19/02/13

La Chiesa, il Papa e la sua rinuncia

                                                                                                
di Alberto Buela

L’arguto sociologo italiano Carlo Gambescia ha messo in evidenza cinque tesi possibili rispetto all’abdicazione del Papa: la tesi apocalittica, ovvero il segno della fine di un’epoca; la provvidenzialista, ovvero Dio provvederà; la dietrologica, che vede un motivo non dichiarato nella rinuncia; la progressista, con la quale si agevola la democratizzazione della Chiesa; e infine quella umanitaria, che rispetta la scelta dolorosa.
Non v’è dubbio che noi, in quanto credenti, aderiamo alla quinta opzione, ma in quanto analisti politici, questa non ci spiega nulla, limitandosi ad accettare il fatto in sé. La maggior parte dei mass media hanno adottato l’interpretazione progressista o democratico riformista, secondo la quale bisogna approfittare di queste inattese dimissioni del Papa per continuare a modernizzare la Chiesa sulla linea inaugurata dal concilio Vaticano II. Linea interrotta in parte da un Papa anticomunista, e perciò anti sinistra come Giovanni Paolo II e continuata senza troppa convinzione da Benedetto XVI.
In fondo i mass media vogliono una Chiesa al loro gusto e modo. Pretendono un Papa che sia conforme allo stile da loro creato come lo fu Giovanni XXIII, battezzato “il buono”, mentre invece costui aprì le porte della Chiesa “al fumo di Satana”, secondo l’espressione di un altro Papa poi pentitosi degli errori commessi.
Dall’epoca di Pio XII, che si impose allo stesso Hitler all’apice del suo potere con un’enciclica in tedesco Mit Brennender sorge (Con viva preoccupazione), la Chiesa non ha più avuto alcuna rilevanza internazionale. Nessuno degli ultimi quattro Papi ha prodotto qualche fatto d‘importanza mondiale come fecero nel passato numerosissimi Papi fino a Pio XII.
Ci si potrà dire: ma il mondo è cambiato, ed è vero. Solo che è la Chiesa ad essere sostanzialmente cambiata. E ciò a partire dal Vaticano II, un concilio suggerito e manovrato con diversi mezzi per ottenere un aggiornamento pastorale, ma che è finito per diventare dogmatico; che ha dissacrato una liturgia millenaria; che ha trasformato i sacerdoti in sociologi. Che, insomma, non ha tenuto conto del messaggio del profondissimo filosofo Franz Brentano il quale affermò: Il sapere della Chiesa è un “sapere di salvezza” e non un sapere sociale o politico. La conseguenza politica del Concilio è stata che la Chiesa ha finito per giocare la carta del socialismo con Paolo VI, fallita come è fallito il socialismo.
Così facendo, la Chiesa ha perso vocazioni e conversioni, due pietre miliari in crescita dall’epoca in cui il papato, con Pio IX e Leone XIII, trionfa sulla Kulturkampf  di Bismarck. Ovviamente, il progressismo non parla di tutto questo.
E’ interessantissimo far notare, anche se in realtà è una tara del nostro mestiere, come in tutto l’arco di tempo che va dal 1871 al 1950, il clero cattolico si sia moltiplicato a migliaia insieme alle conversioni di grandi pensatori e di personaggi illustri: Scheler, Bergson, Newman, J.Green, il Rabbino di Roma Eugenio Zolli, Edith Stein, Simone Weil, Ch. Peguy, P. Claudel, L. Bloy, J. Maritain, Ch. de Foucauld, J. Joergensen, P. Wust, Raisa Maritain,  J. Cocteau, G. Marcel, G. Chesterton, Y. Lewis, G. Greem, F. Copleston, T. Elliot, T. Haecker, E. Jünger, García Morente, tanto per includere un filosofo spagnolo.
Queste conversioni, significative per il loro livello intellettuale e spirituale, cessarono con il sorgere dello “scandalo” del Vaticano II. Σκανδαλον (skàndalon)= pietra, significa strettamente l’ostacolo o l’incidente pubblico che opera come causa affinché qualcuno agisca o pensi male.
La Chiesa è entrata in confusione e ha confuso anche i suoi fedeli. Il famoso aggiornamento si è limitato ad un adeguamento alla pubblica opinione proveniente, per la maggior parte, dal mondo liberale di sinistra il quale non è precisamente cattolico.
Perché il concetto di aggiornamento è stato un concetto equivoco che gli uomini della Chiesa intesero come adattamento parziale ad alcune necessità poste dal mondo moderno, intanto che i nemici della Chiesa (la massoneria, il rabbinato, gli atei, il marxismo, il socialismo, il liberalismo, il protestantesimo, il neopaganesimo) lo intesero come un adeguamento infinito a tutte le regole o norme culturali da essi generate: l’abbandono del celibato, il sacerdozio femminile, la pillola contraccettiva, l’uso del preservativo, l’aborto, il divorzio, il matrimonio gay, la non responsabilità degli ebrei nella crocefissione di Cristo(1), il sacerdozio degli omosessuali, l’eutanasia, l’affitto dell’utero per la procreazione, e un lungo eccetera.

