29/05/14

Primo Siena: GIOVANNI GENTILE, Un Italiano nelle intemperie


Entrato nella vita pubblica come consigliere comunale e assessore per le Belle Arti nell’amministrazione civica dell’Urbe nel 1920, Giovanni Gentile mantiene la carica fino al 1922. Nell’ottobre di quell’anno viene chiamato nel primo ministero Mussolini come ministro della Pubblica Istruzione e in novembre è nominato dal Re senatore del Regno.
     Resta nel governo per venti mesi progettando e attuando quella particolare riforma della Scuola Italiana che va sotto il suo nome, ispirandola alla sua concezione filosofica e profondendo in essa la diretta esperienza maturata nella scuola alla quale aveva dedicato la passione e l’intelligenza della sua attiva giovinezza. La riforma, che attuò con fermezza e decisione — e fu la prima organica riforma della Scuola Italiana d’ogni ordine e grado, dopo la legge Casati del 1859 — riportò le istituzioni scolastiche a quella missione educatrice dello spirito prima che degli intelletti che le influenze positivistiche, nonostante la benefica influenza del Gabelli, avevano soffocato nell’aridità della cosiddetta “scuola d’istruzione”.
     Nel luglio 1924 si dimette dal Ministero per passare alla presidenza della Commissione detta dei “Quindici” e poi dei “Diciotto”, incaricata della riforma costituzionale che egli decisamente ispirò influenzando alcuni atti legislativi, fra i quali i primi orientamenti corporativi e la legge sul Primo Ministro.
     Negli anni tra il 1926 e il 1928 presiede il Consiglio Superiore della Pubblica Istruzione. Fece parte del Gran Consiglio del Fascismo; dal 1923 al 1924 come Ministro, e poi in qualità di Presidente dell’Istituto Fascista di Cultura da lui stesso fondato nell’anno 1925.
     Concepì il grandioso disegno d’una Enciclopedia Italiana: ispirò e promosse l’opera che, dietro suo diretto consiglio, il conte Giovanni Treccani assunse come editore. Gentile ne fu il direttore generale e scelse direttamente i collaboratori.

Pagg. 192 - € 14,00

27/05/14

Commento teologico-profetico a “Pietro Romano”


Ricevo da un amico sacerdote la seguente lettera, a commento del mio articolo “Pietro Romano?”: (http://corrieremetapolitico.blogspot.it/2013/09/pietro-romano.html)


Caro Giuseppe,
ho letto con molto interesse il tuo articolo, davvero suggestivo e sotto certi aspetti inquietante.
Due osservazioni:
1. quando scrivi: "In verità, neanche come simbolo religioso della pace l’olivo sembra avere una qualche attinenza col suo pontificato" in riferimento a Benedetto XVI come 111° papa c'è da dire il contrario e cioè che l'olivo come simbolo religioso della pace ha attinenza col suo pontificato. E' risaputo che scelse il nome di Benedetto perché voleva essere come Benedetto XV costruttore di pace in un tempo di sconvolgimenti.
2. circa l'idea di un pontificato in America latina. Quando studiavo ecclesiologia il professore ci diceva sempre che la sede romana è parte "essenziale" del pontificato ovvero non esiste pontificato se non a Roma perché qui è morto Pietro. Che l'asse del cristianesimo si sia spostato in America Latina questo è certo ed è già avvenuto da tempo e sempre di più avverrà. Io, dunque, interpreterei la profezia in maniera ancora più radicale e parlerei forse di una scomparsa totale del papato con le relative conseguenze disastrose, ma bibliche. Sappiamo infatti che la Chiesa seguirà la sorte del suo Signore e dunque scomparirà per poi risorgere come dono che scende dall'alto, come nuova Gerusalemme
 Catechismo Chiesa Cattolica 677 La Chiesa non entrerà nella gloria del Regno che attraverso quest'ultima Pasqua, nella quale seguirà il suo Signore nella sua morte e Risurrezione [Cf Ap 13,8 ]. Il Regno non si compirà dunque attraverso un trionfo storico della Chiesa [Cf Ap 20,7-10 ] secondo un progresso ascendente, ma attraverso una vittoria di Dio sullo scatenarsi ultimo del male [Cf Ap 21,2-4 ] che farà discendere dal cielo la sua Sposa [ Cf Ap 20,12 ]. Il trionfo di Dio sulla rivolta del male prenderà la forma dell'ultimo Giudizio [Cf 2Pt 3,12-13 ] dopo l'ultimo sommovimento cosmico di questo mondo che passa [Cf Dn 7,10; Gl 3-4; 677 Ml 3,19 ].
Non sono mai stato, per fede, carattere e formazione, un millenarista catastrofico, ma certo qualcosa di strano sta avvenendo e come dici tu alla fine la nostra forza è nella preghiera con Maria.
Un caro saluto.”

