli che man mano migrarono nella Mezzaluna fertile: i babilonesi, gli assiri, i fenici, gli ebrei. Popoli che, scrive Hitti «gettarono le basi del nostro patrimonio culturale… nel Medioevo nessun popolo contribuì al progresso umano quanto gli Arabi e i popoli di lingua araba». Nel suo libro Hitti ripercorre le vicende di numerose figure bibliche quali Mosè e Giobbe, facendo emergere particolari sconosciuti ai più, come tante notizie sulla grandezza delle popolazioni arabe, soffermandosi anche sulla nascita della religione islamica.


Nel narrare tale storia, Hitti evidenzia la potenza distruttiva causata dall’aggiunta del cosiddetto Sesto Pilastro agli originari cinque prescritti da Maometto: all’unicità di Allah, alla preghiera, al digiuno, all’elemosina, al pellegrinaggio, la setta dei Kharigiti aggiunse infatti la jihad, la guerra santa. A tal proposito, Hitti scrive che la jihad consiste «nell’obbligo del califfo di allontanare la barriera geografica che divide il dar al islam (il territorio dell’islam) dal dar al harb (territorio di guerra). All’introduzione di questo Sesto Pilastro, l’islamismo deve la sua ineguagliata espansione come potenza mondiale». Il libro non giunge, per ovvi motivi, fino ai giorni nostri ma fornisce inevitabilmente le chiavi storiche e culturali per comprendere le dinamiche attuali. Sfogliando le sue pagine, pertanto, si incontrerà la storia di Palmira, città siriana oggi sottoposta all’attenzione internazionale. E si scoprirà che essa da sempre rappresenta un punto di equilibrio fondamentale nell’incontro tra civiltà occidentale e araba, e che a ridurla quasi totalmente in macerie fu, nel 273, l’Occidente, per mano dell’imperatore romano Aureliano.
Grazie al prezioso volume si potranno approfondire, per esempio, le vicende che portarono alla nascita e all’ascesa politico-spirituale dell’islam. E proprio queste pagine svelano un episodio importante nella vita di Maometto: infiammato dal compito che si sentiva chiamato ad adempiere come messaggero di Allah, Maometto scese fra il suo popolo, e cioè la tribù dei Quraysh alla Mecca, a insegnare, a pregare e a diffondere la profezia di un Dio unico, creatore dell’universo.
Eppure all’inizio della sua predicazione, Maometto trovò ben pochi seguaci: sua moglie Khadigia e un paio di cugini. Al contrario, un altro suo parente, Abu Sufyan, che rappresentava il ramo omayyade, l’aristocrazia dei Quraysh, si mostrò assai ostile alla nuova religione. Per lui e per tutta la tribù, quella professata da Maometto era una pericolosa dottrina che avrebbe ostacolato gli interessi economici della tribù in quanto custode della Ka‘ba, pantheon di una moltitudine di divinità che attirava pellegrini provenienti da ogni parte d’Arabia.
A mano a mano che nuove reclute, soprattutto schiavi e membri delle classi inferiori, andavano ad aumentare i fedeli di Allah, il ridicolo e il sarcasmo furono le armi che i Quraysh misero in campo contro Maometto e i suoi seguaci. Quando ci si rese conto della loro inefficacia, si passò alla persecuzione attiva. I provvedimenti persecutori causarono l’emigrazione in Abissinia di undici famiglie della Mecca, seguite nel 615 da altre ottantatré famiglie circa. È in questo momento che s’inserisce l’episodio che determinerà la sopravvivenza di Maometto e della nuova fede: gli emigranti trovarono asilo presso il negus cristiano, che fu irremovibile nel suo rifiuto di consegnarli nelle mani dei loro nemici.

La lettera di Maometto

All’episodio descritto da Hitti riguardo la magnanimità del negus cristiano nei confronti di Maometto e dei suoi seguaci, fa eco un’antica tradizione araba secondo la quale esisterebbe una lettera scritta dal profeta di Allah conservata e custodita per molto tempo come una cosa sacra nell’antichissimo eremo di Santa Caterina nel Sinai d’Egitto, edificato nel IV secolo da sant’Elena, madre di Costantino. In tale documento Maometto avrebbe difeso il culto cristiano e i suoi fedeli.
Nel corso del VII secolo, il monastero era divenuto un luogo di culto anche per l’Islam proprio in virtù della presenza di quella lettera. All’interno delle sue mura i monaci fecero costruire persino una moschea per garantire ai musulmani che lo visitavano un luogo ove pregare. Una moschea che però non fu mai aperta al culto perché, per errore, non era stata orientata verso la Mecca. La conservazione di questo manoscritto sarebbe stata determinante per la sopravvivenza dell’eremo durante la dominazione musulmana.
Sempre secondo la tradizione, però, la lettera di Maometto oggi non si troverebbe più lì: durante la conquista ottomana dell’Egitto, nel 1517, il documento originale sarebbe stato trafugato dai soldati ottomani e trasferito al palazzo del sultano Selim I a Istanbul e ora sarebbe conservata nel museo Topkapi, sempre a Istanbul.
Il documento è conosciuto come Achtiname di Muhammad, noto anche come il Patto o Santo Testamento del profeta Maometto. La lettera è un ahdname (atto o accordo dal valore giuridico in uso all’epoca) e sarebbe stato scritto dal profeta quale concessione della sua protezione e di altri privilegi a favore dei monaci del monastero di Santa Caterina sul Sinai e di tutti i cristiani del mondo. Il documento si chiuderebbe con un’impronta che rappresenta la mano di Maometto.
Vi sono diverse traduzioni della lettera. Quella curata nel 1902 da Anton F. Haddad, intitolataIl giuramento del Profeta Maometto ai seguaci del Nazareno”, è ritenuta la migliore, tanto da essere stata riproposta nel 2004 in uno scritto pubblicato dall’associazione internazionale H-Bahai, un ente di studio scientifico che favorisce la discussione accademica della cultura e della storia delle tradizioni religiose millenarie. Ad occuparsi del documento anche due importanti studiosi indiani di religione islamica, autori di una voluminosa biografia di Maometto, A. Zahoor e Z. Haq, nel loro saggio “Prophet Muhammad’s charter of privileges to chistians letter to the monk of St. Catherine Monastery”.