Il Papa rinuncia perché sa che la Chiesa in quanto istituzione politica è manovrata da qualcuno al di sopra di lui, sia la Curia romana o siano i poteri indiretti. E siccome lui non vuole essere la marionetta di quei poteri, rinuncia; cosicché il titolo mediatico migliore e più profondo è stato quello pubblicato dal giornale ex cattolico “ABC” di Madrid: Il Papa libero.
Il Papa non ha agito come un debole e senile agnostico, né come un borghese individualista al quale le cose non vanno bene; ma non ha nemmeno agito come un Papa, altrimenti non avrebbe rinunciato. I Papi non scendono dalla croce, come ha affermato un vescovo. L’atto è stato una decisione privata dell’uomo Ratzinger come singolo individuo  irripetibile, responsabile e libero; e in questo senso, inquestionabile.
Cosa dovremmo attenderci? Non molto. Sicuramente che i poteri generanti la drastica decisione di Ratzinger prendano buona nota e non mettano sul seggio di Pietro un altro intellettuale, politicamente progressista (nel suo messaggio al parlamento tedesco propose “uno Stato socialdemocratico” e alla fine della sua enciclica Caritas in veritate, la costituzione di un governo mondiale), già anziano al momento dell’elezione e inabile al governo degli uomini, bensì qualcuno dello establishment ecclesiastico che riunisca in sé tutti i requisiti richiesti dal concetto di establishment, ovvero: gruppo dominante che detiene il potere e l’autorità.
Osiamo un po’ di più e diciamo che data la bancarotta finanziaria dello Stato Vaticano, non sarebbe affatto strano che il prossimo Papa provenisse da qualche grande potenza o da una potenza emergente. “Poderoso caballero/es don Dinero” (“Potente signore è don Denaro”)(2).
Ma queste sono le opinioni degli uomini, mentre sicuramente altro sarà il criterio di Dio Padre che può condolersi e fare che lo Spirito soffi sul prossimo Conclave. La qual cosa va ben aldilà dell’analisi politologica.  
(Tradotto all'impronta da Aldo La Fata)

(1)   Andando contro quanto scritto espressamente da San Paolo nella I Tes. 2, 14-25: “i Giudei, i quali hanno ucciso il Signore Gesù e i profeti, e hanno cacciato noi; essi non piacciono a Dio e sono nemici di tutti gli uomini”. Oggi il più grande teologo spagnolo specialista in cristologia, Olegario González de Cardedal, compie dei veri equilibrismi teologici per spiegare l’impossibile e accomodare questo passaggio al Vaticano II, finché, da ultimo, appoggiandosi su un altro collega, J. A. Fitzmyer, afferma: “Non esiste nessuna prova che dimostri la totale falsità dell’immagine generale delle narrazioni della passione nelle quali siano implicate entrambe le parti”. (Cristología, BAC, Madrid, 2008, p.108)
(2)   Francisco de Quevedo: “Letrilla satirica”.



