29/09/13

Un’inchiesta su Maria fra ironie e luoghi comuni





di Mario Iannacone
Abbiamo un’altra 'inchiesta' di Corrado Augias sui misteri del Cristianesimo, questa volta su Maria. 'Inchiesta', termine giornalistico, poliziesco-inquisitorio, poco adatto a un tema come questo, tanto delicato, che tocca teologia, spiritualità, sociologia, filosofia e i sentimenti più profondi. Inchiesta su Maria è stato firmato con Marco Vannini. L’inquirente Augias domanda e lo studioso 'indipendente' risponde. L’introduzione affastella episodi di devozione che dovrebbero dimostrare la natura 'pagana' del culto mariano. Poi il primo capitolo miscela abilmente captatio benevolentiae (tema «difficile», «carico d’immense valenze affettive » ecc.) con un’ironia appena raffrenata: Maria, creatura terrena, è madre di un Dio «triplice » composto da tre Persone che «ha scelto per ragioni imperscrutabili un certo tempo e un certo pianeta tra miliardi» per prendere corpo nel ventre di un’ebrea adolescente. Questa sottile canzonatura cosmologica non sfugga: è una chiave del libro. Augias chiede a Vannini di voler «capire come e perché sia stata costruita un’immagine come quella di Maria sulla quale sono state concentrate un’inverosimile quantità di funzioni, qualità e prerogative simboliche ». Quella parola, «costruzione», accostata a «inverosimile » dà una seconda chiave. Se «costruzione», in ambito storico, può avere la sua ragione, in un libro 'divulgativo', che si muove tra teologia e psicanalisi, storia sociale e cospirazionismo teologico, la stessa parola si legge «falsificazione». Il libro si sviluppa in una serie abbondante (horror vacui ?)di percorsi saltando dalla verginità perpetua alla nascita senza macchia, al racconto di Matteo e Luca, a maldicenze (Maria figlia di un soldato romano), al 'misterioso' Giovanni, la nascita di Gesù (uomo, non Figlio di Dio) e poi le apparizioni, i dogmi (come l’Immacolata Concezione) sino a piombare frettolosamente sul tema della Grande Madre che oggi non può mancare in certa divulgazione. In fin dei conti la parte che si sofferma sulla Maria del Cristianesimo, prima di passare ad altro, è composta da 160 pagine. Poche per un’onesta e approfondita 'inchiesta', abbastanza per chi vuole riconfermare i proprio pregiudizi. Sono libri comodi, da questo punto di vista, però il segmento di mercato è saturo e non si comprende perché preferire questo ad altri (più seri? Ma sì, qui si torna a parlare di Dan Brown…). L’intera storia della Salvezza dal punto di vista di Maria viene trattata troppo velocemente. In una corsa frenetica vengono sollevati e liquidati argomenti capitali, sui quali le migliori menti del pensiero credente si sono interrogate per secoli, escludendo le mille sottigliezze della mariologia e le concordanze, i misteri di cui la storia è disseminata. Un sunto asfittico, insomma, dove anche qualche pagina interessante (il capitolo legato all’iconografia) è ficcata in un impianto concettuale frettoloso, superficiale, che poco spiega, tanto ingarbuglia e tralascia. Si cita san Giovanni della Croce che affermava che la vera fede è «notte oscura», cioè non necessita di supporti e mediazioni. Per ogni Natale Giovanni inscenava nei monasteri andalusi la nascita di Gesù, con la Vergine e il bambinello. Uno dei massimi mistici cristiani scelse l’Ordine dedicato alla Madonna, nel quale si coltivava la devozione dell’Immacolata Concezione: ecco, nella fretta si tralasciano particolari importanti.