La lettera contiene osservazioni che mi sembrano molto interessanti. L'identificazione di Benedetto XVI con il “de gloria olivae” ne risulta semplificata. D'altra parte le due interpretazioni potrebbero essere entrambe valide, riferendosi ad aspetti che hanno caratterizzato il pontificato di Ratzinger. Ma, in definitiva, quel che conta è che la possibilità di riconoscere in Benedetto XVI il 111° papa della profezia di S.Malachia ne risulta ora, e per altra via, confermata. Se Benedetto XVI è il “de gloria olivae” ne consegue che papa Francesco è Pietro Romano. Importante anche la conferma, da parte di chi ha conoscenza diretta ed esperienza missionaria, del ruolo centrale che già da tempo va assumendo, nella vita della Cristianità, l'America latina. Ma il punto più interessante è l'ultimo: l'essenzialità del legame tra Roma e il Pontificato e la futura scomparsa di quest'ultimo, nella prospettiva di un passaggio dalla Chiesa al Regno. Siamo dunque vicini ad una svolta radicale, che prepara un Venerdì Santo storico-cosmico. Se c'è una corrispondenza, come insegna il Catechismo della Chiesa Cattolica, tra la vita della Chiesa e quella di Gesù, gli eventi ultimi narrati nel Vangelo offriranno anche una chiave di lettura per comprendere i tempi difficili in gestazione.
Giuseppe Maddalena


21/05/14

Mussolini alla vigilia della sua morte e l’Europa





La Novantico Editrice ha pubblicato il libro di Pierre Pascal Mussolini alla vigilia della sua morte e l’Europa all’interno della collana letteraria Laurus diretta Federico Prizzi.
La caratteristica principale del Mussolini alla vigilia della sua morte e l’Europa non è solo quella di rappresentare il testamento spirituale del condottiero italiano a poco più di venti giorni dalla sua tragica fine. Bensì, di essere un libro scritto da Pierre Pascal, uno dei più grandi poeti francesi del ‘900 che visse e lavorò per quarantacinque anni in Italia.
Yamatologo, iranista, scrittore, traduttore, editore e soldato, conoscitore di molte lingue antiche e moderne, Pascal ebbe una vita letteraria e umana intensissima. Unico occidentale ad avere l’onore di essere ammesso dell’Accademia Imperiale della Foresta dei Pennelli e di essere considerato al pari degli eroi giapponesi dall’Imperatore Hirohito, lavorò anche per l’Ambasciata iraniana presso la Santa Sede ai tempi dello Scià.
Discepolo di Charles Maurras, amico di d’Annunzio, Mishima, Henry de Montherlant, Guenon ed Evola, fu volontario in Spagna con i franchisti, in Marocco con i legionari contro i ribelli del Rif e nell’ultimo conflitto mondiale con i francesi di Vichy, tanto da seguirne persino le sorti nel castello di Sigmaringen.
Intellettuale cattolico e profondo conoscitore dell’esegesi cristiana incontrò più volte Padre Pio, ma si dedicò anche allo studio delle Scienze Tradizionali grazie a maestri del calibro di Alex Carrel, Armand Barbault e Raymond Abellio.
Curato da Federico Prizzi, questo libro rappresenta un vero e proprio “viaggio letterario” nell’opera pascaliana che ha visto pure la partecipazione di firme prestigiose del calibro di Sandro Giovannini, Gabriella Chioma, Renato Del Ponte e Silvano Panunzio che, con i loro studi inediti e approfonditi, presentano al lettore un quadro completo della vita letteraria del grande poeta francese.