17/02/13

Costanzo Preve: Una nuova storia alternativa della filosofia. Il cammino ontologico-sociale della filosofia

Costanzo Preve
Una nuova storia alternativa della filosofia. Il cammino ontologico-sociale della filosofia.
ISBN 978-88-7588-108-5, 2013, pp. 544, formato 170x2140 mm., Euro 30 – Collana “Il giogo” [50]
In copertina: Vincent val Gogh, Autoritratto davanti al cavalletto, 1888. Amsterdam, Van Gogh Museum.
Questo libro costituisce la sintesi migliore dell’opera quarantennale di Costanzo Preve. Si tratta non di un normale manuale di storia della filosofia, ma di una esposizione approfondita e sensata, col consueto metodo previano della deduzione storico-sociale delle categorie, dei principali autori e delle principali tendenze filosofiche.
Preve mostra in modo magistrale, con questo libro, che si può fare storia della filosofia - e filosofia - non solo in modo erudito, ma in modo partecipato, umano, comunitario. L’originalità delle singole interpretazioni pone questo libro come una vera e propria “miniera d’oro” per tutti quei giovani studiosi che vorranno, negli anni a venire, rapportarsi alla storia della filosofia in modo privo di pregiudizi e lontano dagli schemi del senso comune.
 

14/02/13

EFFEDIEFFE piange la morte del suo editore

Comunichiamo agli amici di una vita ed ai lettori del suo amato sito che Fabio de Fina si è spento la mattina del 13 febbraio all’ospedale di Acquapendente, dopo aver lottato strenuamente per più di 1 anno contro la sua malattia.
Ringraziamo il direttore Maurizio che la stessa notte della sua agonia, era in preghiera a vegliare per gli agonizzanti. Maurizio, le tue preghiere hanno accompagnato Fabio all’incontro con il Signore. E ti ringraziamo per tutto quello che hai fatto per Fabio in questi 20 anni di amicizia.
Ringraziamo il dottor Di Bella che per 1 anno ha assistito Fabio in amicizia e sapienza. Ha fatto quanto ha potuto per la salvezza del suo corpo, irrimediabilmente corroso dal cancro che lo aveva colpito.
E ringraziamo il nostro parroco, don Marius, che per mesi si è recato nella nostra casa a portare i Sacramenti a Fabio, fino all’ultimo.
Più di tutte le parole che potrebbe dettarci il nostro affetto per lui, preferiamo ricordarlo per quanto ha fatto negli anni di battaglia culturale: nei suoi libri, da quando ha fondato la EFFFEDIEFFE nel 1989 (e in tutti quelli che ancora mi diceva di voler continuare a stampare); e nei suoi articoli, pubblicati su questo sito, come

«Una casa senza libri è come una fortezza senza armi»


che meglio di tutti riassume la sua vocazione, come lui stesso umilmente scrisse:
«Una vocazione analoga a quella di don Bosco (che diffuse milioni di libri) e di Pio Brunone Lanteri, anche se il paragone è irriverente e su scala 1 (i miei modesti tentativi) a migliaia di miliardi (don Bosco e Lanteri)».
Chiediamo a tutti i lettori del sito che tanto amava di pregare per lui.
A presto Fabio, tu che sei stato per me come un padre, ora anche tu puoi camminare per i cieli insieme a Romano.

Lorenzo de Vita


All’alba di mercoledì delle Ceneri, Fabio De Fina, l’editore e l’amico, ha compiuto il suo transito, munito dei sacramenti. Da tempo era malato. Aveva subito l’amputazione di una gamba, senza che ciò arrestasse il tumore, che anzi s’era manifestato nei polmoni. Soffriva molto. È stato lucido fin quasi all’ultimo. Lunedì, brevemente (era diventato laconico) mi ha detto al telefono: “Mi sto preparando”. Ho capito che voleva dirmi di aver superato tutte le fasi inevitabili alla nostra povera carne umana – la rabbia, il rifiuto, la disperazione, e infine anche la paura – ed ora accettava il passo più difficile, deliberatamente, con coraggio.

È andato da bravo soldato, e come tale lo saluto: sull’attenti.