26/09/13

Oltre i porti grigi: Tolkien è morto, viva Tolkien!



di Dalmazio Frau

Sono pochi giorni che è trascorso l’anniversario, il quarantesimo, dalla scomparsa di John R. R. Tolkien.
È egli a tutti troppo noto, per cui del tutto superfluo io ricordi qui la sua vita e le sue opere.
Tutti avranno almeno visto i film tratti da “Il Signore degli Anelli” e adesso da “Lo Hobbit”; un po’ meno avranno letto i romanzi dai quali essi sono stati tratti; ancor più rari saranno coloro che hanno affrontato il Tolkien saggista, professore di linguistica e conoscitore del Simbolo.
Però se ne parla, si cita, se ne disserta come se. Insomma, la figura di Tolkien tanto “a destra” come da qualche anno anche “a sinistra” è “trendy”, fa “cool”.
Tolkien, prima visto come un negativo esempio di letteratura “fallocratica”, “filofascista” e poi recuperato in “area democratica”, dopo essere passato attraverso il suo bravo momento “new age”, hippy, naturalista ecologista e libertario.
Continuo a voler pensare che J. R. R. T. e la sua opera sia stato molto più di tutto questo, e che nessuna di tali categorie, o di altre, lo possa esaurire nella sua ristrettezza e limitatezza.
Tolkien, come altri scrittori, è un “inventore di mondi” con il preciso dettaglio del filologo e, se le ragioni anagrafiche e geografiche lo avessero consentito, sarebbe di certo ascrivibile a quel movimento artistico sì, ma anche letterario, che lo precedette di alcuni decenni e che fu la “Confraternita Preraffaellita”.
John comunque è debitore a Ruskin, Peter, Morris e “compagnia” perchè senza il loro lavoro, nè quello da lui stimatissimo di Rucker Eddison e di Lord Dunsany, non vi sarebbero mai state le atmosfere dei suoi romanzi.
Egli ha saputo lavorare come un antico artigiano nel solco già tracciato della Tradizione, reinventando laddove necessario, lasciando inalterato nei casi in cui tutto doveva restare così com’è. Come fecero Rossetti, Millais e Burne Jones.
E così come i dipinti della “Confraternita” vanno saputi leggere in dettaglio nella loro tessitura simbolica che va oltre la tela, altrettanto è stato fatto negli anni sull’opera dello scrittore di Oxford.
Non sempre con esiti felicissimi in verità, così come avviene puntualmente con tutte le “icone” culturali.
Mi ha sempre lasciato alquanto perplesso non soltanto la disinvoltura con la quale venga riportato a seconda degli interessi politici o culturali ma, per esempio, l’utilizzo di sfruttamento accanito fatto dagli stessi eredi di Tolkien sui suoi lavori.
Mi aspetto sempre più il rinvenimento di una lista della spesa redatta dallo scrittore, magari in “elfico” o più semplicemente in versi dai quali ricavare un volume nuovissimo per il mercato editoriale mondiale.
Nessuno credo, per esempio, abbia mai indagato i rapporti esistenti nella letteratura di Tolkien , in opere come “Sir Gawayne ed il Cavaliere Verde”, con la letteratura “Ermetica” ed Alchemica del Primo Rinascimento. Eppure esistono.
O anche quale influenza e conoscenza della stessa abbia avuto su di lui la “Musica”, il “Suono” come Antico mezzo di trasmissione del Mito e della comunicazione con l’Alto e verso l’umano.
Tutti troppo impegnati a dare dell’opera tolkieniana una valutazione socialista o nazionalista, libertaria o reazionaria. Tutti, o quasi, come spesso avviene , troppo intenti a guardare il dito quando il saggio indica la luna.
Detto tutto ciò, di J. R. R. se ne parlerà e scriverà ancora a lungo e per molti anni a venire, in modi più o meno scontati, banali, noiosi o forse troppo innovativi.
Nell’attesa che qualcuno smetta gli adusati panni del difensore e dell’attaccante, dal mio canto, riprendo la lettura di Ariosto e Rabelais.
Continuo ad andare in cerca “di un grande Forse”.
 

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