Lettera di Maometto in difesa dei cristiani

«Questa è una lettera che è stata rilasciata da Mohammed, Ibn Abdullah, il Messaggero, il Profeta, il fedele, che viene inviata a tutte le persone come una parola da parte di Allah per tutte le sue creature.
In verità Dio è l’Eccelso, il Saggio. Questa lettera è indirizzata agli ambasciatori dell’Islam, come alleanza data ai seguaci del Nazareno in Oriente e Occidente, a quelli vicini e lontani, agli arabi e agli stranieri, al noto e all’ignoto. Questa lettera contiene il giuramento dato loro (e chi disobbedisce a ciò che vi è scritto, sarà considerato un disobbediente e un trasgressore di quella Fede alla quale egli è comandato. Egli sarà considerato come uno che ha corrotto il giuramento di Dio, o il Suo testamento, che ha respinto la Sua Autorità, disprezzato la Sua religione, e si è fatto meritevole della Sua maledizione, sia fosse un sultano o qualsiasi altro credente dell’Islam)».
«Ogni volta che monaci, fedeli e pellegrini si riuniscono, sia in una montagna o valle, o tana, o luogo frequentato o semplice, o la chiesa, o in luoghi di culto, in verità Dio è su di loro e li protegge, e protegge le loro proprietà e la loro morale, anche da me stesso, dai miei amici e dai miei assistenti, perché sono dei soggetti sotto la mia protezione. Io li esento da atti che li possano turbare; degli oneri che sono pagati da altri come un giuramento di fedeltà».
«Essi non devono dare nulla del loro reddito, ma ciò che piace loro, non devono essere offesi, o disturbati, o costretti o obbligati. I loro giudici non devono essere modificati o impedito loro di realizzare i propri uffici, né i monaci disturbati nell’esercizio del loro ordine religioso, o la gente di clausura essere arrestata dalla dimora nelle loro celle. A nessuno è permesso di saccheggiare i pellegrini, o distruggere o rovinare una delle loro chiese, o case di culto, o di prendere una qualsiasi delle cose contenute all’interno di queste case e portarlo alle case dell’Islam. Colui che toglie da essa, sarà uno che ha corrotto il giuramento di Dio, e, in verità, disobbedisce al Suo Messaggero».
«Le tasse non dovranno essere messe sui loro giudici, sui monaci, e quelli la cui occupazione è il culto di Dio; né qualsiasi altra cosa potrà essere presa da loro, che si tratti di un bene, una tassa o un diritto ingiusto. In verità devono conservare la loro compattezza, ovunque si trovino, in mare o sulla terra, in Oriente o Occidente, da nord o da sud, perché sono sotto la mia protezione e il mio testamento dà loro la mia sicurezza contro tutte le cose che vanno aborrite. Nessuna tassa o decime devono essere ricevute da coloro che si dedicano al culto di Dio in montagna, o da chi coltiva la Terra Santa».

La morte di Maometto – manoscritto ottomano del Siyar-i Nebi – 1595

«Nessuno ha il diritto di interferire con i loro affari, o portare qualsiasi azione contro di loro. In verità questo è per altri e non per loro; piuttosto, nelle stagioni delle colture, dovrebbe essere data una Kadah per ogni Ardab di grano (circa cinque quintali e mezzo) come fondo per loro, e nessuno ha il diritto di dire loro che questo è troppo, o chiedere loro di pagare alcuna imposta. Per quanto riguarda chi possiede proprietà, i ricchi e i commercianti, le tasse che possono essere prese da loro non devono superare i dodici Dirham a testa all’anno». «Non può essere imposto a chiunque di intraprendere un viaggio, o di essere costretto ad andare in guerra o usare armi per i musulmani, chiunque deve combattere per la sua ragione, non per quella di altri. Il seguace dell’islam non deve fare nessuna disputa o discutere con loro, ma accordarsi secondo il verso registrato nel Corano. Essi non devono essere costretti a portare armi o pietre; ma i musulmani devono proteggerli e difenderli contro gli altri».
«Qualora una donna cristiana è sposata con un musulmano, tale matrimonio non deve avvenire se non dopo il suo consenso, e a lei non deve essere impedito di andare nella sua chiesa per la preghiera. Le loro chiese devono essere onorate e non devono esserci impedimenti nella costruzione di luoghi di preghiera o per la riparazione dei loro conventi. Spetta a ognuno della nazione dell’Islam non contraddire e rispettare questo giuramento fino al Giorno della Resurrezione e della fine del mondo».

Abbiamo pubblicato tale documento non per ricondurre gli storici, e troppo spesso contraddittori, rapporti tra islam e cristianesimo a un vacuo irenismo. E però, si tratta di dar conto di come i rapporti tra le due religioni siano più articolati e complessi di quella semplicistica, quanto perversa, contrapposizione creata, da una parte e dall’altra, dalle forze oscure che stanno alimentando l’attuale scontro di civiltà. 

Autore: Pina Baglioni