Maurizio Blondet

13/02/13

Stemma del Pontefice uscente

Il cardinale Joseph Alois Ratzinger (nato a Markt am Inn, Baviera, Germania 16 aprile 1927), è stato eletto 263° papa il 19 aprile 2005. Nel 1977 arcivescovo metropolita della Diocesi di München-Freising e quindi Prefetto dell’Istituto per la Dottrina della Fede.
Ha adottato uno stemma che, in parte, contraddice le forme canoniche precedenti ma con un preciso intento simbolico e che risulta così blasonabile:
“Di rosso, cappato d’oro alla conchiglia dello stesso; la cappa destra alla testa di moro al naturale, vestita, labbrata, coronata di rosso; la cappa sinistra all’orso bruno al naturale, levato lampassato e caricato d’un basto di rosso, legato di nero. Accollato alle chiavi pontificie. Timbrato da una mitra d’argento, portante tre fasce d’oro collegate verticalmente dello stesso. Uscente dal margine inferiore della punta un pallio al naturale, con un’estremità visibile di nero, caricato di tre crocette patenti rosse” (1).
La forma della partizione dello scudo è detta a “cappa”: è stata messa in relazione ai simboli “di religione” e farebbe riferimento alla spiritualità monastica (in questo caso probabilmente benedettina o agostiniana).
La conchiglia è simbolo del pellegrino e legata in particolare al Pellegrinaggio di Santiago di Compostela (è detta anche conchiglia di San Giacomo), ma ricorda anche una leggenda legata a Sant’Agostino (2). Si racconta infatti che un giorno, il santo vescovo di Ippona, mentre stava meditando sull’imperscrutabilità della Trinità, incontrò un bambino intento a versare acqua di mare in una buca; Agostino gli chiese cosa stesse facendo e il bambino candidamente rispose “sto versano il mare in questa buca”: questo fece riflettere il santo su quanto fosse impossibile per la mente umana comprendere il mistero dell’infinità di Dio. Nello stemma cardinalizio di Ratzinger la conchiglia era in effetti rappresentata pescante dal mare.
La stessa conchiglia è anche arma principale dell’Abbazia “degli Scozzesi” (Schotten Abtei) di Ratisbona (Regensburg), dove Ratzinger fu insegnante dal 1967 al 1977.
Vuole ricordare come il nostro stato sia quello di “pellegrini sulla terra” alla continua ricerca di Dio “pur con i nostri mezzi inadeguati”, nonché il “pellegrinante popolo di Dio” del quale Benedetto XVI si riconosce pastore.
Il “ moro ” è il tradizionale simbolo della Diocesi di Frisinga (Freising) risalente all’ VIII secolo e adottato intorno al 1316 all’epoca dell’erezione del Principato Vescovile; secondo la tradizione rappresenterebbe San Maurizio (3), il cui nome ha fatto ipotizzare una sua origine dalla Mauritania o dalla Numidia (Sudan), che fu “Primicerio” (ufficiale maggiore) della Legione Tebea (formata da legionari cristiani), durante la spedizione contro i Galli rifiutò con i suoi soldati di sacrificare agli dei per propiziare la vittoria: perciò l’imperatore Massimiano Erculeo li fece uccidere tutti presso Agaunum (l’odierna Saint Maurice, presso Martigny, nel Vallese) nel 287 (la corona è un antico simbolo di martirio per la fede). Figura molto diffusa nell’araldica germanica è anche il patrono delle Guardie Svizzere nonché “contitolare” dell’Ordine Cavalleresco dei Santi Maurizio e Lazzaro (detto Ordine Mauriziano).
Nel 1818 (con il Concordato tra Pio VII e re Massimiliano Giuseppe di Baviera) venne creata l’Arcidiocesi di Monaco-Frisinga, con sede a Monaco.
L’ orso carico del basto è simbolo di San Corbiniano, evangelizzatore della Baviera, primo vescovo e patrono di Frisinga (nato nel 680 a Chartres e morto l’8 settembre 730). Sempre secondo la tradizione la mula sulla quale Corbiniano stava viaggiando verso Roma fu sbranata da un orso durante l’attraversamento della Alpi; il santo allora lo redarguì aspramente e lo costrinse a portare la soma e ad accompagnarlo lungo il cammino, per poi lasciarlo nuovamente libero al ritorno. L’orso compare anche in un commento di Sant’Agostino del salmo 72: “…sono divenuto per te una bestia da soma, e così io sono in tutto e per sempre vicino a te”.
Se in origine, quindi, la figura dell’orso “addomesticato” voleva indicare come il cristianesimo ammansì il paganesimo, in seguito finì per simboleggiare l’onere del ministero episcopale (4).
La mitra d’argento, novità nello stemma del pontefice, ricorda però in molti particolari la precedente tiara (5): riporta anch’essa tre fasce d’oro, collegate però da un braccio verticale così da farle assomigliare ad una croce patriarcale: indicano che i tre poteri (Ordine Sacro, Giurisdizione, Magistero) sono collegati nelle stessa persona del papa.
Papa Benedetto XVI si è, da subito, definito come “vescovo di Roma” e mai come “Pastore della Chiesa Universale”: una definizione gravida di potenzialità ecumeniche soprattutto nei confronti della Chiesa Orientale, che ha sempre riconosciuto al papa di Roma un “primato” esclusivamente onorifico (analogamente alla relazione esistente tra i patriarchi orientali e il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli).
Altra novità è rappresentata dal pallio , che da sempre indica la dignità pontificia; secondo alcuni (Corsero Lanza di Montezemolo) in antico era una vera e propria pelle d’agnello poggiata sulla spalla, secondo altri (Heim) deriva dalla toga senatoria (6); in seguito venne sostituita da una lunga striscia di lana bianca tessuta con il vello di agnelli allevati tutt’oggi per questo scopo. La striscia è caricata con sei croci (nere o rosse).
È anche segno di dignità degli arcivescovi metropoliti: indica quindi la collegialità del ministero e della giurisdizione del papa con gli arcivescovi e, per mezzo di loro, con i vescovi suffraganei. Prima di essere indossati i pallii devono restare per un certo periodo nella Basilica di San Pietro, presso la tomba dell’apostolo.
La forma del pallio è mutata nel corso del tempo: papa Ratzinger ne ha adottato uno che ricalca quello ritrovato nel sepolcro di San Martino di Tours, lungo 260 centimetri , larga 8, risalente all’XI secolo è considerato l’esemplare più antico giunto fino a noi (7).
Note:
•  Blasonatura nostra
•  Joseph Ratzinger conseguì la laurea in Teologia, con una tesi dal titolo “Il popolo e la casa di Dio nell’insegnamento di Sant’Agostino sulla Chiesa”.
•  Se ne possono vedere richimi nell’arma civica di San Candido/Innichen (BZ) e di Saint Vincent (AO).
•  Vedi anche lo stemma del Comune di Caines/Kuens (BZ)
•  L’ultimo papa ad utilizzare effettivamente la tiara fu Paolo VI (gli era stata donata dall’Arcidiocesi di Milano della quale era stato metropolita) ma dopo l’incoronazione la mise in vendita, la comprò il cardinale Francis Spellman, arcivescovo di New York, e il ricavato utilizzato per le missioni africane. Ciononostante Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II continuarono ad usarla nella rappresentazione grafica dei loro stemmi, analogamente agli altri prelati che (pur non usandolo più) continuano a fregiare i loro scudi con il “galero” (cappello simile al copricapo da pellegrino) del colore di rango.
•  I metropoliti devono fare richiesta al papa del pallio ( “postulazione del pallio” ) entro tre mesi dalla data della loro nomina e non possono indossarlo al di fuori dei confini della loro Provincia Ecclesiastica; all’atto della rinuncia o abbandono della carica non ne perdono il possesso ma non possono più indossarlo, infine alla loro morte viene sepolto con loro.
•  Precedente, ma assai simile nella forma e nel significato, è l’ Omophorion della Chiesa Orientale. Una famosa rappresentazione del pallio è quella dell’arcivescovo Massimiano di Ravenna, nei celebri mosaici di San Vitale in quella città. Al pallio del papa sono anche aggiunti degli spilloni d’oro rappresentanti le piaghe di Cristo.
Testi di Massimo Ghirardi